“Il Torino non ha mai giocato così bene come nel primo tempo di oggi”. Con una dichiarazione insolitamente asciutta e composta negli spogliatoi di San Siro, Nereo Rocco fotografa, nel tardo pomeriggio di una dolce domenica, la strepitosa prestazione dei granata.
La leggenda e i campioni
Gigi Meroni. Il gol più bello
Un piccolo passo indietro. È la mattina di domenica 12 marzo 1967. Luigino Meroni ha incontrato Cristiana, la donna della sua vita. In ritiro pre-partita, Gigi si confida con il compagno ed amico fraterno Natalino Fossati. Sono rispettivamente, in un calcio rispettoso di numeri e ruoli, il numero 7 e il numero 3 del Torino. “Mi sento bene. Vedrai oggi. Ti farò vedere delle cose…Vedrai”.
È in programma Internazionale-Torino.
L’Inter di Helenio Herrera non perde sul terreno amico dal 29 ottobre del ‘62.
La cronaca del grande Giglio Panza su Tuttosport: “Al 17’ Poletti vinceva un contrasto a centrocampo con Suarez e lanciava a sinistra Gigino Meroni. Fintato Facchetti, Meroni d’interno destro, con tiro d’effetto, mandava nell’angolo alto, cogliendo Sarti già fuori dai pali”. Questa prodezza, impressionante per leggerezza di tocco e traiettoria, passerà alla storia come il “goal impossibile”. Un lob arcuato, corto, che deve abbassarsi repentinamente sotto l’incrocio alla sinistra del portiere nerazzurro.
Risultato finale: Inter-Torino 1-2
Meroni, nella sua brevissima esistenza, ha lasciato una traccia indelebile di uomo, innanzitutto, e di calciatore. Il ricordo ed il ritratto che ne ha tratteggiato Nando dalla Chiesa ne “La farfalla granata”, oltre alla scelta felice e delicata del titolo stesso, rimane uno dei più bei libri di calcio e una biografia toccante. Meroni era un fuoriclasse che giocava per e nella squadra. Nei filmati di repertorio, ci si può rendere conto che nei momenti di grazia non solo giocava, letteralmente compiva evoluzioni sul campo. Imprevedibile, la palla incollata al piede, sapeva smarcarsi, liberare il compagno, andare a concludere in maniera decisiva. Non era irridente, era, appunto, decisivo. Il suo controllo di palla, oltre che da doti innate, derivava dall’aver giocato in spazi stretti nel cortile di casa a Como e all’oratorio. “Per lui il calcio era divertimento”_Bruno Bolchi.
Ancora Bolchi: "Arrivava al campo con due calze differenti, noi glielo facevamo notare e lui come se niente fosse ci diceva che non facevano differenza due calzini di colore diverso”. In mansarda dipingeva e si disegnava i vestiti.
“Era il simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un Paese di conformisti sornioni”, Gianni Brera.
La maglia di quella partita, custodita per più di 50 anni da Giorgio Uncinelli, è stata di recente donata ad Antonio Comi per essere ammirata da tutti coloro che vogliono sapere chi era Luigino Meroni.
Il 9 settembre scorso, sul Corriere, Mario Sconcerti ha scritto a proposito del Napoli: “Kvaratskhelia ha molto più degli altri, mi sembra l’evoluzione del vecchio Meroni”. Se per descrivere e lodare un giovane campione di oggi si cerca nell’archivio della memoria il nostro Luigino come modello, vuol dire che negli ultimi sessant’anni pochi come lui. Dopo tanti anni se ne pesa ancora il valore, dentro e al di fuori del terreno di gioco.
FVCG
Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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