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Il Toro che non ho capito

Il Toro che non ho capito - immagine 1
Sotto le Granate / Torna l'appuntamento con la nostra rubrica
Maria Grazia Nemour

Sabato mangiavo una mela e guardavo lo stadio riempirsi pian piano, i ragazzi che attaccavano gli striscioni, le macchie blu del settore ospiti sempre più ampie. Più si riempiva e più pensavo che questo è un campionato che proprio non capisco. Siamo a febbraio e mi sembra che siano passati anni da quando abbiamo iniziato a giocarlo, sono successe così tante cose insensate. Nkoulou, il mio Spike Lee della certezza in difesa, che nel bel mezzo della nostra Europa dice di volersi prendere una pausa di riflessione, che i sentimenti non si possono contrattualizzare…e se ci lasciassimo rimanendo amici?

Non ho capito.

https://www.toronews.net/columnist/buonanotte-suonatori/

La Primavera che diventa sempre più nera, ma noi non eravamo granata?

Non ho capito.

La Questura che fa esperimenti sociali neanche giocasse col piccolo chimico nel laboratorio stadio. E grazie al cielo non è la Questura di Torino a fare altri tipi di esperimenti, che so io, per il vaccino contro il Coronavirus.

Non ho capito.

Il Toro che un momento è ammaliante – come a Verona, nei primi settanta minuti – e il momento successivo è sprovveduto, inefficace, inconsistente – come a Verona, negli ultimi venti minuti. Bipolare. Tutto e niente, insieme.

Non ho capito.

La Maratona che fischia la squadra quando ancora corre in campo. Autolesionismo. Belotti e Sirigu che dicono per favore, no.

Non ho capito.

Il nuovo anno che inizia sotto i migliori auspici, tre vittorie. E continua sotto gli strali di un maleficio, quattro sconfitte e diciotto gol. Tra queste, l’unica partita giocata è quella per le qualificazioni di Coppa, le altre sono una resa incondizionata.

Non ho capito.

https://www.toronews.net/columnist/dal-2000-in-su/

Sabato esco dallo stadio e il pullman del club non ha l’autorizzazione a sostare in nessun luogo, ci contiamo, telefoniamo all’autista e saliamo al volo quando passa davanti alla pensilina del tram. Sarebbe bello che la Società si prendesse cura dei suoi tifosi, organizzando col Comune un’area di sosta pullman post partita. Nel viaggio di ritorno evito accuratamente di leggere interviste, pagelle o commenti, così capito su un articolo che racconta di come gli ultras cileni da mesi lottino contro il regime di Pinera, scrivendo e urlando dalle curve degli stadi: “Sin justicia no hay futbol”. Due i tifosi rimasti uccisi negli ultimi giorni, migliaia i tifosi che non permetteranno che quegli omicidi di stato rimangano impuniti. Quel sofferto dissenso di curva mi riproporziona il pensiero su cosa sia importante e cosa no. Mi riappacifica un po’ col calcio che si può scegliere di rappresentare. Il pullman di tifosi delusi corre verso casa nel buio e io penso che tutto sommato è stato bello rivedere Ansaldi in campo, che Lyanco mi convince sempre di più, che il coro “Moreno olè, Moreno Longo” mi suscita piacevoli sensazioni. Nessuna guarigione, ma un lieve abbassamento della febbre nei passi marziali di Longo che al termine della partita guidano la squadra sotto la curva, ad accogliere e raccogliere le reazioni da portare negli spogliatoi.

Chissà se qualcuno ha capito.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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