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Julio Libonatti
Vej Turin / Un campione senza freni
"«Corre se piove, corre dentro al sole tre più tre per lui fa sempre sette». Parafrasando Lucio Dalla questo è Julio Libonatti, uno che della normalità non seppe mai cosa farsene. Numeri da spavento: 150 gol in 239 presenze in granata, senza contare gli assist. Una leggenda in grado di resistere ai decenni e che continua a guardare il Toro dall'alto del suo secondo posto nella classifica marcatori di sempre.
"Correva e pensava Libonatti, el Potrillo, un puledro capace di cogliere ogni errore della difesa, di infilarsi e colpire a fine manovra, con «un tiro corto, ma preciso, sul portiere quasi sempre spiazzato» ricorda Ettore Berra. Sbarcò a Torino nell'estate del 1925, segnalato a Enrico Marone Cinzano da un certo Bosco, incaricato in Argentina della Cinzano. Lo stesso presidente granata andò a vederlo giocare, a Rosario, con la maglia dei Newell's Old Boys. Una versione più romanzata racconta di come il Toro tentò inizialmente di mettere sotto contratto il fratello, Umberto, ma davanti ai dinieghi del giocatore i dirigenti argentini spedirono in Italia il fratello più piccolo: Julio. Torino, 11 ottobre 1925: seconda giornata di campionato, la prima in casa del Toro: Libonatti si presentò al suo pubblico. Alto 1 metro e 69 per 69 chilogrammi, pieno di brillantina neanche fosse Rodolfo Valentino, piccolo di statura ma forte nei contrasti, rapido nella corsa e a cambiare gioco: un vero argentino. Quel giorno Libo esaltò i tifosi granata con una doppietta, ed era solo il suo biglietto da visita: a fine stagione furono 18 i palloni scaraventati in rete.
"«Campione, favoloso mattoide» scrisse di lui Ormezzano e bisogna ammettere che anche fuori dal campo il Libo ebbe pochi rivali. Duemila lire al mese più un bonus gara oscillante tra le cinquanta e le cento lire: questo prevedeva il contratto e questo spendeva Julio ogni mese, facendo girare l'economia torinese (ottimo cliente soprattutto per i sarti: cravatte eleganti e almeno venti camicie alla volta). Ma non solo eleganza: il Libo conosceva tutti i locali del centro e li frequentava con la sua aria da dandy esotico, il vestito giusto, il capello appiccicato alla testa e la stecca in mano. Una passione, quella per il biliardo, che lo rese celebre quasi quanto il calcio: un uomo che viveva al massimo, sentendo nell'aria lo swing degli anni '20.
"Soddisfazioni, sicuro, Libonatti se ne prese molte: capocannoniere nella stagione 1927-28 (35 reti) anno in cui vinse il campionato; un altro scudetto (revocato) l'anno precedente, una Coppa Internazionale (antenata degli europei) vinta anche lì da capocannoniere con l'Italia. Già, proprio l'Italia, perché un uomo come Libo era il tipo giusto per imprese eccezionali: divenne il primo oriundo nella storia della Nazionale italiana, un eroe dei due mondi. Dopo 15 presenze con l'albiceleste, infatti, indossò senza troppi problemi la maglia azzurra il 28 ottobre del 1926 lasciando il segno con 15 gol in 17 presenze.
"Negli anni '20 al Libo riusciva tutto e tra tiri di punta e di giustezza realizzò qualcosa come un centinaio di gol solo tra il 1925 e il 1929, sempre presente negli appuntamenti con la Storia (basti pensare alle sue due reti nella partita inaugurale del Filadelfia). Il nuovo decennio, però, non gli portò altrettanta fortuna. Tra infortuni e abbandoni di compagni, tra flessioni di forma e di motivazioni, il rendimento di Libonatti non fu più quello extraterrestre degli inizi: dal 1930 al 1934 l'oriundo realizzò solo (si fa per dire) una cinquantina di gol. Anni difficili per il Toro: dall'altra parte del Po Carlo Carcano diede vita a una squadra in grado di monopolizzare lo scudetto per metà decennio, proprio mentre le stelle granata iniziavano la fase discendente della carriera.
"I giorni di Julio sotto la Mole finirono con la stagione 1933-34, ultimo del trio (Libonatti, Baloncieri e Rossetti) ad appendere la maglia granata al chiodo. Solo quella però, perché le scarpe se le portò ben strette all'ombra della Lanterna: Genova, sponda rossoblu, lo accolse dopo gli anni torinesi. Altro giro di giostra per il Libo: due stagioni con il Grifone tra Serie B (vinta nel 1934-35) e Serie A. Ma era il canto del cigno. S'improvvisò giocatore/allenatore a Rimini per una sola stagione al termine della quale, trentasettenne, decise di chiudere col calcio e con l'Italia.
"Fu un'uscita di scena degna della sua fama: fedele al suo modo di vivere, Julio di soldi per il piroscafo non ne aveva. Amici e tifosi organizzarono così una colletta riuscendogli a pagare il biglietto, ovviamente di prima classe, per tornare a Rosario.
"E qui, decenni dopo, la postilla finale della sua storia. Dall'Argentina rimbalzò la notizia che Libonatti fosse malato e povero. Qualcuno iniziò a raccogliere soldi da spedirgli (si mise in mezzo anche la FIGC) finché non si scoprì che si trattava di un truffatore. Julio, assolutamente ignaro, era diventato ispettore al Ministero del Lavoro, conquistando in Argentina qualcosa che non ebbe mai in Italia: una vita tranquilla.
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