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Il “nostro” Derby del 3-2

Culto / Torna la rubrica di Francesco Bugnone e parte con le seguenti parole: "Se parli di Toro, il derby del 3-2 è uno e uno solo: quello del 27 marzo 1983"

Francesco Bugnone

Se parli di Toro, il derby del 3-2 è uno e uno solo: quello del 27 marzo 1983. Sì, c’è quello 74/75 deciso da Zaccarelli a 3’ dalla fine che non è niente male, ma vuoi mettere con quei tre minuti e quaranta secondi? Quella stracittadina, però, ha un difetto per chi è nato alla fine degli anni ’70 o negli anni ’80: non lo abbiamo vissuto in prima persona, perché eravamo troppo piccoli o non c’eravamo proprio. Intendiamoci, non c’eravamo, ma quella vittoria la amiamo e la sentiamo, fa parte di noi. Dossena-Bonesso-Torrisi è la Trinità a cui essere devoti. Ricordo l’attesa insostenibile prima di mettere le mani su una videocassetta dove finalmente avrei potuto vedere quei gol (credo di aver aspettato così soltanto la prima tetta toccata e la musicassetta registrata da un amico di “Master of Puppets”). Ho imparato a memoria il capitolo di Cassardo su “Belli e dannati”, il servizio della Domenica Sportiva, quello di Sfide e la sintesi del secondo tempo commentata da Martellini. Eppure manca qualcosa.

Se le nostre tragedie riusciamo a viverle al cento per cento anche se si riferiscono a un tempo non vissuto e le lacrime per il Grande Torino, Meroni o Ferrini sono le stesse anche se le età sono diverse, per le gioie non è così. Gioiamo al 99%, ma ci manca quell’1% che fa la differenza. Mentre Torrisi faceva venire giù una curva, non eravamo in Maratona o attaccati alla radio a ululare. Eravamo troppo piccoli per ricordare o non eravamo proprio. Io so di essere uscito per una passeggiata coi parenti nel villaggio Leumann sullo 0-2 e, in pochi metri, Ameri è intervenuto tre volte, ma lo so solo perché me lo hanno raccontato. I miei ricordi iniziano dal 1985, mannaggia a me.

Quell’un per cento mancante ti fa sentire al centro del mondo come capita soltanto con le partite di calcio, come Nick Hornby spiega magistralmente in “Febbre a 90”, perché tu eri lì mentre quella cosa irripetibile succedeva e non ci sono repliche, non sarà mai più, ci saranno tanti altri momenti grandiosi, ma non saranno mai quello, perché la magia del calcio è il tutto diverso anche quando sembra tutto uguale. Allora lo vogliamo anche noi un 3-2. E il 3-2 arriva. Imparagonabile a quello citato, ma comunque un derby epico, di culto, un Davide contro Golia nel suo massimo splendore.

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Quel derby doveva giocarsi il 6 novembre 1994, ma l’alluvione che ha piegato il Piemonte senza spezzarlo lo fa disputare il 25 gennaio 1995, a girone d’andata appena terminato. Il Torino è il primo di Calleri, completamente rivoluzionato e, a inizio stagione, rappresentato significativamente da una memorabile copertina di Fegato Granata con un toro costruito da vari oggetti assemblati alla meglio e un inequivocabile titolo: “Boh?” Quel boh ha iniziato con Rampanti, esonerato dopo una vittoria col Padova e un passaggio del turno in Coppa Italia, e ha proseguito con Sonetti, esperto in imprese impossibili e personaggio fantastico, costruendo con fatica, con inciampi, ma anche con gran belle partite un Toro, dove coesistono la classe magica di Pelè e la grinta feroce di Cristallini, la spinta di Angloma e la sapienza di Pessotto.

Il 1995 è iniziato con le polveri bagnate. A parte un gollonzo di Pessotto contro la Fiorentina in un “Delle Alpi” stile holiday on ice, non la mettiamo dentro nemmeno a morire: né con la derelitta Reggiana, che ci batte 1-0 con gol di Simutenkov, evidentemente non pago di averci sbattuto fuori dall’Uefa quand’era alla Dinamo Mosca, né con l’altrettanto sofferente Genoa in un pari interno a reti inviolate di rara amarezza. Sotto accusa l’attacco, con Rizzitelli che si è bloccato dopo un buon inizio, ma anche Pastine, uscito non benissimo nell’azione del gol reggiano e, più generalmente, ammantato di diffidenza sin dall’anno prima, quando aveva palesato qualche incertezza di troppo quando era stato chiamato a sostituire per qualche gara Galli l’anno prima. Dopo Reggio, Sonetti dice che ai suoi  occorrerebbe un cannocchiale per centrare la porta, ma dopo il Genoa Nedo si fa più serio e afferma che solo un gran derby lo può ripagare. Sembrerebbe una boutade, perché se il Toro si trova a tre punti dalla zona calda, la prima Juventus di Lippi è campione d’inverno e seria candidata a vincere lo scudetto dopo che le manca da nove anni, nonostante ne abbia prese tre a Cagliari la domenica prima e si sa, le capoliste non possono sbagliarne due di fila. Insomma, l’asterisco che rende incompleta la classifica delle torinesi, sembra già sapere dove verranno portati i tre punti quando verrà cancellato in un freddo mercoledì sera.

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Il primo derby della Mole coi tre punti in palio e il penultimo coi numeri dall’uno all’undici inizia fortissimo col Toro che attacca sotto la Maratona. Al 7’ il mai troppo lodato Luca Pellegrini trasforma quello che sembrerebbe essere un intervento a stroncare un contropiede in un gran lancio offensivo, Torricelli è in anticipo, ma si trasforma in uno di quei pupazzetti di legno che, se schiacciavi un pulsante, iniziavano a muovere gambe e corpo totalmente a caso e inciampa sul pallone in una maniera che non riesco ancora a realizzare adesso dopo diecimila replay. Rizzitelli è solo davanti al portiere e, in diagonale, ci porta in vantaggio e nel sogno. La Juve si incazza e ci riporta alla realtà: traversa di testa di Conte, poi, poco dopo, su un pallone al centro di Paulo Sousa, Vialli, inspiegabilmente solo, pareggia da un passo. Sono passati solo 2’. Il Toro però è in serata, i cosiddetti cugini meno, soprattutto in difesa, dove Fusi, che in estate aveva attraversato il Po per motivi di bilancio, sembra disorientato, come si sentisse addosso la maglia sbagliata. Al 27’ su un tocco filtrante di Cristallini, Rizzitelli ha una prateria che lo porta davanti a Peruzzi, ma il pallone è incredibilmente fuori. Gol sbagliato-gol subito è una legge che a volte viene spazzata via quando in campo ci sono undici leoni. Al 30’ uno spiovente di Cristallini trova in area di Silenzi che svetta su Kohler e, con gli occhi dietro la testa, fa la torre per Rizzi-gol, velenoso come un serpente a incornare in rete anticipando Torricelli che lo sta cercando ancora adesso: 2-1. La Juve si incazza di nuovo, Vialli scatta sul filo del fuorigioco, evita Pastine e pareggia. Stavolta i minuti passati sono tre.

Farsi raggiungere in così poco tempo fa girare le scatole, ma i corsi e ricorsi storici mi calmano. L’anno prima erano andati due volte in vantaggio loro e, rispettivamente dopo 4’ e 7’, li avevamo ripresi, prima che Osio si creasse da campione la palla del vantaggio per poi sprecarla malamente e Kohler ci spaccasse il cuore a 11’ dalla fine. E se stavolta finisse così a parti invertite, con un gol a 10’ dalla fine o poco più? Però stasera il Toro non può aspettare, stasera il Toro ha troppa fretta. Rizzitelli fa la cosa più bella di tutta la partita onorando quel numero sette sulla schiena che nella storia del Toro non è mai stato un numero banale. Fare qualcosa di meglio di una doppietta al derby ce ne va, ma succede: l’ex romanista controlla un pallone col sinistro e poi, mentre rimbalza, lo colpisce di tacco col destro facendolo passare fra le gambe meravigliosamente aperte di Kohler (tremenda vendetta) mettendo Angloma davanti a Peruzzi. Jocelyn gli calcia addosso, ma non c’è tempo per disperarsi, perché il rimpallo è favorevole e mette il francese solo davanti alla porta vuota, con Fusi poco dietro, quasi trattenuto, come per paura di mettere lui il pallone dentro. E allora si ferma rassegnato, a vedere l’ex marsigliese segnare il 3-2. Stavolta teniamo e andiamo a riposo in vantaggio.

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Il primo tempo è stato gran spettacolo, il secondo è sofferenza. La Juve attacca, ma non sfonda. Mago Abedi che si sacrifica in difesa è meraviglioso, così come Silenzi, capitano vero. Buttiamo dentro ogni goccia di sudore che abbiamo, ma limitiamo le conclusioni bianconere al minimo e quando arrivano Pastine c’è. Servirebbe qualcosa di più per pareggiare e arriva a circa un quarto d’ora dalla fine, quando una carezza di Falcone su Vialli in area provoca il fischio di Amendolia. Anche i telecronisti sono increduli. L’intero stadio lo è seppure entrambe le curve, per motivi diversi, dovrebbero essere abituate a simili situazioni: è rigore. Pastine non si dà pace, spara labiali a caso, calcia via il pallone. Non sa ancora che lui dovrebbe abbracciare forte Amendolia, perché grazie a quel penalty sta per entrare nel mito.

Dal dischetto c’è Ravanelli, non proprio lo juventino più amato da Maratona e dintorni. Pastine dirà che l’aveva studiato e mette a punto la tattica approntata col grande Lido Vieri, che l’ha sempre difeso nei momenti difficili: stare fermo fino all’ultimo. Ravanelli calcia a mezza altezza, Luca si butta sulla sua sinistra e non è più quello che l’anno prima aveva esordito con una brutta uscita bassa in coppa a Piacenza o che non dà tanta sicurezza alla difesa o che magari proviamo al suo posto Simoni, che ne dite. No, Luca è quello che para un rigore decisivo in un derby. Mentre la palla va verso l’esterno, l’immagine più bella è Falcone che zompa esultante in area guardando, al tempo stesso, come si stia sviluppando l’azione. Venire dal Fila vuole dire ancora qualcosa.

Dopo il rigore parato mi calmo. Sono certo che la Juve non ce la farà più, quel rigore è una mazzata. Sono zen mentre si accende una mini-rissa con Rizzi che va a muso duro con Conte, dimostrando di saper scegliere bene anche con chi litigare (e Nedo è perfetto a toglierlo per evitare guai peggiori). Sono zen quando Marocchi ha una mezza occasione nel finale. “Non vedo più nessun male che mi possa ferire/almeno per stanotte non c’è nessun dolore” canteranno i Subsonica in “Stagno” ed è quello che rappresenta meglio come seguo quel finale, cosa unica in un derby, dove soffro anche quando fischiano un fallo laterale. Chissà, forse Boosta avrà preso ispirazione da quei minuti. Non ci capita più nulla davvero: il Toro, bellissimo nel primo tempo e proletario nel secondo, adatto all’incredibile sponsor Caldaie Bongioanni sulle maglie, ha vinto il derby, ne vincerà un altro anche al ritorno che rimarrà l’ultimo per tanto tempo e comunque la gobba vincerà lo scudetto, ma chi se ne frega quando non lo sai. Non sappiamo ancora che Rizzitelli da quella sera non si fermerà più e demolirà il suo record di gol. Non sappiamo che Pastine parerà un altro rigore, a risultato acquisito a Brescia, facendo un mezzo gesto dell’ombrello che farà stracciare le vesti a vari commentatori al Processo del Lunedì. Non gli basterà per la riconferma, l’anno successivo prenderemo tre portieri che lo faranno rimpiangere, ma Luca tornerà e sarà decisivo nella promozione 1998/99, anche qui da vero underdog (subentrato all’infortunato Bucci a Pescara, sbaglierà un’uscita nel finale causando la sconfitta, ma si riscatterà con due miracoli su Shalimov e, soprattutto, Hubner nelle partite decisive contro Napoli e Brescia). Non sappiamo che il Toro di Nedo a un certo punto sembrerà anche in grado di arrivare in Europa, ma non ce la farà. Non sappiamo tante cose, ma quella sera sappiamo che anche noi, finalmente, abbiamo il “nostro” 3-2, goduto dal vivo, con le tonsille sparse in ogni dove a ogni urlo, col giorno dopo a scuola o al lavoro col sorriso a trentadue denti. Speriamo che chi è nato dopo debba aspettare poco, pochissimo per averlo anche lui.

P.S. su Facebook è nata la pagina “Culto - ogni martedì su Toronews” (testuale!). Oltre ai pezzi, ci saranno i video dei gol e tante altre chicche. Vorrei dire “se mettete like, vinciamo il derby”, ma, onestamente, non me la sento tanto. Oh, comunque mettetelo, così se per un allineamento particolare dei pianeti dovesse mai succedere, ci prendiamo il merito. Forza Toro!

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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