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Si preme sull’acceleratore

La società lavora per preparare la stagione 1940-’41. Ma il calcio, e specialmente il mercato, attraversano una fase di stagnazione: pochi investimenti, le squadre difficilmente mollano i propri buoni elementi; una...

Redazione Toro News

"La società lavora per preparare la stagione 1940-’41. Ma il calcio, e specialmente il mercato, attraversano una fase di stagnazione: pochi investimenti, le squadre difficilmente mollano i propri buoni elementi; una situazione non lontana da quella che si vive da qualche anno in qua (seppur, allora, figlia di situazioni esterne ben diverse). Ne risente in parte anche il Torino: si acquistano due giocatori di buona ma non eccelsa levatura, come Ussello e Cassano, e si procede alla rivisitazione completa del reparto offensivo, che in un anno vede cinque acquisti, dando fiducia tra questi al giovanissimo, già citato, Franco Ossola. Il ragazzo, l’anno prima, aveva collezionato tre presenze, e ai più aveva dato l’idea di essere tecnicamente preparato ma fisicamente inadatto alla Serie A. Ciononostante, convinti di aver fatto un buon acquisto, i dirigenti puntarono su di lui. Alla guida tecnica, riecco Tony Cargnelli, vecchia conoscenza. Allenatore vecchio stampo, l’austriaco aveva ottenuto successi ben noti in passato, ed aveva soprattutto di affidabile, se non magari di spettacolare.La squadra partì bene, e ancor meglio Ossola, in gol dopo 120 secondi della prima di campionato. A fine girone d’andata, il Toro era lanciato verso le posizioni di testa, arrivando al giro di boa con 19 punti. Poi, un crollo. Inspiegabile. I giocatori non sembravano più gli stessi, e a tre giornate dalla fine si tocca la zona retrocessione. Poi, le ultime tre coincidono con altrettante vittorie: i tifosi di oggi sono liberissimi di operare ogni scongiuro ritengano opportuno. Il piazzamento finale è un addirittura un 7° posto.

"Novo però non è soddisfatto: lui ha un progetto, è un programmatore, non guarda solo al posto in classifica raggiunto, ma all’andamento tenuto dalla squadra; e questo lo preoccupa. Vede come sola cosa buona l’aver avuto ragione nello scommettere su Ossola, che ha segnato 15 gol in 22 presenze.

"Ma per la stagione successiva, il Presidente decide di cambiare. Il mercato ristagna? Questo non dovrà più essere un ostacolo. “Approfittiamone!”, è il motto. Novo decise di intervenire massicciamente, capì che bisognava virare: a partire dalla guida tecnica. Voleva vincere. E decise di scegliere un allenatore non già vincente, non già carico di allori, ma che avesse una caratteristica: doveva saper creare un gioco che si imponesse, un gioco che avesse l’obiettivo di dominare, di attaccare. Come il nuovo schema in voga in Inghilterra, il sistema. Sarà Kutik a dover impostare questo che oggi definiremmo una sorta di 3-2-2-3 piuttosto offensivo. Coraggio: non manco certo alla società. Ma la società voleva vincere, come si è detto. E mise sul tavolo coraggio, ma anche denaro. Non a fiumi, ché non ce n’era così tanto: ma realizzò alcuni investimenti notevoli affiancandoli ad operazioni meno dispendiose ma ben mirate. Tra le ultime, sicuramente va ricordata la rinnovata attenzione al settore giovanile. Tra i primi, gli acquisti, quell’estate, di cinque giocatori di peso. Ferrarsi II, 30enne ala Campione del Mondo; Menti, giovane che già da qualche anno fa parlare di sè, ala anch’egli, strappato alla Fiorentina per una bella cifra; e infine, dalla Juventus arrivò un terzetto (Bodoira, Borel e Gabetto) di giocatori di talento indiscusso ma che i bianconeri consideravano ormai in fase calante, a dispetto dell’età, e che non avevano ricevuto recentemente trattamenti dolcissimi. Novo fece leva sul loro malcontento per offrire un’occasione di riscatto. Ciò non toglie che per Gabetto dovette sborsare 330mila lire, superando le avances del Genoa.

"Innovazione tattica e rinnovamento del parco giocatori; giovani affamati e campioni acclarati in cerca di rivincita (comunque bassa l’età media). Questa la ricetta voluta da Novo, e perseguita dai suoi collaboratori (in particolare Ellena, che suggerì con forza l’acquisto di Menti). I risultati si vedono: la squadra plasmata dalla dirigenza ed orchestrata dall’allenatore ungherese macina gioco e risultati, è giovane e coraggiosa, e lotta per lo scudetto. La corsa verso il titolo si interrompe alla terzultima di campionato, quando una sconfitta lancia la Roma alla vittoria finale. Ma il Torino conclude con il miglior attacco del campionato, e soprattutto con una rosa formata dai buoni elementi presenti nelle ultime 4 stagioni, tutti mantenuti in squadra, dai giovani che si son fatti crescere e si sono curati, e dai tre nuovi acquisti di peso (Ferrarsi, Menti e Gabetto) che son valsi i soldi che son costati.

"Più d’ogni altra cosa, il meccanismo societario lavorava a pieno regime. Gli osservatori erano competenti ed appassionati, oltreché numerosi, e non mancavano di aggiornare Torino delle loro segnalazioni. Con un lavoro così, si poteva stare tranquilli. L’allenatore, un po’ riluttante alle idee tattiche che il proprio parco giocatori comunque gli imponeva, sapeva far giocare la squadra, e si era visto. Mancava solo la consacrazione.

"A margine: le due sconfitte decisive della stagione, quella che estromesse il Toro dalla Coppa Italia addirittura al primo turno, e quella che alla terzultima di campionato gli fece perdere il primo posto, avvennero entrambe per mano del Venezia, bestia nera dei granata 1940-’41. A guidare i sorprendenti neroverdi c’erano due atleti di nome Ezio Loik e Valentino Mazzola. A Torino presero nota...