columnist

Disorientato, ma sempre innamorato del Toro

Il Granata Della Porta Accanto / L'ennesima occasione persa di "alzare l'asticella", un cortocircuito tra una squadra che lotta ed una società ambigua

Alessandro Costantino

Mi sarebbe piaciuto intitolare questo pezzo "Toro, alLaxalt!“ per celebrare con un gioco di parole l'acquisto del laterale uruguaiano ed il passaggio del turno in Europa League. La realtà invece è che sul mercato non è che si sia andati molto all'assalto (per usare un eufemismo), mentre sul campo un certo assalto ai lupi inglesi c'è stato, ma nonostante la prestazione encomiabile della squadra (o di quel che ne resta…) alla fine è sfumato l'accesso ai gironi di Europa League. Sinceramente mi sento disorientato come tifoso, schiacciato da input diametralmente opposti e da eventi la cui dinamiche sono molto difficili da comprendere senza prendere la "scorciatoia" del voler pensare male.

Insomma, una benedetta volta, qualcuno può chiarirmi se questo Torino ha veramente deciso di alzare l'asticella? Perché va bene la crescita lenta, i conti in ordine, mai il passo più lungo della gamba, ma qui la domanda resta sempre quella: a cosa si punta in termini sportivi? Nella commistione sport e business, i soldi generano successi sportivi, ma i successi sportivi generano a loro volta soldi, come nell'eterno amletico dubbio riguardo al fatto se sia nato prima l'uovo o la gallina: capirete il mio disorientamento verso chi non investe in un'occasione d'oro per "alzare l'asticella" come i preliminari di Europa League adducendo la scusa che si può investire solo se si superano gli stessi preliminari. Un cane che si morde la coda…

La sensazione che bastasse poco per sovvertire l'esito della sfida col Wolverhampton, si scontra con il realismo di una società che si deve autogestire in un equilibrio virtuoso tra entrate ed uscite. Ma io resto disorientato perché sono tifoso e non commercialista ed avrei voluto vedere il mio Toro nei gironi di Europa League, al di là dei conti societari. Ragione e sentimento viaggiano su due binari paralleli, si sa. O forse no se pensiamo che Squinzi patron del Sassuolo mette ogni anno attraverso la sua Mapei 18 milioni di euro in una sponsorizzazione talmente spropositata che nemmeno le grandi squadre ne hanno di così ricche. Dunque mi chiedo, non potrebbe farlo anche Cairo se davvero volesse raggiungere  certi traguardi sportivi? Domanda retorica, perché la risposta è sempre la stessa: piano piano il Torino cresce, va bene così, non c'è bisogno di misure drastiche. Intanto gli anni passano, le generazioni di tifosi si succedono e il mondo corre. Ci fosse almeno un piano di lungo termine a cui aggrapparsi (stadio di proprietà, investimenti massicci sul vivaio, esportazione del brand Toro nel mondo o cose del genere) e invece si parla di "ciliegine" che sanno tanto di quelle brioches che Maria Antonietta ai tempi della rivoluzione francese voleva che fossero date al popolo che si lamentava della carenza di pane. Resto disorientato, ma fisso in una cosa: la passione per il Toro, per quei ragazzi che lottano sino all'ultimo su ogni pallone. Non è accontentarsi, è l'essenza di tifare Toro e nessuna esigenza di bilancio me la potrà mai portare via.