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Capolavori al buio

Casagrande

Torna "Culto", la rubrica a cura di Francesco Bugnone: "Esistono reti che, sebbene meravigliose, scompaiono dall’immaginario collettivo. Due sono le perle di cui andremo a parlare, tutte con lo stesso autore..."

Francesco Bugnone

Esistono reti che, sebbene meravigliose, scompaiono dall’immaginario collettivo. Non vengono mostrati nelle carrellate dei gol più belli senza un perché. Eppure sono reti stupende, non banali ed è un peccato che vengano pubblicizzate di meno. E’ come avere un Van Gogh in casa e lasciarlo in un punto non illuminato della stanza. Anzi due Van Gogh, perché due sono le perle di cui andremo a parlare, tutte con lo stesso autore: Walter Junior Casagrande.

“Casao” è al centro dell’attacco del Toro che dà l’assalto all’Europa nel 1991/92. Walter ha una prestanza fisica non indifferente visto che è alto un metro e novantuno per ottantacinque chili, ma possiede due piedi letteralmente d’oro che danno del tu al pallone, sia quando lo accarezza per i compagni, sia quando si mette in proprio per preparare le sue conclusioni in porta. Come se non bastasse, ha una personalità immensa, non a caso è stato uno dei protagonisti della Democrazia Corinthiana di inizio anni ’80. Ha tutto per essere amato, ma gli inizi sotto la Mole non sono facili e la stampa cittadina (ma guarda un po’) lo addita addirittura come “oggetto misterioso”, etichetta che il brasiliano inizierà a scrollarsi di dosso una sera ad Atene quando con una cannonata di testa pareggia il vantaggio su punizione di Daniel Batista in una gara terminata con un prezioso 2-2.

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Quando arrivano i quattro giorni in cui dipingerà i due capolavori lasciati al buio, lo status di Casagrande è totalmente cambiato. Ha segnato in Europa, ha segnato in Italia, ha aperto le marcature a Madrid, ha risolto un derby con una doppietta. Il Toro è in alto in campionato e in finale di Coppa Uefa. L’ultimo atto tanto atteso è lì, sta arrivando, ci attrae e ci fa paura, non pensiamo ad altro, ma il 25 aprile 1992 dobbiamo ospitare il Milan di Capello, imbattuto e a cui manca solo la matematica per dirsi campione d’Italia. Si tratta di un titolo mai in discussione: la Juventus, seconda, è considerabile avversaria dei rossoneri solo perché bisogna dire qualcosa, ma non è mai sembrata in grado di lottare per il primato nonostante il ritorno di Trapattoni dopo la (per noi) gloriosa annata di Gigi Maifredi.

Si tratta di un pareggio annunciato, ma con lampi di bellezza. Il più folgorante arriva dopo otto

minuti: Martin Vazquez alza la testa e, dal cerchio di centrocampo, lascia partire un perfetto ì lancio di destro per Casagrande che brucia la difesa rossonera e si ritrova solo davanti ad Antonioli. Il pallone rimbalza e “Casao”, all’altezza della lunetta, se lo ritrova a fianco, mentre lui è leggermente in avanti col corpo. Il giovane portiere rossonero sta uscendo e c’è bisogno di un colpo di genio. La palla viene colpita col tacco, leggermente esterno, e scavalca il numero uno avversario che, da protagonista di un’uscita tempestiva, si ritrova gabbato come uno che passa lì per caso. Dopo la gara Casagrande dirà che si è giocato contro la perfezione della zona, la stessa zona che farà l’Ajax. Ha saputo bucarla, si spera che farà lo stesso contro i lancieri.

Quando partono i servizi in retrospettiva su Casagrande, però, questo gol non c’è mai. Ci sono la zampata col Real, i due nel derby, qualche colpo di testa qua e là, ma questa perla no. Non solo, quando ci sono le carrellate dei gol di tacco più belli della storia, questo scompare: ci sono quelli di Crespo ai gobbi, quello di Mancini al Parma, ogni tanto spunta anche la prodezza di Maniero all’Empoli. Questo gol non c’è. Forse schiacciato dall’appuntamento che verrà di lì a poco noi stessi ce lo siamo dimenticato ed è un peccato perché è un colpo intelligente, di istinto, di classe. Quanti attaccanti, in quella posizione, proverebbero un gol così invece di una rassicurante conclusione di collo, magari con meno possibilità di riuscita visto il portiere in arrivo, ma comunque più immediata? Pochissimi, perché un gol del genere non so voi, ma io non l’ho visto più.

Sono passati quattro giorni. Mercoledì 29 aprile c’è la finale d’andata contro l’Ajax. C’è e sta andando male. Il gol di Jonk da lontanissimo, il pari di Casagrande, il rigore di Pettersson: sappiamo tutto. Sotto 2-1 a meno di dieci minuti dalla fine stiamo cercando disperatamente di trovare almeno il pareggio per poi andare a giocarci le ultime chance in Olanda. Serve una magia, l’angoscia sugli spalti e davanti alla televisione è palpabile. Non può finire così, non possiamo pagare caro ogni mezzo errore, non possiamo smettere improvvisamente di sognare. Con le spalle al muro il Toro tira fuori tutto quello che ha e a un certo punto esce il coniglio dal cilindro. Da Scifo a Lentini che, di prima, vede un varco o ci spera o non lo so, ma in qualche modo lo trova. A questo punto è di nuovo cosa di Walter.

Il pallone è centrale, ma, alla sua destra, il numero nove ha un certo Blind che sta arrivando per chiuderlo. A questo punto è questione di fisico e di piedi di velluto e Walter, come detto, li ha tutti e due. Il tocco di destro a controllare è una goduria, serve a portarsi leggermente avanti la palla, a possederla dentro l’area, ma Blind è ancora lì. Leggermente in ritardo, ma ancora lì. E’ in quel momento che Casagrande fa la cosa che mi fa andare fuori di testa, che devo rivedere mille volte nei replay, nelle immagini da dietro la porta perché non riesco ancora bene, guardando a velocità normale, a capire come abbia fatto. “Casao” improvvisamente tocca la palla col mancino cambiando improvvisamente direzione e, così come fatto con Antonioli, trasforma l’avversario da uno dei difensori più forti d’Europa a un tizio che passa lì per caso, che sembra perdere l’equilibrio, che cerca la palla sorpreso come in un cartone animato.

Casagrande si ritrova da solo davanti a Menzo e anche qui c’è modo e modo di segnare. La sfera ha un piccolo rimbalzo, Casagrande non gliene concede uno di più, tocca con la punta prendendo il portiere, già quasi a terra, in controtempo. La palla scavalca l’estremo avversario e gonfia la rete, la Maratona si lascia andare a un urlo liberatorio. C’è ancora vita. Il nostro bomber corre a raccogliere la sfera in fondo al sacco e torna rapidamente al centro del campo, non c’è tempo da perdere se si vuole provare a segnare il 2-2.

La cosa incredibile di questo gol è la rapidità con cui viene fatto ciò che io ho descritto in una quindicina di righe. Tac, tac, tac. Nessuno capisce bene cosa accada, ma accade e ci fa impazzire. E la velocità, la tecnica, la leggiadria con cui viene dipinto questo capolavoro sono assurdi. Il tutto fatto da un signore di oltre un metro e novanta. Nonostante questo, il Van Gogh rimane in ombra. A volte ci ricordiamo maggiormente la prima delle due reti, forse ancora più festeggiata, perché mancava più tempo, c’era aria di riscossa. Il 2-2 arriva quando eravamo quasi disperati, ipnotizzati, con la testa piena, le lacrime dietro l’angolo. E allora anche questo Van Gogh è rimasto inspiegabilmente al buio, coperto con un telo, quasi rimosso. Un altro dei gol più belli della storia del Toro a prendere polvere, senza un vero perché.

Allora guardiamoli, riguardiamoli e ricordiamoci questi gol. Due autentici reti di culto da parte di un attaccante meraviglioso. Casagrande, ti voglio bene.

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