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Marazzina e quel Toro zoppo, disastrato, ma dal cuore enorme

Mai cuntent / Quella squadra disastrata che fu la porta d'accesso al mondo granata per una generazione. Forse scarsa, ma con un gran carattere

Stefano Gurlino

"Il primo Toro che ho tifato con passione, sofferenza e (perché no, visti i miei dieci anni) amore, fu quello zoppo, disastrato, ma con un cuore enorme di Ezio Rossi. Si, quello del fallimento. Perché a noi mai cuntent piace ricordare le tragedie: specie quella dove un certo calcio ci dava per morti in una stagione dove eravamo più vivi che mai.

"I miei dieci anni, dicevamo. Che tragedia per quelli come me, nati nei pieni ’90. I nostri nonni e padri ci raccontavano degli Invincibili, di Meroni, di Pupi, Graziani, Leo Junior e a noi non restava che fare la lista della iella: Vidulich, Magallanes, Ramallo Franco. Tutti in ordine cronologico sparso: ma possiamo vantare altre eccellenze niente male. Eppure, qualche lampo ce lo siamo goduto anche noi. Al compagno di classe con la maglia gobbissima di Nedved, per un anno potevamo rispondere con quella sudatissima di Ferrante. Ai giardinetti, la classe dell’amico che imitava Nedved potevamo stroncarla con quella piena di bambini forgiati dalla grinta dell’arcigno De Ascentis. E nei compiti in classe, al secchione con gli occhiali alla Lippi, potevamo far vedere alla maestra che c’eravamo sul serio, cavandocela con l’umiltà del miglior Camolese. Poi, poi…una sfilza di ‘quattro’. Menomale che la quarta elementare non la feci come quel Toro di pochi anni dopo dodicesimo in Serie B: a quest’ora sarei ancora a (ri)contare le tabelline. Che però, grazie alla media gol subiti, sapevo alla grande. Ricordo ancora i calcoli semplici nel quaderno di matematica: “Allora, Torino-Milan…0-3. Poi col Parma…0-4. Poi col Como 1-1. Uno, si, un punto c’è”. E menomale.

"Poi qualcosa cambiò. Il torello di Ezio Rossi aveva tutte le carte per fare innamorare i giovanissimi cuori granata infranti da una scarsità senza precedenti. La prima carta, il mister. Rossi era un cuore Toro atipico: mogio, mai una virgola fuori posto, sempre educato. Aveva un volto da peluche, ma che quella squadra seguiva compatto. Rosa tutta giovane, ma studiata da altri due granatissimi che è un peccato averli persi così ‘male’: Zaccarelli e Cravero costruirono le fondamenta andando a prendere vecchi ‘bolliti’ e riportando a casa quei ragazzini, gli ultimi, degni del nostro miglior vivaio. Con una particolarità niente male: tutto a 0 euro. E ci mancherebbe. Tra i giovanissimi, tanto per ricordare: Sorrentino, Mantovani, Balzaretti, Comotto, Quagliarella. Più l’incredibile sfortuna di Pinga, un giovanissimo Vailatti, Jimmy Fontana. Tra i vecchi bolliti, anche lì per ricordare: De Ascentis, Conticchio, Pippo Maniero e lui, Massimo Marazzina.

"Marazzina aveva una fame dolce negli occhi. Aveva il cordino per i capelli, ma non erano capelli da tronista dei bei tempi. Era generoso, sempre preciso, e i gol messi a segno erano nel nostro perfetto stile: non rubacchiati, ma cercati, voluti, anche e soprattutto contro il fato. Comprai la sua maglietta, alla vigilia di quel play-off perso ma vinto col Perugia. Ai miei amichetti e alle loro domande: “Ma che maglietta è?”, rispondevo per le rime: “Torneremo, torneremo, vedrete...”. E quel giugno 2005 effettivamente tornammo lassù, ma solo per una notte. Poi la finanza, Cimmi e Tilli, fecero il resto. Oggi, dopo undici anni, al campetto ho riproposto la stessa scena di undici anni fa. Tutto uguale, a parte la barba di qualcuno di noi. “La maglia di Marazzina?” “Sì. Siamo tornati, vecchio…”- “Scarsi?”. Mi sono fermato, ho pensato, poi sorriso: “No. Siamo tornati noi”. Perché è la stessa fame dolce di Belotti, la stessa ‘territorialità’ granata di Barreca, la voglia di rivalsa di Iago. In fondo, non eravamo noi, quelli a cui  dicevano di ricordarci da dove veniamo?