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Bruno Neri, il partigiano calciatore

Bruno Neri, il partigiano calciatore - immagine 1
Torna un nuovo episodio di 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi: "Le due squadre schierate sul campo prima dell’incontro con un tripudio di saluti romani fatti da tutti i giocatori escluso uno..."
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Si ripete che manca l’uomo,

ma l’uomo è in noi stessi”

Francesco Saverio Nitti

Confesso di fare fatica a capire tutto questo dibattito su fascismo e antifascismo in atto, lo vedo come uno sproloquio di una storia abbastanza seria, dai contorni complessi ma abbastanza chiari: il fascismo fu una dittatura, una negazione di tante libertà, un annichilimento di tante straordinarie biografie, una versione feroce di una delle varie rappresentazioni dell’antisemitismo declinatesi nella storia. Davvero non capisco cosa ci sia ancora da discutere, da “pacificare”, da sondarne sentimenti nostalgici invero assai incomprensibili, da cercare di comprendere le ragioni dei “vinti”. Chi ritenne il fascismo come una via politica possibile e legittima per l’Italia prese semplicemente un tragico abbaglio, e non serve essere di sinistra per ammetterlo. Neanche serve “perseguitare” Giorgia Meloni, protagonista di un’altra epoca e di altri fatti, per ribadirlo e per costruire narrazioni di fantasia, ad uso e consumo di propaganda e di carriere sempre pronte ad essere più voraci di gloria e prebende che di onestà intellettuale. Non si deve svilire il coraggio di gente come Francesco Saverio Nitti, che non solo rigettò di far parte del primo governo Mussolini (chi gestisce il potere con protervia prova sempre prima a blandire e corrompere le persone di talento), ma rifiutò platealmente, abbandonando l’Aula per protesta e pagando in seguito per questo pesanti conseguenze, di votare la fiducia ad un leader politico che disonorò il Parlamento con il famoso “discorso del bivacco”. Una fiducia invece concessa da gente del calibro di Giolitti, Orlando, De Gasperi, Salandra. Le polemiche del presente da guitti del pensiero (non so definirle in altro modo) su un presunto ritorno del fascismo, fanno torto ad una situazione che negli anni '30 si era fatta davvero pesante per quei pochi oppositori rimasti nel Paese (molti antifascisti avevano intrapreso la via dell’esilio, compreso Francesco Saverio Nitti), determinati a non farsi corrompere dall’inerzia di un comune sentire che individuava nel fascismo l’inizio e la fine del destino di ogni cosa italiana.

Fra questi pochi c’era un calciatore di talento e afflato artistico/letterario, Bruno Neri, che giocò nel Torino ante guerra allenato da Erno Egri Erbestein e raggiungendo un secondo posto, addirittura come giocatore con più presenze in squadra, nel campionato del 1938/39, quello del vergognoso allontanamento dalla proprie carriere e dalle proprie di vite, a causa delle “Leggi Razziali”, di Arpad Weisz e di Erbstein. Due geni del calcio, due persone perbene. Neri deve aver visto l’allontanamento di Erbstein, in seguito protagonista del miracolo granata del dopoguerra del “Grande Torino”, e che perirà nell’incidente aereo di Superga, come una misura ormai troppo colma. Lui, che in un Paese davvero troppo acquiescente di fronte ad una dittatura ormai priva di ogni freno inibitorio e rafforzata dalla complicità di Casa Savoia, si era reso protagonista di un gesto che definire coraggioso pare davvero troppo poco, e forse dovrebbe far arrossire un po’ di vergogna chi oggi vorrebbe vendersi al grande pubblico come un neo antifascista in servizio permanente attivo contro un neo fascismo di ritorno (ma tanto, in un’epoca dove il senso del pudore ormai si è smarrito in qualche recesso della coscienza e dell’anima, non si vergogneranno. Anzi…). Siamo in un tiepido pomeriggio del 10 settembre del 1931 ed una foto mostra in modo inequivocabile di che pasta sia fatta il valore e il coraggio di una persona. Il contesto è quello dell’inaugurazione del nuovo e avveniristico stadio di Firenze, progettato da Luigi Nervi e intitolato a Giovanni Berta, fascista della prima ora e oggetto di apologetica  da “martirologio” fascista dopo la sua uccisione nel febbraio del 1921 a Firenze da parte di “squadre d’azione” comuniste (ma in realtà non c’è nessuna fonte o prova certa sul reale avvenimento dei fatti), con una partita tra Fiorentina (club dove militava Neri) e il Montevarchi. L’immagine fotografica ha come oggetto le due squadre schierate sul campo prima dell’incontro, ed è un tripudio di saluti romani fatte da tutti i giocatori escluso uno: le mani di Bruno Neri rimangono scese e composte sui fianchi. Se la si guarda bene, la foto ormai sgranata dal tempo, ci si può accorgere come tutti i giocatori siano sorridenti ed uno che proprio non ce la fa a partecipare a quella manifestazione di giubilo per il Duce. L’espressione del volto di Neri è visibilmente contrariata, addirittura sofferente in relazione ai suoi vent’anni che dovrebbero essere solo il ritratto della spensieratezza. La stessa sofferenza in mostra qualche anno dopo sul volto della ventenne Sophie Scholl, la studentessa universitaria, e leader del movimento cattolico della “Rosa Bianca”, che finirà ghigliottinata per attività antinaziste.

Di fronte al tentativo dell’ufficiale della Gestapo che gli richiedeva una manifestazione di pentimento, almeno per rispetto dei soldati caduti a Stalingrado (solo chi conosce il significato e il valore dell’heimat tedesco può capire la perfidia insita nella richiesta), lei aveva risposto con la fierezza e la tranquillità dei giusti: "Credo di aver fatto la miglior cosa per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena". Gli anni '30 del secolo scorso sono stati un periodo storico che ha richiesto molto ai giovani di quel tempo, nel fare soprattutto scelte di campo dalle conseguenze sovente drammatiche ma davanti alle quali non ci si poteva tirare indietro. Neri è un giovane coscienzioso, e risparmia tutto quel che può sull’ingaggio da calciatore, non spropositato come quelli di oggi ma comunque più alto degli stipendi dell’epoca, tanto da riuscire a comprare a Faenza, sua città natale, un appezzamento di terreno e a contribuire ad acquistare un appartamento per la sua famiglia. Ricerca la frequentazione e l’amicizia di artisti e scrittori, si appassiona all’arte e le testimonianze lo ricordano come un giovane mai banale nell’esporre la sua personalità. L’inizio della decade degli anni '30 sono tempi difficili per tutti coloro inclini a credere all’idea che sia la giustizia a dover prevalere, Mussolini è all’apogeo del suo successo personale e nel 1932 arriverà a scrivere, senza scandalo per nessuno, una esaltazione della sua azione politica in “Dottrina del Fascismo”: "Un partito che governa totalitariamente una nazione è un fatto nuovo nella storia. Non sono possibili riferimenti o confronti". In realtà c’è già stata la “Rivoluzione Bolscevica” del 1917 ad inaugurare il totalitarismo del partito unico a guida  di una nazione, ma a Mussolini piaceva l’idea di incarnare se stesso non solo come “uomo del destino” ma come “uomo della storia”. Pur di far passare questo concetto di sé, non disdegnava di lambire i confini del ridicolo. Neri, dopo aver trascorso gran parte della sua carriera alla Fiorentina e alla Lucchese, arriva al Torino nel 1937 con il preciso compito, nell’idea della dirigenza granata, di crescere e dare esperienza a dei giovani atleti che stanno andando a comporre la genesi del Grande Torino dell’immediato dopoguerra. Anche nel capoluogo piemontese diventa presto un punto di riferimento per giornalisti, scrittori e mercanti d’arte, ed è l’unico giocatore del Toro a cui è permesso far visita ai giocatori della Juventus, tale è ammirata e considerata la sua statura umana e morale.

La guerra fa terminare, come per molti, la sua carriera sportiva e lo fa ritirare nella sua Faenza. Poi verrà arruolato nell’esercito come soldato semplice. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, coerente con la famosa foto del 1931 allo stadio di Firenze, si unisce ai partigiani del “Battaglione Ravenna”, fino al tragico giorno del 10 luglio del 1944 dove, durante una perlustrazione intorno all’eremo di Gamogna, trovò la morte insieme ad un suo compagno, Vittorio Bellenghi (che era stato un buon giocatore di basket), per mano di un drappello di soldati tedeschi. Così racconta un passaggio della relazione del comandante partigiano Vincenzo Lega: "Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi era straziante in quanto i corpi dei nostri poveri compagni presentavano orrende mutilazioni prodotte con arma da taglio, il che significava che la rabbia nemica si era selvaggiamente sfogata mentre forse, benché agonizzanti, erano ancora in vita". Così si moriva nell’Italia del 1944, così due sportivi diedero il loro estremo contributo per dare senso e onore alla ricostruzione del Paese dalle macerie del fascismo in procinto di avvenire. Il lavoro per la costruzione del “Grande Torino” fu benedetto dalla personalità e dalla competenza di Bruno Neri, e la squadra capitanata da Valentino Mazzola sarà poi il segnale più fulgido della rinascita del Paese, consegnando il Toro alla storia nobile e condivisa della nostra Repubblica come suo patrimonio inestimabile. La foto di Neri del 1931 allo stadio di Firenze è l’urlo propagato nel tempo di tutti gli uomini giusti, è memoria tangibile onorata e intoccabile della nostra Italia, è la prova concreta che tutti noi possiamo essere migliori di come sovente ci rappresentiamo. Possiamo e dobbiamo ogni volta che siamo chiamati a scegliere, come ci ricordano queste ultime splendide parole di Sophie Scholl: "È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?" Non dobbiamo dimenticare Bruno Neri. Non dobbiamo dimenticare.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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