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Addio a Beppe Marchetto

E’ rimasto giovane fino all’ultimo respiro, sapeva di essere condannato, ma l’unica malattia che riconosceva era quella del Toro e dei campi di calcio. Dai suoi occhi azzurri, rimasti gioiosi anche col tempo...

Redazione Toro News

"E’ rimasto giovane fino all’ultimo respiro, sapeva di essere condannato, ma l’unica malattia che riconosceva era quella del Toro e dei campi di calcio. Dai suoi occhi azzurri, rimasti gioiosi anche col tempo che passava, si sprigionava una passione encomiabile e dai suoi piedi una conoscenza dei fondamentali oggi dimenticata. Non amava il calcio moderno, fatto di potenza e velocità, era rimasto legato alla tecnica individuale, alla volontà, ma soprattutto alla fantasia.

"Era piccoletto e magrolino, ma tra i giovani sbattuti in campo dopo la tragica notizia di Superga, era quello che metteva volontà e intuito nella manovra, anche se, chi l’ha visto giocare sul serio, si dice che non fosse del tutto continuo e avesse qualche distrazione oltre il campo. Per tutti resterà sempre un figlio del Filadelfia, uno che ha visto in faccia i Campioni e li ha sfiorati, con quel garbo tutto piemontese, condito dall’allegria semplice dei contadini raffinati cuneesi. La sua vita si è sviluppata per intero al Fila, dopo essere stato giocatore ha avuto una lunghissima militanza come allenatore delle giovanili. Non era tra i più severi, perché amava divertirsi con i suoi giovani, a lui bastava un tocco di destro, un colpo di testa per sentirsi maestro senza bisogno di alzare la voce. Era già malato, ma sognava ancora di far parte del nuovo Torino FC, anche solo per dare delle consulenze tecniche, così come aveva fatto fino a pochi mesi fa.

"Ogni tanto qualche allenatore lo mandava a chiamare per sistemare la tecnica non solo di qualche giovane in crescita, ma anche di titolari che avevano bisogno di una ripassatina. Pochi lo sanno, ma fu Marchetto che prese in consegna il giovane Claudio Sala quando aveva ancora qualche problema sui cross. Beppe lo raccontava spesso agli amici, soprattutto gli luccicavano gli occhi al pensiero di aver contribuito a forgiare colui che divenne il Poeta del Gol.

"I miei ricordi strettamente personali sono localizzati al Filadelfia, quando noi ragazzine si tagliava da scuola o dagli studi per andare a vedere i giovani campioncini sul manto erboso. Marchetto amava fermarsi con noi e una volta ci chiese l’indirizzo per mandarci una cartolina da un torneo che si svolgeva in Francia. C’erano nella sua squadra i vari Bonesso, Mandorlini, Francini, un certo Franco Di Nuovo che con i suoi lunghi capelli biondi al vento era l’idolo delle fanciulle dell’epoca.

"Questo era Marchetto, con la voglia di stupire per la sua simpatia e amore puro per il calcio. La gente come lui non se ne andrà mai del tutto, perché il ricordo lo farà rivivere attraverso la storia del Toro. Tra i ruderi del povero Filadelfia la sua anima continuerà a danzare alla continua ricerca di un campo di calcio, per poter sorridere in eterno correndo dietro ad una palla che vaga senza fine.