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Toro, la vecchia sede di Via Alfieri

Vej Turin / Quel sottile legame tra calcio e architettura

Redazione Toro News

In un calcio sempre più ricco, come quello degli anni '30, dove il mercato inizia a diventare elemento di interesse e di discussioni per i tifosi, dove i ruoli tecnici si delineano stagione dopo stagione differenziando allenatori da preparatori e team manager, le società emergono come grandi entità a sé stanti non più rappresentate esclusivamente dai calciatori in campo. 

"Non fa eccezione il Torino che nel 1929 abbandona via Pietro Micca – dove è nato e dove ha mosso i primi passi – per instaurarsi in una sede importante, in grado di esprimere la forza, la tradizione e il prestigio della squadra: via Alfieri 6.Il palazzo in cui la società granata va a insediarsi è, già di per sé, parecchio affascinante. Costruito nel 1663 dall'architetto Maurizio Valperga, è una piccola summa dell'esperienza architettonica piemontese nel suo gran secolo, il 1700. Posizionato in un luogo strategico, tra banche e assicurazioni e vicinissimo a piazza San Carlo, palazzo Valperga è tra gli ingredienti che permettono di arricchire l'identità granata, favorendo quell'integrazione tra calcio e appartenenza cittadina che più tardi, nella seconda metà del XX secolo, ha ulteriormente caratterizzato l'anima del Toro.Possiamo immaginare l'impatto provato da un neo calciatore degli anni '30, soprattutto se proveniente da fuori città, al momento di recarsi in sede per firmare contratti o per sbrigare altre pratiche. Arrivando da Porta Nuova e percorrendo via Roma sarebbe prima di tutto sbucato in piazza San Carlo, luogo fortemente suggestivo dove si coglie – con un solo colpo d'occhio – la storia, la tradizione e la dignità espressa nei secoli da Torino. Da lì, girando a sinistra, il calciatore avrebbe attraversato i primi palazzi di via Alfieri, centri del potere economico e finanziario, architettonicamente imponenti. All'angolo con via XX Settembre, infine, avrebbe avuto davanti a sé palazzo Valperga in tutta la sua solennità e proseguendo – pochi passi ancora – fin sotto il portone, su cui campeggiava lo stemma societario, avrebbe compreso cosa volesse dire indossare la maglia della squadra omonima alla città. Entrando dal portone per salire al primo piano sarebbe stato necessario oltrepassare l'atrio e imboccare uno scalone, scenografico almeno quanto una quinta teatrale e da lì salire la scalinata, marziale ed elegante. Quando una semplice passeggiata di dieci minuti vale più di una lezione.La sede occupava parte del primo piano del palazzo e viene ricordata, durante l'epopea del Grande Torino, come il regno del segretario Igino Giusti. Club all'inglese poco illuminato – un'oscurità scenografica – Sauro Tomà descrisse così il quartier generale granata: «Palazzo austero. Due stanze, al primo piano, erano state trasformate in uffici: più avanti c'era un'imponente sala riunioni, dove si sprecavano specchi e tappeti; al centro un gran tavolo d'epoca circondato da splendide poltroncine in velluto rosso. Alle pareti campeggiavano diverse formazioni del Torino, le più gloriose, a partire dal leggendario “Trio delle meraviglie”. […] Di fronte ad una bacheca straripante di coppe e trofei, tentavo di scoprire il passato del Toro, nell'attesa di incontrare Erbestein». Erano già gli anni '40 quando Tomà entrò la prima volata in via Alfieri: in quei giorni la potenza architettonica del palazzo trovava un suo degno corrispettivo in Ferruccio Novo, presidente saldo, ambizioso e dalle idee chiare. Ma il presidente del Grande Torino entrò in carica solamente nel 1939; durante gli anni '30 la società che abitava il primo piano si dimostrò invece assai meno salda di quanto volesse far credere. Indizio importante per cogliere quanto fosse difficile la governabilità del club granata è la lunga lista di presidenti che si alternò in quegli anni: ben sei presidenti, infatti, separano Marone Cinzano da Ferruccio Novo, gli stessi che separano il conte da Schönbrod, il primo presidente granata. Dal 1928 al 1939 si susseguirono sulla poltrona più alta Giacomo Ferrari, Giuseppe Vastapane, Vittorio Gervasio, Giovanni Battista Mossetto, Euclide Silvestri e Giovan Battista Cuniberti, in una girandola dirigenziale parallela a quella della squadra in campo, protagonista di campionati vissuti tra alti e bassi. Furono molte le stagioni travagliate, le litigate tra soci vissute tra quelle mura come molte saranno poi, con il decennio successivo, le soddisfazioni e le coppe aggiunte in quella bacheca che Tomà ammirò incuriosito. La sede di Via Alfieri apparve in video, alcuni fotogrammi fugaci, anche sulla “Settimana Incom”, nella sua puntata più triste, più straziante per i tifosi granata: quella dedicata alla tragedia di Superga. In quei cinque minuti sulla tragedia del Grande Torino, proiettati nei cinema di tutta Italia, colpiscono le riprese esterne a Palazzo Valperga. Dalla sede si coglie, riguardando il video ancora oggi, un'immagine di un dolore dignitoso, solenne, con il lutto esposto al balcone di fianco alla bandiera italiana a mezz'asta, le finestre aperte e sotto, in strada, tifosi attoniti accorsi in cerca di maggiori notizie. Dieci anni dopo, sempre tra quelle mura, si visse anche la prima discesa in B e la risalita immediata, l'anno successivo, alla massima serie.L'abbandono, nel 1962, fu come un atto simbolico. Separandosi da quelle sale cariche di storia granata il Toro svoltava faticosamente pagina: l'anno successivo in corso Vittorio Emanuele sarebbe cominciata un'altra epopea, quella di Orfeo Pianelli e di un torello in grado di maturare fino a tornare, stagione dopo stagione, grande protagonista in Serie A.