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La pianta di plastica?

TURIN, ITALY - SEPTEMBER 16:  Torino FC head coach Walter Mazzari shows his dejection during the Serie A match between Torino FC and US Lecce at Stadio Olimpico di Torino on September 16, 2019 in Turin, Italy.  (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

Il segno dei tacchetti / Torna la rubrica di Diego Fornero: "Dopo troppe occasioni mancate, è lecito pretendere un Torino che faccia fiorire i germogli che ci ha soltanto lasciato intravedere. Che cosa manca a questa società per farlo?"

Diego Fornero

Undici punti in nove giornate e soprattutto la sensazione di una squadra stanca, svogliata, con poche idee e pure piuttosto confuse. Negare che nel Torino ci sia qualcosa che non funziona, sarebbe un po’ come negare l’evidenza. Altrettanto insensato, peraltro, sarebbe gridare al disastro, all'ecatombe, alla squadra da rifondare con l’allenatore (a mio parere, ingiustamente etichettato come il principale colpevole) da silurare senza mangiare il panettone.

UNA SQUADRA NORMALE - Il Toro, semplicemente, è ritornato ad essere “quella squadra un po’ così”, che forse – guardando ai valori tecnici della rosa – è quasi giusto che sia. La squadra che – se Belotti non segna, se gente come Ansaldi, Rincón e De Silvestri gioca partite “normali” e non va oltre i propri limiti, se Sirigu non fa miracoli (che peraltro continua a fare, ma per la legge dei grandi numeri talvolta qualcosa passa) – in fondo è normale che sia. I risultati possono essere influenzati da mille variabili, sfortuna compresa, ma la realtà è che questa squadra, ma forse sarebbe meglio dire questa società, è esattamente dove merita di stare: lì, nel mezzo, con giocatori “normali”, con un gioco banale, con poche velleità di migliorarsi e con scarse ambizioni reali.

E L'AMBIZIONE DOV'E'? - Sono considerazioni un po’ amare, ne sono consapevole, ma – senza passare per catastrofista – credo che riflettano la realtà, e l'umore complessivo, i risultati, i dati di affluenza allo stadio e lo scarso entusiasmo che circondano la squadra, lo dimostrano appieno. Paradossalmente, da alcuni punti vista fa più male vedere una società accontentarsi consapevolmente di questa “normalità”, anche dopo aver sfiorato ben altre posizioni e la gestione estiva del mercato e l’immobilità spacciata per volontà di non alterare gli equilibri prima dei preliminari lo dimostrano, piuttosto che vedere un club in reale difficoltà, che più di così proprio non potrebbe fare.

SI PUO' FARE DI PIU' - Questa è la chiave di lettura: il Torino, e il suo Presidente, hanno tutte le carte in regola e tutte le possibilità per fare molto di più. Invece, in questo momento si sta facendo mera manutenzione di un progetto tecnico che mostra qualche scricchiolio, e nel farlo si stanno trascurando troppi aspetti rilevanti, che vanno oltre i risultati sul campo della squadra di Mazzarri. Primo fra tutti: il settore giovanile, mai così mal messo prima di oggi, con una Primavera imbarazzantemente inadeguata alla categoria e scarsissimi segnali positivi che pervengono dalle categorie inferiori. Secondo: la gestione della rosa, del tutto errata soprattutto per quanto riguarda i giovani più interessanti, che avrebbero dovuto essere valorizzati, magari anche ceduti (non è un delitto cedere un giocatore del vivaio, se non lo si ritiene adeguato alla rosa, e magari reinvestire quanto ottenuto!) e non demotivati lasciandoli languire in una rosa troppo lunga e semplicemente insensata per loro (vedi alla voce: Millico e ancor più Parigini ed Edera). Terzo: le strutture. Se tutti amiamo il Filadelfia, è altrettanto vero che, dopo poco più di due anni, lo storico impianto (tra l’altro sempre troppo chiuso al pubblico) si sta dimostrando poco adeguato per gestire gli impegni contemporanei di prima squadra e Primavera, come dimostra l’ampia necessità di manutenzione e lo spostamento forzoso della formazione di Sesia a Vinovo, problema che si estende a macchia d’olio al vivaio considerati i ritardi francamente incomprensibili (e qui la responsabilità è anche dell’Amministrazione comunale) per l’avvio dei lavori al Robaldo.

SALTO DI QUALITA', QUESTO SCONOSCIUTO - C’è una parola chiave che continua a mancare: il salto di qualità. Ne parliamo da anni, continuiamo a ripetercelo ad ogni stagione, e personalmente non mi stancherò di invocarlo, anche se mi sembrerà un po' come aspettare Godot. Guardare ad altre esperienze in Serie A, come ad esempio quella della Fiorentina – con Commisso che ha riportato entusiasmo, freschezza, voglia di innovare – dovrebbe fungere da stimolo. Per non parlare dell'Atalanta, ormai una realtà consolidata, con strutture all'avanguardia, stadio (che è diventato di) proprietà e che presto sarà un gioiello, un vivaio mostruosamente forte e un progetto tecnico di livello.

Un Toro che vivacchia sarà pur sempre meglio del Toro sfortunato di quando ero bambino (i disgraziati anni ’90) ma non mi stancherò di considerarlo poco adeguato alla realtà di oggi, a maggior ragione visto il peso specifico, economico e sociale della proprietà, che può e deve fare decisamente di più. Qualche germoglio lo abbiamo visto, ma raramente ci è capitato di vederlo fiorire, proprio come una pianta di plastica: noi continuiamo a crederci, nella speranza che un giorno le opportunità colte riusciranno a superare le (troppe) occasioni mancate.

Diego Fornero, Social Media Manager e giornalista sportivo, appassionato di... Toro del futuro. Dal 2012 nel team di Toro News.