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Agroppi a TN: “Da Cairo mi aspetto altri 17 anni di media classifica”

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In esclusiva su Toro News le parole di una colonna portante della storia del Torino

Andrea Calderoni

Aldo Agroppi è una colonna portante della storia del Torino. Proprio per questo quando parla del mondo granata bisogna sempre cogliere attentamente le sue parole, ricche di esperienza e di amore per il club che l'ha reso celebre. In esclusiva su Toro News, nel corso di questa sosta per le Nazionali, è proprio Agroppi - che esattamente 50 anni fa, il 26 marzo del 1972, decideva con una sua rete un derby contro la Juventus - a illustrare il momento granata.

Buongiorno signor Aldo, come si può spiegare l’andamento del Torino?

“L’andamento del Torino è ondulatorio. Da bellissime partite passa a partite inguardabili. Non ho idea perché il rendimento dei giocatori cambi. Tutte le squadre non sono costanti nell’arco di una stagione. Sono tanti gli aspetti che incidono: la questione fisica, quella psicologica, i gol sbagliati, gli errori arbitrali. Il Torino punto in più punto in meno ha sempre quell’ambizione, non si scosta da lì. I granata hanno fatto grandi partite e poi si sono persi nel nulla. Mi chiedo quindi quale sia il vero volto del Torino”.

C’è stata anche qualche chiacchera di troppo rispetto al futuro di alcuni elementi?

“Il mercato c’è sempre stato. I giocatori interessati non vivono serenamente la situazione e possono avere condizionamenti psicologici, anche se magari sono prossimi ad accasarsi in un altro club che gli garantirà molti più soldi. Devono pensare a tanti aspetti, su tutti la reazione dei tifosi e l’organizzazione di un trasferimento anche dal punto di vista familiare. Ci sono tanti risvolti che coinvolgono i giocatori prossimi a cambiare casacca. Quelli prima di un trasferimento non sono mai giorni sereni. Si crea perciò una certa tensione, anche sul campo”.

Concorda con chi dice che Andrea Belotti nel suo lungo trascorso al Torino avrebbe meritato una squadra con più ambizione?

“Anch’io sono stato undici anni al Torino e ho preso quello che ha dato il Torino. Non potevo pensare alle ambizioni e alla fine l’anno in cui il Torino vinse lo scudetto non c’ero. Per cambiare ambizioni il Torino dovrebbe inserire in rosa cinque o sei innesti, quindi spendere molti soldi. Però, non troverei giustificabili simili investimenti perché tanto il Torino può giocare al massimo per qualificarsi all’Europa League. Non può competere per lo scudetto. La verità è un’altra e non riguarda le spese folli”.

agroppi

Qual è, secondo lei, la chiave di volta?

“Devi farti in casa i giocatori con i quali costruire una squadra ambiziosa, altrimenti ti sveni senza un motivo fondato”.

Siamo ormai in dirittura d’arrivo per quanto concerne la prima stagione in granata di Ivan Juric: come giudica il progetto?

“Il vero Torino non so quale sia. In alcuni casi le prestazioni sono state eccellenti, in altre da dimenticare. Juric è un allenatore come tutti gli altri: prova a ottenere il massimo. Molte volte, però, le parole e gli allenamenti non bastano. Sono tanti i fattori che influenzano il rendimento della squadra”.

Sta, inoltre, andando in archivio il diciassettesimo anno di Urbano Cairo al Torino: cosa si attende nel prossimo futuro della sua presidenza?

“Altri diciassette anni del cavolo, scusatemi per la battuta. Per lo meno non si retrocede, ma si naviga nella media classifica. O viene un miliardario che ha soldi da buttare via oppure si continua su questo filone. Per Cairo è impossibile avere un Torino con più ambizione. Potrebbe dare via il club, ma chi si azzarderebbe a prenderlo e a investire miliardi? Tra l’altro non basta spendere, bisogna saper spendere. E torno al tema di prima: bisogna far crescere i ragazzi del settore giovanile e poi valorizzarli a dovere. Ai miei tempi, dal settore provenivamo, tra gli altri, Vieri, Fossati, Zaccarelli, Carelli, Pulici, Graziani ed io. Tanti talenti fatti in casa. In questo si dovrebbe guardare con più profitto nel prossimo futuro. L’Atalanta è un esempio per tutti: tanti giocatori che lancia riesce a rivenderli a mille, dopo che sono costati cento. L’ultimo marcatore della Dea in campionato, Cissé, è l’esempio di come si deve lavorare. Bisogna saper lavorare nel mondo del calcio”.

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