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Meditazioni estemporanee

Di Fabiola Luciani

 

L'orizzonte presenta alcune nubi, un'incipiente, lontana foschia non rende ben visibile ciò che potrà accadere a medio termine, gli uccelli non volano così in alto come...

Redazione Toro News

Di Fabiola Luciani

L'orizzonte presenta alcune nubi, un'incipiente, lontana foschia non rende ben visibile ciò che potrà accadere a medio termine, gli uccelli non volano così in alto come la serenità dell'attuale cielo consentirebbe loro. Pertanto fiuto l'aria e ciononostante penso, parafrasando un grande saggio, che la cosa importante sia cercare di vivere comunque con consapevolezza il proprio presente. Quindi, do un ultimo sguardo agli avicoli che girano a quota medio bassa, alla foschia lontana e alle nubi all'orizzonte e, idealmente, decido di godermi il giusto momento di questa salvezza tanto agognata e da sopravvissuta m'immagino idealmente una prossima partecipazione alle coppe europee. Mi immagino quindi un portico ideale di una mia del tutto ipotetica casa situata in leggero rilievo, una collinetta verde che degrada fino al superbo mare dove l'occhio si perde e sogna, cullata dalla brezza, seduta comodamente sulla sedia di vimini, al riparo dal sole sotto il portico in legno, a sorseggiare un generoso bicchiere di Rosso di Montalcino, il tutto condito da cantuccini alla mandorla. Mentre sorseggio il rosso nettare toscano, e il sole filtra attraverso le assi del patio, sto con quello che c'è. Quello che c'è non è molto, ahimè, ma io in questi anni ho visto ancor meno, per cui cerco di farmene una ragione. Mi scorrono le immagini del nostro Capitano accompagnato da una sinfonia di archi a cui mancavano ad assisterlo sia i fiati che gli ottoni di Goran Bregovic, ma è come se ne avessi sentito il suono incessante e ritmato come al circo o allo sketch de "I bulgari" di Aldo, Giovanni e Giacomo. Un regista piccolo ma dal cuore tanto generoso che nel segno del Toro decide di rigenerarsi e di donare la sua saggezza tattica e la sua esperienza al servizio della squadra. L'uomo spogliatoio, ovvero quello che definiscono ormai da tempo come "uno di noi" che sorride beffardo e abbraccia la "sua" curva, avvicinando tutte le nuove leve al sacro rituale granata. Il grande ed immenso custode, guardiano della porta granata, che dopo aver girato mille mondi e vinto in mille lande, qui ha finalmente trovato il suo centro esistenziale. Il mitologico conduttore che tiene unita e rinserra da oriente a occidente, volando e lanciando reti invisibili con il suo linguaggio forbito e spiazzante, questa fucina d'intenti che da tre anni forgia sul suo sapiente incudine, una materia solida e temprata dalle ripetute battute del mastro, incandescente acciaio infuocato di rosso acceso, tendente al granata le cui scintille sprizzano estri finalmente liberati, passioni ben guidate, miglioramenti costanti conseguiti con sudore e impegno quotidiani, fiducia costruita giorno per giorno senza alcun risparmio di sé. Un'entità ben definita con un cuore e un'anima ben individuata. Da lontano intravedo anche il timoniere, il nostro traghettatore che nonostante i non cospicui capitali e risorse finanziarie, non pensa per debolezza come fanno gli altri ed agisce esclusivamente per la Ragion di Stato, che per lui ha un nome solo: Toro. Ed infine il miracolo. Il miracolo che vede la fusione tra l'entità e il suo creatore: la Maratona, i suoi tifosi, quel popolo che da generazioni vive il proprio fuoco nel significato e nel segno di qualcosa che è immenso e unico ma che, incardina la propria grandezza in una semplicità struggente, dove per comprendere basta essere in una piazza, sedersi, osservare, respirare. Comprendere. Conseguire insieme. Tutti insieme. Oggi c'è questo. Di doman non v'è certezza, è vero. Ma oggi mi gusto quanto di bello questo Toro mi può offrire. E oggi va vissuto respirando a fondo quell'aria che inebria la storia del Toro che deve vivere oggi una fusione di intenti, dove la fusione di esperienze deve fondersi sull'identità di obiettivi tra chi va in campo, chi organizza coloro che vanno in campo e chi segue con immutato slancio gli uni e gli altri nel nome del Toro. Non ci devono essere più barriere, non ci devono essere più ruoli. Il tifoso deve diventare giocatore, perché quest'ultimo deve scendere in campo come tifoso. L'essere granata così si potrà esprimere ai massimi livelli perché anche se dovessero perdere, giocando però sino allo spasimo, dando il cuore in campo, i giocatori sapranno che i tifosi granata, ormai fratelli di un unico legame con loro, li attenderanno al loro arrivo con applausi scroscianti. Condivisione. Condivisione di intenti. Comunione di intenti. Mi scosto leggermente colla testa oltre il patio, per osservare nuovamente il cielo mentre mi verso un altro bicchiere di rosso. Le nubi lontane sono sempre là, il sole non le ha sciolte, né ha sciolto l'avanzante foschia. Gli uccelli volano sempre più di rado. Il timoniere ha vinto anche questa battaglia, ma i forzieri dello Stato sono quasi a secco, almeno così dicono gli esperti. I coraggiosi corsari che siamo tutti noi, tifosi, giocatori, mister, non riescono più ad avvistare galeoni da conquistare moltiplicando al massimo tutti i propri sforzi in ogni battaglia, in ogni assalto, in ogni impegno. E senza l'oro, si sa, la Corona vacilla, il popolo langue. Ecco, sto osservando proprio questo Toro corsaro, questo Toro d'arrembaggio, che deve riuscire dove altri che l'hanno preceduto non sono riusciti; deve giungere fino al nocciolo duro dell'essere granata, cioè deve lottare ogni giorno senza tregua cercando con il proprio cuore ed il proprio coraggio di sopperire al divario che la separa dalle ricchezze dei potenti del calcio. Questo perché la necessità aguzza l'ingegno e spinge a superare i propri limiti. Come osserva mio nonno, la squadra degli zoppi è la più forte. Perché non s'arrende mai. Perché dove non arriva con la corsa, alla fine ti tira appresso la stampella pur di cercare di vincere. E' questa la ragione per cui, con buon diritto, noi granata possiamo ragionevolmente osservare con signorile distacco dall'alto in basso chi viene ciclicamente favorito dalle proprie ricchezze e non dai propri meriti a fatica conquistati sul campo.E' grandioso e bello sentire ognuno di noi attori, ciascuno nella sua parte, consapevolmente responsabili di quel piccolo pezzetto di operosità, di contributo personale che è richiesto ad ognuno di noi e che ognuno di noi vive con dedizione totale, trovare sempre le parole giuste, nelle quali il pathos e l'emozione diventano un compasso che disegna cerchi sempre più ampi, un po' come quelli che un sasso tirato provoca nell'acqua. Cicerone disse: "Rem tene, verba sequentur!". Se padroneggi l'argomento, le parole seguiranno e a noi le parole ci vengono, perché l'amore e la passione per il Toro lo teniamo dentro di noi, vivo.Certo sarebbe bello riuscire a conservare questo spirito granata integro, puro, fuoco combattente e nobile e di poter trasmettere questo miracolo emotivo che è oggi l'universo Toro ad ogni componente della squadra e della società, tale da renderla forte, fiera e vincente come non mai.Se questo è il campionato più bello del mondo e se non è il più bello è sicuramente il più duro, bisognerà convincersi che il Toro deve essere un assoluto protagonista di questa realtà e non una meteora per i nostalgici e gli invidiosi, che in Italia sono più numerosi dei cinesi. Sento che questa città ha il bisogno di scoppiare di gioia. Spero che si riesca tutti, in un giorno non lontano, a far scoppiare questa città della gioia di cui ha fin troppo bisogno.Il futuro è questo, il resto è storia. Chiara, cristallina, inconfutabile.

Forza Toro al di là del tempo e dello spazio.