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Le riserve

Culto / "Le riserve negli anni '70 lo erano nel vero senso della parola: tanta panchina, pochi minuti. Allora quando arriva l'occasione bisogna saperla cogliere: Culto rende omaggio ad alcuni "tredicesimi" e "quattordicesimi" del Toro di Radice"

Francesco Bugnone

C’è stato un tempo in cui le riserve erano davvero riserve. Niente turnover, niente “si gioca in quattordici o in diciannove o in ventimila”. Questi giocatori interrompevano il rosario della formazione imparata a memoria quasi esclusivamente in caso di infortuni o squalifiche dei titolari, poi tutti di nuovo a sedersi in panchina, anche se si era fatto bene, per rifare spazio ai mostri sacri. Panchina corta oltretutto, visto che i giocatori di movimento consentiti sono due.

Il Toro di Radice non fa eccezione, l’undici titolare è scolpito nella roccia o quasi, ma nonostante questo c’è chi ha aspettato il suo momento in silenzio e, quando è arrivata l’occasione, ha dato il meglio di sé, talvolta l’ha anche sbattuta dentro. Il poker di riserve di cui parlerà questa puntata di “Culto”, infatti, ha segnato ed è di quei gol che parleremo, uno dei quali è valso un pezzo di scudetto, ma non precorriamo troppo i tempi.

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1978/79 Giuseppe ERBA

Giuseppe Erba arriva al Toro diciassettenne nel 1976, ma inizia a vedere il campo nel 1978/79. Comincia subito, debuttando alla prima di campionato contro la Fiorentina quando subentra a Graziani, malconcio, al 27’ e disimpegnandosi bene in un Toro incerottato. Curiosità da giocarvi con le tipe: anche l’esordio assoluto in granata di Erba era avvenuta coi viola, in Coppa Italia, l’anno prima. Fatemi sapere come va.

Nelle partite successive Erba mantiene il posto come jolly, indossa sia l’otto che il sei e con questo numero vivrà il suo momento di gloria alla quinta giornata, quando il Toro ospita l’Inter. A inizio ripresa, sul risultato di 1-1, Pecci batte a sorpresa una punizione dal limite. La genialità di Eraldo ha il merito di pescare tutto solo in area Erba che prende la mira e, di testa, mette imparabilmente in rete con la difesa dell’Inter a chiedersi cosa sia accaduto. Finirà 3-3, le presenza di Erba si diraderanno, ma la grande soddisfazione di quel gol, l’unico nella massima serie, rimarrà. Dall’anno successivo il giocatore nativo di Treviglio vestirà la maglia del Vicenza.

1977/78 Danilo PILEGGI

Uno dice Pileggi e pensa subito a un rincalzo di sicuro affidamento del Toro di metà anni ’80 oppure ricorda che in Coppa Uefa ad Atene abbiano cercato di fargli di tutto, dal picchiarlo al farlo arrestare, come se il buon Danilo fosse il simbolo di tutti i mali del mondo per il Panathinaikos.

Si ricorda meno che Pileggi fu granata già negli anni ’70 e, nel 1977/78, segnò al suo esordio in serie A nell’unica presenza stagionale. Contando che, in granata, il suo secondo gol lo siglerà a Verona nella sua ultima stagione da noi, non è roba da poco.

Ventiduesima giornata, il Toro insegue la Juve a quattro punti di distanza e ospita il Bologna. Pulici, dopo circa un quarto d’ora, colpisce la traversa, ma, a sua volta, viene involontariamente colpito da un pugno del portiere Mancini. Troppo sangue e Pupi deve uscire. Al suo posto entra Pileggi, fin lì una solo presenza in coppa Uefa contro l’Apoel Nicosia. Non c’è neppure il tempo per emozionarsi che avrebbe avuto sapendo prima di giocare. Al 28’, servito da Graziani, il giocatore di Nicastro sbilancia Roversi e segna in diagonale. Tanti complimenti, tanta emozione, ma per quell’anno basta campo, Coppa Italia esclusa. Dura la vita delle riserve dei Seventies.

1976/77 Cesare BUTTI

Il 1976/77 resta un caso di studio: una squadra che ha il miglior attacco, la miglior difesa ed è ancora meglio dell’anno prima, in cui ha vinto lo scudetto, non lo rivince. Il Toro è meglio nonostante una sfiga clamorosa dal punto di vista degli infortuni. Lo si capisce già dalla prima giornata, quando Claudio Sala deve lasciare il campo dopo soli 8’ e al suo posto entra Cesare Butti che si ritaglierà il ruolo di jolly, cavandosela molto bene.

Butti è una vecchia conoscenza di Gigi Radice che l’ha avuto a Cagliari e non può che ripagare la fiducia. Un pomeriggio di fine ottobre trova anche la via della rete. E’ solo la terza giornata, ma il Toro ha già perso per strada il succitato Sala e Pecci, non male come media. Però quello scudetto sul petto scioglie i granata che giocano bene, danno spettacolo, come se nulla fosse, anche se sul cuore il mattone per la sconfitta interna contro il Borussia Monchengladbach di pochi giorni prima c’è (e lì sì che si può rimpiangere non averla giocata con tutti gli effettivi, ma questa è un’altra storia. Sigh). Il gol che rompe l’equilibrio è proprio di Butti al 29’. Pulici, con la fascia di capitano, crossa un pallone in acrobazia da sinistra e Cesare, che indossa il 7 di Sala, diventa un pochino Pupi per lo stacco perentorio di testa con cui insacca sotto la Maratona. Puliciclone raddoppierà nel finale, festeggiando con una capriola, e il Toro continuerà a farci sognare. Butti darà sempre una mano di livello ogni volta che sarà chiamato in causa.

Non posso esimermi dal dirlo ogni volta che rivedo le immagini: quanto dona lo scudetto abbinato alla maglia granata. Non averlo più vinto è anche un insulto alla bellezza.

1975/76 Salvatore GARRITANO

Quanto può essere difficile fare la riserva dei Gemelli del Gol? Non giochi praticamente mai e quando lo fai i tifosi non sono contentissimi, non tanto per te, ma perché mancano Pulici o Graziani, ovvero il partire quasi sempre da 1-0, se non 2-0.

Non so quanto sia pesata a Salvatore Garritano questa situazione, ma so che, nonostante questo fardello, è entrato nella storia del Toro dalla porta principale segnando una delle reti più importanti di sempre in un momento di puro delirio, quando quella cosa innominabile per scaramanzia stava diventando una possibilità concreta.

Il momento di gloria per l’attaccante cosentino arriva il quattro aprile 1976, ma andiamo con ordine. Il Toro ha appena mangiato quattro punti su cinque di vantaggio alla Juventus in due giornate dopo aver vinto il derby di ritorno, quindi gobbi a più uno, ma il pomeriggio della sfida incrociata fra Torino e Milano sembra buono almeno per l’aggancio. Il Toro in casa le ha vinte tutte e spera di continuare la striscia contro il Milan, con un orecchio a ciò che accade nella San Siro nerazzurra. Il calcio totale granata investe i rossoneri come un treno in corsa. La voglia è così tanta che Pulici e Graziani, generalmente perfetti nei movimenti e nei posizionamenti, finiscono con l’ostacolarsi su un pallone sottoporta. Al 28’, su una punizione da sinistra di Sala, Ciccio stacca con prepotenza e fa esplodere la Maratona. Juve momentaneamente agguantata. Nella ripresa capita l’imponderabile: Pulici non sfrutta al meglio un contropiede e viene quasi immediatamente sostituito da Garritano al 66’. Al 79’ un boato: Bertini ha portato in vantaggio l’Inter con un’angolatissima punizione di seconda. Il Toro è primo da solo. Pochi secondi e arriva l’apoteosi: su lancio di Salvadori, Garritano si coordina alla perfezione, colpisce al volo di sinistro e manda il pallone sul palo opposto con Albertosi immobile. Un triangolo tricolore si materializza definitivamente nel cervello granata, sempre più vicino. Garritano alza le braccia, quasi incredulo, prima di venire sommerso dai compagni. Il rigore di Calloni nel recupero è buono solo per i tabellini.

Garritano segnerà ancora una volta in A col Toro, a Bologna, l’anno successivo, un  minuto dopo aver rilevato Pulici, ma è una prodezza che scompare di fronte a quella del Comunale. Non c’è partita coi gol che diventano “per sempre”, anche se sei una riserva.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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