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Puliciclone, nato sotto il segno del Toro

Iniziamo con questa splendida intervista di Domenico Mungo (scrittore e giornalista di razza, coordinatore del sito blueprintagency.it e collaboratore tra gli altri di Rumore e Diario), un lungo viaggio che ci porterà al 3 dicembre 2006,...

Redazione Toro News

Iniziamo con questa splendida intervista di Domenico Mungo (scrittore e giornalista di razza, coordinatore del sito blueprintagency.it e collaboratore tra gli altri di Rumore e Diario), un lungo viaggio che ci porterà al 3 dicembre 2006, al centenario granata. E con chi altri avremmo potuto iniziare se non da Paolino Pulici, il giocatore simbolo del Toro dopo Superga? Con cenToro scandiremo ogni settimana il conto alla rovescia che porterà i nostri colori all’appuntamento col primo secolo di vita. Buona lettura a tutti.

Paolo Pulici (Roncello, MI, 27 aprile1950) detto "Paolino" o "Puliciclone", rimane uno dei beniamini dei tifosi del Torino Calcio. Il Torino lo acquistò nel 1967 dal Legnano e l'allenatore Edmondo Fabbri lo lanciò come titolare nella stagione 1968-69 nella partita Torino-Cagliari (0-0). Con la maglia granata, con la quale disputò 14 campionati, ha giocato 433 partite ( 335 campionato, 72 in Coppa Italia e 26 nelle Coppe Europee) realizzando 171 reti che ne hanno fatto l'attaccante più prolifico della storia del Torino. Vinse per ben tre volte la classifica cannonieri: nel 1973, con Gianni Rivera e Giuseppe Savoldi, e poi ancora nel 1975 e nel 1976. In questo ultimo caso le sue 21 reti furono determinanti per la conquista dello scudetto da parte della formazione granata. Con il Torino si aggiudicò anche un' edizione della Coppa Italia (nel 1971). Ha formato a metà degli anni Settanta la celebre coppia dei "Gemelli del gol" con Francesco Graziani. Oggi si è chiamato fuori da questo calcio moderno”è solo un’industria, senza valori, senza sentimenti” non ha il cellulare ed insegna ai ragazzini di Trezzo d’Adda ciò che ha appreso al Fila, ed il Trezzo è il miglior serbatoio lombardo di futuri campioni: “godo di più qui che allenare in A”. Pulici seppe esaltarsi in particolar modo nelle partite casalinghe di fronte alla curva "Maratona" di cui fu per molti anni l'incontrastato beniamino. E lo è ancora oggi…

Pulici non credeva di diventare un calciatore. Roncello non è il paradiso, ma un paesotto alle porte della Grande Milano, dove pallone e fabbrica erano e sono pane e realtà.“Giocavo per divertirmi. Avevo 15 anni quando mi chiamò il Legnano in C, la squadra che aveva lanciato Gigi “Rombodituono” Riva, ne ero orgoglioso e spaventato. Inoltre dovevo lavorare per aiutare la mia famiglia in difficoltà. Fui poi cercato dalla Fiorentina, ma mio padre non diede il permesso per la lontananza e in seguito fui scartato frettolosamente dall’Inter, bollato con un giudizio duro e inclemente di Herrera che però mi fortificò. Venne poi la convocazione nell’Under 16, la folgorazione di Ellena che convinse i miei a lasciarmi andare al Toro. E lì iniziò il sogno.”

Il Filadelfia, “Bida” Ussello, Bearzot, Cozzolino, Zambruni, uno staff tecnico superlativo e umano, una seconda famiglia per il poderoso cucciolo di bomber. Quei muri e quel prato che parlavano di Loro, dei Miti:”…attraversare il cancello del Filadelfia, che emozione incredibile. Sentire la Leggenda sulla pelle. Vivevamo ancora tutti nel mito di Superga. Toccarlo, respirarlo, viverlo ed esserne erede mi faceva provare delle sensazioni vertiginose, magiche. Tutto parlava di Loro. I vecchietti durante gli allenamenti ci raccontavano le loro gesta, e quando giocavamo ci paragonavano a Mazzola, piuttosto che a Gabetto o a Ballarin. Una responsabilità enorme, uno stimolo ultraterreno. Sentivamo crescere dentro l’orgoglio di indossare questa maglia. Anzi di essere questa maglia”.

Pulici cresce, sgomita, soffia dalle narici come un torello incatenato. I gol, quel campo magico, quella maglia carismatica. Fabbri, Giagnoni e il muretto del “Fila”. L’esordio, il Comunale, il primo gol in A e poi” Fabbri mi fece esordire in A proprio contro il Cagliari di Riva. Il primo gol lo segnai, per un preciso e beffardo disegno degli Dei, proprio a quell’Inter che mi aveva ripudiato con uno spietato epitaffio” quello lì? un ottimo atleta, ma per il calcio non va bene…”, con una splendida mezza rovesciata a San Siro. Poi 24 gare all’asciutto. “Un bomber anomalo” iniziarono a chiamarmi i giornalisti, e i tifosi mugugnare, e la società a cercare Chinaglia. Qualcuno mi consigliò di ricominciare dall’ABC (come scrisse Barbero in Il Toro Addosso, Graphot Editrice. nda), si diciamo gli allenamenti supplementari al famoso muro. Saltai solo due gare. Rabitti e Vatta, i Professori, curarono l’aspetto tecnico, ma soprattutto quello psicologico e umano. Rientrai e non uscì mai più. E soprattutto non smisi più di segnare”.

Segnare sempre e ovunque, meglio se sotto la tua Maratona: “ i ragazzi degli Ultras erano miei coetanei. Mi caricarono nel sangue la voglia di Essere del Toro, non solo di giocare nel Toro. Eravamo una cosa sola. Usavo come radar e riferimento l’urlo della Maratona. Sapevo dove ero in campo, se potevo girarmi e concludere in porta, solo dall’urlo della Curva. L’urlo della Maratona. Un groppo in gola ancora adesso, credimi…è difficile spiegare. All’epoca abitavo a Santa Rita a poche centinaia di metri dal Comunale e da quella Curva. Tornavamo a casa insieme, io e gli Ultras. Era un rapporto speciale, e sebbene in quel Toro i Campioni abbondassero (Ciccio, Banana, Eraldo, Zac…), nessuna gelosia da parte dei miei compagni. Loro sapevano che quell’amore, quel rapporto morboso era una risorsa per tutti. Con la Maratona superavamo le difficoltà. Eraldo (Pecci, nda) diceva che se andavo in giro nudo, con un numero 11 disegnato sulle spalle, tutti avrebbero detto che ero il Toro. Quell’urlo per Pulici era l’urlo del Toro. Un ruggito. Una forza interiore sovrannaturale. Un orgoglio unico”.

Pupi e la metropoli: ” Venivo da un paesino di 1000 anime, già Milano era un’avventura. Torino fu uno shock: la Fiat, gli anni di piombo, ma soprattutto la prima immagine furono quei viali enormi, ortogonali, per le automobili, appunto…ma anche quel centro, con i suoi porticati infiniti, eleganti e imponenti al contempo, accoglienti e regali, defilè e riservatezza: era proprio la città del Re…”Che ti incoronò Re quel 16 maggio del 1976, quando il Comunale, ma soprattutto Maratona, erano una nuvola granata che esplodeva contro il sole: ” Che magia! Quella squadra, quel Grandissimo Presidente. Vincemmo perché volevamo arrivare lassù. Allo stesso livello dei Miti. Sfidammo la Signora e la sconfiggemmo. Pianelli non svendette nessuno, nonostante lusinghe e soldini. Riempivamo gli stadi, giocavamo divertendoci e divertendo. Anche gli avversari lo ammisero. Ancora oggi mi dicono che molti interisti e milanisti venivano a San Siro per vedere giocare il Grande Toro di Pulici. Vincemmo, ma avremmo dovuto vincere di più…ma dall’altra parte c’era la Juve. Perdemmo uno scudetto con 50 punti…forse il Milan o l’Inter lo avrebbero vinto…il Toro No! Nemmeno gli Dei poterono contro la Signora e il Palazzo…scrivilo pure, è verità!”La verità, chi la dice nel mondo del calcio soprattutto, paga pegno…” rifarei e ridirei tutto. Anche in Nazionale non raccolsi quello che forse meritavo. Ricordo che io e Antognoni eravamo i due outsiders, forse i due migliori fra quelli fuori dal giro delle grandi. Ma eravamo schivi, riservati. Non ci vendemmo ai giornalisti con ammiccamenti e moine. E poi c’erano i clan degli juventini e dei milanisti. E i clan pesavano, in campo e fuori. Io però un mio record in nazionale ce l’ho: unico ad essere convocato a due edizioni mondiali, unico a sedere sempre in tribuna…”La coppia più bella del mondo”…perfetti. Uno sguardo e sapevamo dove bisognava essere. Senza imbrigliarci mai a vicenda. I gemelli non parlavano. Si guardavano. Se ci avessero fuso insieme saremmo stati l’attaccante perfetto di tutti i tempi…io e Ciccio”.Nel futuro prossimo del Toro, archiviata l’estate di fuoco e lacrime, cosa vede Pulici? “ più che vedere mi auguro un Cairo umile e orgoglioso come il mio Pianelli. E undici cuori granata in campo sostenuti dalla Maratona, non conta quanto belli e vincenti, ma dannatamente granata…questo si!”4 maggio 2005, il Giorno della Memoria Granata: ” un bagno di folla, un entusiasmo da Toro. Mi sono chiesto come facessero quei ragazzi a conoscerci ad amarci così? Ma poi mi sono guardato la maglia, e ho capito: io ho giocato nel Toro e al Filadelfia cresci sapendo cos’è il Toro. E quei giovani, quegli anziani, quel popolo è cresciuto al Filadelfia, è ovvio no? Quando siamo arrivati, io e gli altri ex, e vedere che non c’era quasi più niente, il cuore è come se si fosse fermato. Ma poi vedevo la gente che si muoveva, che sventolava, che ci festeggiava. E sembrava che quella gente, quella carne, quegli occhi, quella pelle avessero ricostruito con i loro corpi le gradinate. Allora tu mi chiedi cosa sono 100 anni di Toro? Sono l’Orgoglio, un bene quotidiano che deriva dal rispetto degli avversari che ancora oggi mi dicono”Voi siete diversi dagli altri”. Certo NOI SIAMO IL TORO e lo saremo per sempre”.Domenico Mungo