Gli è bastato un anno per capire cosa volesse dire il Toro. Soprattutto perché allora come oggi era una squadra da ricostruire. E sabato che tornerà da avversario, come team manager del Chievo, per Marco Pacione sarà una sensazione particolare: “Indossare quella maglia dà una sensazione speciale. Prima di venire a Torino non ci credevo, ma oggi a distanza di tempo so perfettamente che è così e non si esagera a dirlo”.
interviste
Pacione: ‘Questo pubblico merita il massimo’
Gli è bastato un anno per capire cosa volesse dire il Toro. Soprattutto perché allora come oggi era una squadra da ricostruire. E sabato che tornerà da avversario, come team manager del Chievo, per Marco...
Sarà una sfida speciale anche per Corini, che qui sostanzialmente ha chiuso?Mi pare che la stia vivendo come le altre, con la stessa professionalità che ha portato sin da quando è arrivato, dando una scossa vera alla squadra insieme a tutto il suo staff. Per ora non lo dimostra, anche se forse sabato un po’ la sentirà. Ma sa bene quanto sia importante questa sfida, è molto concentrato come tutti.
Si può parlare di spareggio a una giornata dalla fine del girone d’andata?Più che altro sono due squadre che lottano per gli stessi obbiettivi e sappiamo che non sarà affatto facile, anche per il peso del pubblico che è un valore aggiunto.
Quali differenze da quando giocava lei?Beh, allora nonostante la B avevamo fatto quasi ventimila abbonati, quello che era il Comunale si riempiva spesso e quel calore era una forza in più per tutti. Era un Toro che rialzava la testa, l’inizio di un ciclo che poi si è rivelato vincente e mi ha fatto piacere farne parte.
A quei tifosi del Toro che invidiano il Chievo perché è una società solida e un progetto vero che può rispondere, come lo può spiegare?Diciamo che forse è un modello unico, irripetibile. Negli ultimi undici anni ha rappresentato una maniera diversa di fare calcio, di viverlo, anche perché da queste parti è più facile lavorare, si sentono meno le pressioni e si riesce a rendere al meglio, ma è anche un fatto di professionalità e di formazione, che qui sono eccellenti. A Torino resta certamente più difficile.
Da ex attaccante, che consiglio darebbe a Bianchi per stare tranquillo?Evidentemente sono cambiati i tempi. Allora nessuno di noi ragionava tanto in prospettiva, si pensava al campo e solo verso fine stagione si andava a rinegoziare con le società. Oggi invece evidentemente per rendere al meglio tanti giocatori hanno bisogno di sentirsi tranquilli anche fuori. E’ un altro modo di vivere il calcio, non dico sbagliato ma certo diverso.
Federico Danesi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gli è bastato un anno per capire cosa volesse dire il Toro. Soprattutto perché allora come oggi era una squadra da ricostruire. E sabato che tornerà da avversario, come team manager del Chievo, per Marco...
Sarà una sfida speciale anche per Corini, che qui sostanzialmente ha chiuso?Mi pare che la stia vivendo come le altre, con la stessa professionalità che ha portato sin da quando è arrivato, dando una scossa vera alla squadra insieme a tutto il suo staff. Per ora non lo dimostra, anche se forse sabato un po’ la sentirà. Ma sa bene quanto sia importante questa sfida, è molto concentrato come tutti.
Si può parlare di spareggio a una giornata dalla fine del girone d’andata?Più che altro sono due squadre che lottano per gli stessi obbiettivi e sappiamo che non sarà affatto facile, anche per il peso del pubblico che è un valore aggiunto.
Quali differenze da quando giocava lei?Beh, allora nonostante la B avevamo fatto quasi ventimila abbonati, quello che era il Comunale si riempiva spesso e quel calore era una forza in più per tutti. Era un Toro che rialzava la testa, l’inizio di un ciclo che poi si è rivelato vincente e mi ha fatto piacere farne parte.
A quei tifosi del Toro che invidiano il Chievo perché è una società solida e un progetto vero che può rispondere, come lo può spiegare?Diciamo che forse è un modello unico, irripetibile. Negli ultimi undici anni ha rappresentato una maniera diversa di fare calcio, di viverlo, anche perché da queste parti è più facile lavorare, si sentono meno le pressioni e si riesce a rendere al meglio, ma è anche un fatto di professionalità e di formazione, che qui sono eccellenti. A Torino resta certamente più difficile.
Da ex attaccante, che consiglio darebbe a Bianchi per stare tranquillo?Evidentemente sono cambiati i tempi. Allora nessuno di noi ragionava tanto in prospettiva, si pensava al campo e solo verso fine stagione si andava a rinegoziare con le società. Oggi invece evidentemente per rendere al meglio tanti giocatori hanno bisogno di sentirsi tranquilli anche fuori. E’ un altro modo di vivere il calcio, non dico sbagliato ma certo diverso.
Federico Danesi
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