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Il Grande Torino e il Sacco di Roma

A quale evento calcistico ci si riferisce quando si parla del cosiddetto "Sacco di Roma"? Come mai l’espressione, adesa per convenzione ai resoconti della storia antica nostrana, trova un suo corrispettivo in un episodio legato al Grande Torino?

Stefano Budicin

Ovviamente non stiamo parlando del famigerato assalto alla capitale romana a opera dei Visigoti di Alarico I, sacco che si svolse dal 24 al 27 agosto del 410 d.C. e che ancora si ricorda come uno degli eventi più drammatici e nefasti della storia antica. Tant'è che le interpretazioni nel corso dei secoli si sprecarono: c'è chi lo ritenne un evento precursore della futura fine del mondo, chi lo considerò una punizione voluta da Dio per scoraggiare i culti pagani ancora imperanti per le vie della città. Certo è che il sacco sancì il termine dell'inviolabilità di Roma, la sua perdita d'aureola effettiva. Che cosa ci azzecca allora il Sacco di Roma con la storia del Torino? La similitudine è palese. Con questo termine ci riferiamo ovviamente alla celebre partita giocata dal Grande Torino il 28 aprile 1946, a Roma. Il risultato? Uno straordinario 7 a 0. I granata, forti dello status di imbattibilità che connota il loro gioco, sbaragliano i rivali romani, ex campioni d'Italia poche stagioni or sono.

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Ma per quale motivo si considerò tale partita come un vero e proprio sacco ai danni della squadra dell'Urbe? Per il modo in cui i granata riuscirono a vincere: neanche diciotto minuti di gioco e già il Grande Torino era in vantaggio di sei gol. A segnare, nell'ordine, furono Castigliano, Mazzola, Ossola, Ferraris II, Loik e di nuovo Mazzola. Sei reti al primo tempo, un risultato che non lasciò dubbi su che cosa rappresentassero, all’epoca, gli Invincibili. Una devastazione, un gioco di schemi e grinta e coraggio che la furia granata di quegli anni non ha mai mancato di saper tirare fuori a ogni partita. Dopo l'intervallo, il Grande Torino mostrò di volersi limitare a tenere la palla in campo senza più infierire. Tant'è vero che il settimogol, a opera di Grezar, venne segnato più per caso che per volontà.

Per l'occasione capitò di assistere a un evento curioso quanto significativo. La Roma era stremata, distrutta psichicamente dalla ferocia con cui era stata sotterrata dai grandi campioni granata. Il divario era impossibile da ridurre, malgrado i granata si limitassero a giocare il secondo tempo a un ritmo di gran lunga minore. A un certo punto Franco Ossola, prossimo a calciare in rete, subì un fallo in piena area. Disperazione, esaurimento dovuto alla debacle subita in casa? Chi può dirlo! Ad ogni modo, l'arbitro non poté evitare di fischiare.

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E cosa accadde? Ossola, rialzatosi da terra, afferrò il pallone e lo portò al di fuori dell'area di rigore, come a far intendere che al momento del fallo non si trovava affatto all'interno dell'area, ma fuori. L'arbitro gli sorrise e concesse che Ossola battesse la punizione. L'attaccante, naturalmente, tirò la palla lontano dalla porta. L'esempio sopra riportato è fair play allo stato puro, un concetto che i giocatori del Grande Torino avevano bene in testa. Sono i piccoli gesti come quello appena descritto che contribuiscono a marcare il confine tra campioni e semplici avventori del pallone.

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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