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Tour d’addio: storia del Toro 1989/90 parte 4

Tour d’addio: storia del Toro 1989/90 parte 4 - immagine 1

Culto / Fine del viaggio nella stagione 1989/90: il sorpasso sul Pisa, la promozione di Trieste, l'ultimo palpito al Comunale, gli incidenti di Monza, i gol di Sordo e Lentini. Francesco Bugnone racconta gli ultimi gloriosi mesi del Toro di Fascetti

Francesco Bugnone

E’ un sabato di Pasqua piovoso quello che accoglie il big match della serie B 1989/90: il Toro ospita il Pisa che è due punti davanti, in vetta. Quella sera ci sarà anche il servizio a Novantesimo Minuto, giusto per sentirsi ancora più vicini a quella serie A che torneremo presto a riassaporare. Bisogna vincere, perché un altro risultato non precluderebbe di certo il ritorno nella massima serie, ma quella sera, quando Paolo Valenti annuncerà le immagini della gara, vogliamo che tutta Italia ci veda in testa. Dopo uno spavento corso a causa di Piovanelli in avvio, l’attacco del Toro si fa continuo come la pioggia battente che cade sui trentatremila del Comunale. Simoni, come all’andata, sforna grandi parate, ma al 45’ si arrende: dopo un miracolo a togliere il colpo di testa di Ezio Rossi all’angolino basso, il portiere nerazzurro nulla può sull’irrompere di Benedetti a cui aveva negato un gol di testa poco prima. Al 56’, però, Frigerio punisce col rigore un contatto fra Cravero, a cui non porta bene la sfida coi toscani, e Lucarelli: dal dischetto Incocciati pareggia. Non meritiamo una Pasqua amarognola e a 5’ dalla fine arrivano vittoria e aggancio : Muller appoggia a Sordo poi scatta verso l’area in attesa del triangolo, ma Gianluca ha altre idee. Il numero dieci controlla, si gira, poi entra in area in un nugolo di maglie toscane che non sanno come posizionarsi per contrastarlo e quando lo capiscono è tardi, perché la botta di destro ha già gonfiato la rete e Sordo sta correndo sotto la curva. La sera stessa Muller raggiunge il Brasile in Nazionale e, di fatto, chiude la sua altalenante stagione prima del tempo: onestamente non frega nulla a nessuno.

La dimostrazione di quanto detto si vede a Foggia, una delle gare che, parole di Ezio Rossi durante una chiacchierata fatta mesi fa, fece vedere cosa fosse quel Toro. In casa dei rossoneri di Zeman, sollevatisi dai bassifondi a colpi di quel calcio spettacolo che l’anno successivo li porterà in serie A, pur avendo mezza squadra fuori causa fra infortuni e squalifiche, si compatta e vince. Lo fa con un gioiello di un talento dell’apparentemente infinito serbatoio del settore giovanile, Riccardo Fimognari, e la rete è davvero una perla, una serpentina chiusa dribblando anche il portiere. Fra i granata spunta anche la prima da titolare di Dino Baggio e Fascetti ha un pensiero al vetriolo proprio per Muller (“gli dedico la vittoria, per una volta abbiamo giocato in undici”) prima di godersi il Toro in vetta da solo visto che il Pisa è fermato in casa dalla Reggina, con l’ex granata Argentesi a evitare addirittura la sconfitta nel finale.

Col Licata si soffre, ma la linea verde continua a far godere Maratona e dintorni in questi pomeriggi primaverili. Il 2-0 è targato Sordo (colpo di testa sul primo palo dopo corner di Skoro) e Lentini (meravigliosa rovesciata su cross di Sordo) coi due a correre sotto la Maratona godendosi una delle ultime volte in cui andare dai tifosi non significava prendere un’ammonizione, come accadrà di lì a poco grazie a una delle regole più cretine della storia del calcio. Benny Carbone potrebbe partecipare alla festa, ma un salvataggio sulla linea nega il tris tutto Fila. Alla massima serie manca un solo punto, bisogna prenderlo a Trieste.

Come sempre, sembra tutto far parte di un disegno romantico quando ci siamo noi di mezzo: la promozione da festeggiare con un mese d’anticipo nello stadio intitolato a Grezar, nella città di Giorgio Ferrini. E come sempre di facile, per noi, pare non esserci nulla, visto come si mette la gara con un ex letteralmente scatenato: Franco Lerda. L’attaccante conquista un rigore che Catalano trasforma con freddezza in avvio e poi raddoppia al 26’ con un tocco in scivolata su assist ancora di Catalano, durante un ribaltamento di fronte. Dalla festa annunciata, il Toro si trova sotto 2-0 e reagisce con Lentini, che in questo finale ha il Toro finalmente in mano e, nonostante lo voglia il Napoli, non ha nessuna intenzione di mollarlo, il quale accorcia le distanze con un’acrobazia in mischia. Nemmeno il tempo per il sospiro di sollievo che ancora Lerda, partito in fuorigioco, va via di forza e triplica. Allo scadere della frazione ci pensa l’ex Ciccio Romano a ridare vigore al nostro cuore ballerino: inserimento in area alabarda e conclusione precisa che ci porta a un maledetto gol dalla promozione, quello che sfiorano Mussi e Cravero a inizio secondo tempo. Quello che arriva al 63’ quando, su lunga rimessa di Rossi, Lentini, ancora lui, controlla con la coscia e segna in mischia. Il resto è attesa del 90’ quando, finalmente, il Toro si riconcilia con la prima lettera dell’alfabeto. Negli spogliatoi Fascetti ha il sorriso amaro di chi ce l’ha fatta, ma ora deve andare. Per il resto si passa dall’entusiasmo delle voci di mercato (Martin Vazquez, Martin Vazquez, Martin Vazqueeeez!!!) alla gioia più contenuta di un altro esperto in promozioni come Giorgio Enzo. C’è anche l’emozione di Marchegiani che vuole godersi la sua prima vittoria in carriera, dopo settimane a sentire ronzare nelle orecchie il nome di Preud’Homme, ma dalla sua ha Lido Vieri che garantisce per lui, non è cosa da tutti.

Ormai Mondonico è citato apertamente, i nomi si accavallano (spunta con decisione quello di Fusi), i giovani vengono blindati. Borsano parla anche di un certo Assis che lì per lì è un nome che non dice nulla: è il fratello di Ronaldinho che anni dopo racconterà di essere venuto in Italia a seguire il suo provino e probabilmente lo avrebbe anche seguito proprio al Toro se solo il Gremio lo avesse lasciato partire, ma così non fu e un’altra sliding door si è chiusa in maniera beffarda sul nostro grugno. C’è ancora un campionato da terminare, però, e soprattutto da vincere. Contro l’Avellino non va benissimo: in una gara caratterizzata dall’ardore agonistico degli irpini il doppio vantaggio siglato dal solito Lentini in diagonale e da Skoro splendidamente lanciato da Policano viene annullato da un colpo di testa in tuffo di Cinello e dalla zampata di Sorbello. A Catanzaro, invece, si vince con una rete di Lentini al 1’ in fuorigioco incredibilmente non rilevato dal guardalinee. Prendiamo, portiamo a casa e ci apprestiamo a giocare l’ultima partita in assoluto allo stadio Comunale con due punti di vantaggio sul Pisa.

La Maratona è bella da piangere, il granata trabocca dappertutto, un paracadutista plana sul campo. Ci abbiamo vinto lo scudetto 1976, ci abbiamo vinto i derby, siamo stati la curva più bella di tutte e ora ce ne dobbiamo andare per entrare in una strana astronave. Un giorno ci torneremo, ma sarà un Comunale diverso, troppo diverso da quello che sembrava fatto apposta per le scenografie più belle, per il bandierone che scendeva. L’ultimo ballo è contro il Messina e, dopo due sconfitte, stavolta tocca ai siciliani piangere. Dopo l’espulsione di Cambiaghi, infatti, si dilaga. Apre la marcature Cravero con un tocco elegante sull’uscita di Ciucci, dopo un assist altrettanto di classe di Romano. Raddoppia Ezio Rossi dopo una corta respinta della barriera su punizione di Skoro. Lo jugoslavo, poi, chiude una splendida azione sulla sinistra con cross per la testa di Venturin che sigla l’ultimo gol del Toro sotto quella Maratona. Tre reti di tre ragazzi del Filadelfia, come ti sbagli. Ezio Rossi vorrebbe che alla festa generale partecipasse anche Giorgio Enzo, gli dice di andare avanti sugli angoli, tanto è fatta, ma il mediano non si schioda, splendidamente ligio ai dettami tattici di Fascetti fino all’ultimo. Giocatore troppo poco riconosciuto, Enzo, uno di quelli che ti raddrizza il centrocampo, che sta zitto e pedala, che ti accorgi di quanto serve nelle gare in cui non c’è. A carriera finita Giorgio dovrà subire un trapianto di fegato, esperienza di cui parla con una serenità e una serietà rimarchevoli. Nel 2019 la nazionale italiana trapiantati ha vinto il campionato d’Europa di categoria: in panchina, ad allenarla, c’era lui.

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In quel giorno di addio al Comunale arriva anche la notizia del pareggio del Pisa contro il Padova: il Torino ha vinto matematicamente il campionato. C’è ancora una tappa, Monza. Quella coi brianzoli è una partita che farà storia, non certo per quel che dirà in campo (una sconfitta per 2-0 targata Bivi, habitué nel segnarci), ma sugli spalti. L’esodo granata al Brianteo è imponente, i tifosi sono già nervosi per perquisizioni fin troppo certosine all’ingresso e si trovano nella curva opposta bandiere juventine e cori su Superga. Al fischio finale, però, un cancello si apre e la Maratona itinerante si riversa in campo, correndo decisa verso il settore opposto i cui sostenitori scappano a gambe levate lasciandoci in pasto gli striscioni come ultimo ricordo di quel tour d’addio al Comunale, alla Maratona, agli anni ’80. I mondiali stanno arrivando, il mondo sembra tranquillo. Come detto nella prima puntata, l’invasione del Kuwait ci spiegherà che non è così. Il Toro, invece, nei primi anni ’90 andrà sulla luna, ma dal 1994 in poi la vedrà sempre più lontana, senza smettere un attimo di anelarla, anche nella merda fino al collo, e ricorderà sempre con affetto quell’anno in cui davamo tre palloni in casa più o meno a tutti, cantando a squarciagola e sognando sempre forte.

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