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Milan-Toro 1-0: vacanze in America

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La nuova puntata di Culto ci porta negli Stati Uniti: Francesco Bugnone ci racconta la surreale storia della Supercoppa italiana 1993
Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 

Estate 1993, manca meno di un anno ai mondiali negli Stati Uniti. Fra le varie iniziative mirate a promuovere il calcio in un paese che sembra più interessato ad altro come canteranno gli Elio e le storie tese in “Nessuno allo stadio” (“Guardate Lorena Bobbit, pensate a suo marito. Quale interesse ripone lui nei mondiali secondo voi?” resta uno dei momenti di lirismo più alti del gruppo) c’è anche il contributo dell’Italia: la giovanissima Supercoppa Italiana verrà disputata a Washington. Sarà la prima di una lunga serie di edizioni disputate fuori dai patri confini, ma al momento nessuno può immaginarlo e gli addetti ai lavori tratteranno l’approccio statunitense col soccer con toni simili a quelli degli esploratori che venivano a contatto con culture diverse nei secoli precedenti.

La prima contendente è il Milan di Capello campione d’Italia e vicecampione d’Europa, squadra considerata un dream team vista la quantità di stelle schierate. La seconda è il Toro che si è cucito la coccarda della Coppa Italia sul petto al termine di una doppia finale contro la Roma dalle tinte drammaticamente irreali. Siamo gli imbucati alla festa, gli outsider, quelli che arrivano nell’ombra. La classica situazione che manda a nozze Emiliano Mondonico. Siamo anche una bella squadra che mixa gioventù ed esperienza: Gullit è sfumato, ma ci sono Francescoli e Osio, mentre Giovanni Galli prende il posto di Marchegiani, operazione che porta anche Gregucci sotto la Mole. Il giocatore più atteso della linea verde è il fantasista Benny Carbone, rientrato a casa dopo un lungo girovagare in prestito. L’acquisto sulla carta più prezioso sembra essere quello di Robert Jarni, fortissimo laterale sinistro croato proveniente dal Bari.

Dopo aver ben figurato nel Memorial Baretti, il Torino ha perso l’ultima amichevole ferragostana contro il Genoa, ma con una serie di attenuanti (assenze, qualche problema fisico, gambe pesanti per la preparazione). “Mondo” predica tranquillità in vista della partenza verso gli States e in loco troverà gli uruguaiani Aguilera, Francescoli e l’oggetto misterioso Saralegui che stanno disputando, senza successo, le qualificazioni per i mondiali americani. L’ultimo allenamento al Filadelfia prima della partenza è un bagno di folla e tra i più felici per tutto quell’amore c’è il rientrante Osio che l’anno precedente ha conteso lo stesso trofeo al Milan a San Siro, perdendo 2-1 col Parma dopo che, come ricorda, “sul pareggio Asprilla si è mangiato un gol enorme”. Parole tristemente profetiche. Ci si prova anche ad appendere alla cabala dato che l’ex Giovanni Galli ha vinto il trofeo due volte con due maglie diverse (Milan e Napoli) e si sa non c’è il due senza il tre.

Le due squadre viaggiano sullo stesso aereo per poi separarsi giunte negli Usa. Capello deve rinunciare a Van Basten, Papin e Panucci, ma l’assenza più dolorosa, e non solo dal punto di vista tecnico, è quella di Gigi Lentini, reduce dal terrificante incidente stradale che gli stava costando la vita. I granata lasciano a casa l’infortunato Annoni, sostituito dal giovane Falcone che ha in corpo i minuti finali della finale di ritorno di Coppa Italia, quindi volare in America è un giusto e meritato premio.

Sin dall’atterraggio si viene accolti dall’avversario più insidioso che sarà lo stesso che affronteranno le nazionali di lì a meno di un anno: il caldo. Per esigenze televisive (la partita in Italia deve iniziare alle 20,30) si giocherà alle 14,30 e, mentre i giornali parlano di calcio che si inchina al dio dollaro, in controtendenza con alcuni commenti nostalgici di oggi che vedono quegli anni come un periodo di purezza, e Galliani racconta come i costi di gestioni debbano far cogliere occasioni simili aprendo anche al Giappone, qualche nervosismo inizia a trapelare. Se fra i rossoneri Savicevic sbotta dicendo apertamente di aver sbagliato squadra e di invidiare Baggio per la libertà con cui gioca nella Juventus, Mondonico, dopo che qualche ora prima si era detto felicissimo di poter giocare in mondovisione, inizia a dire tra i denti che è una partita che sballa la preparazione viste le due trasvolate oceaniche a stretta distanza. Non contribuisce a rasserenare il clima il fatto di essere considerati come degli invitati a una festa tutta rossonera. Anche le prime dichiarazioni degli uruguagi, arrivati dopo un viaggio picaresco, sono ruvide. Aguilera quasi pretende un posto in squadra (“Io sono venuto per giocare”. “Perché pensa che gli altri sono venuti qui in vacanza?” la replica del tecnico), ma Silenzi è in ottima forma. Chi giocherà sicuramente è Enzo Francescoli, all’esordio assoluto con compagni con cui non si è nemmeno allenato. La classe del Principe, però, può sempre fare la differenza.

Come detto, a fare imbestialire l’ambiente granata, o meglio soprattutto il tecnico del Toro che quell’anno come non mai si ritroverà a incarnare qualsiasi ruolo, è il modo in cui siamo trattati. Dagli spot sulle reti Fininvest tesi a celebrare solo i rossoneri senza il minimo ritegno, alla grandeur mista a magnanimità con cui Galliani dice che hanno rinunciato al piccolo vantaggio di giocare in casa per venire in America, fino agli articoli dei giornali americani che parlano di una squadra soltanto.

L’inizio della partita sembra dare ragione a questa narrazione. Dopo soli 4’ dal fischio d’inizio dell’arbitro statunitense Diaz il Milan è già in vantaggio: su lancio di Franco Baresi, Savicevic anticipa vigorosamente Mussi e fa da torre per l’accorrente Simone che porta in vantaggio i rossoneri. Il Toro viene svegliato dal ceffone in avvio di gara e onora lo stupendo completo tutto granata indossato per l’occasione mettendo in campo un’ottima prestazione. Pochi minuti dopo il pareggio sembra cosa fatta, perché Boban, svirgolando una lunga punizione di Jarni, mette Osio a tu per tu con Sebastiano Rossi, ma la conclusione del Sindaco è sbilenca oltre ogni immaginazione e l’errore clamoroso metterà la stagione di Marco sotto una cattiva stella.

Quando Mondonico cambia la marcatura su Savicevic, spostando Cois al posto di Mussi, il Toro riesce a trovare la consueta capacità difensiva di arginare gli avversari. Per i rossoneri continuano ad arrivare pericoli dai piazzati di Jarni: un’altra punizione da sinistra capita sul piede di Daniele Fortunato che controlla e poi tira a colpo sicuro, ma una gamba milanista si materializza all’improvviso e strozza in gola l’urlo degli appassionati granata. Il Milan si rifà vedere con un’incursione di Simone sventata da Gregucci, in anticipo su Massaro a portiere battuto, e con una deviazione in corner di Galli sul rasoterra dello stesso ex romanista. Mondonico non aspetta nemmeno la fine del primo tempo per la prima sostituzione con Aguilera mandato in campo al posto di un depresso Osio (si darà la colpa della sconfitta al termine della partita) e i granata che passano a due punte: Silenzi-Pato con Francescoli a ispirare. Stesso minuto e Capello inserisce Raducioiu per Simone.

A inizio ripresa Savicevic si scatena come nella prima frazione, ma la prima occasione davvero grossa per i campioni d’Italia nasce da una sgroppata di Raducioiu sulla sinistra. Il romeno salta nettamente l’intervento in scivolata di Gregucci e appoggia al centro per il montenegrino che calcia a colpo sicuro con la sufficienza che a volte il Genio ci ha regalato. Galli respinge con un mezzo miracolo, la sfera carambola sul palo e schizza verso Eranio che si ritrova un muro formato dal portiere granata, che sfoggia una delle maglie più anni ’90 di sempre con una serie di colori da visioni lsd, e da Cois che si rifugia in angolo.

Fra le file granata Aguilera è vivacissimo. Un suo cross da destra non viene sfruttato a dovere dalla testa di Venturin, un suo angolo finisce sui piedi di Mussi che, da buona posizione, manca la porta. L’uomo che fece piangere il Liverpool allora decide di mettersi in proprio e si incarica di battere un calcio di punizione dal limite. Il destro è quasi perfetto, aggira la barriera e coglie Sebastiano Rossi in impercettibile ritardo, ma colpisce in pieno la traversa e mentre la palla rimbalza in campo, ovviamente in una zona dove non ci sono giocatori granata, qualcuno giura di aver sentito gli ultimi echi di Amsterdam provenire da quel legno.

I rossoneri sfiorano ancora il raddoppio di rimessa in un paio di occasioni e su una di queste, con Galli che ferma Albertini in uscita, il portiere del Toro è rapidissimo a lanciare lungo dove la testa di Francescoli mette in movimento Silenzi che, con insospettabile rapidità, si infila fra due totem come Maldini e Costacurta creandosi una grossa occasione. Maldini ha ancora il giusto guizzo per disturbare la conclusione di Pennellone quando ormai l’unico pensiero sembrava essere come superare Rossi costringendo l’attaccante ad allargare troppo il diagonale. L’ultima preghiera in avanti è un pallone per Aguilera che non azzecca il diagonale da posizione difficile.

Alla fine è andata come si pensava andasse, dal punto di vista del risultato, ma non è stata una passerella rossonera, anzi. I lanci lunghi granata (tattica simil-Malines nella Coppa dei Campioni 89/90 come farà notare il “Mondo”) hanno messo in difficoltà l’undici capelliano che si è anche preso qualche fischio quando il pubblico di casa non riusciva a comprendere la melina finale con cui il Milan cercava di congelare il risultato. Il Toro si è fatto valere e le qualità tecniche e umane verranno fuori di lì a poche settimane quando affronteremo la stagione più dura e probante col rischio di scomparire. Un appuntamento ritardato di undici anni, ma questa è un’altra storia e fa ancora male raccontarla, perché, a livello societario, non abbiamo trovato l’America né allora né poi.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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