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Quell’odore di canfora al Filadelfia

Lettere alla Redazione / Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviataci da Bruno Nebbia, che ricorda i suoi anni da ragazzo in un pomeriggio al Filadelfia

Redazione Toro News

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Oggi spazio alla lettera inviataci da Bruno Nebbia, che ricorda insieme a noi i suoi anni da ragazzo in un pomeriggio al Filadelfia.

Cari fratelli di fede vorrei confidarvi uno dei ricordi più belli e struggenti della mia infanzia granata. Avrò avuto 7/8 anni e abitavo in Via Tunisi 66 al secondo piano col balcone affacciato sul campo di allenamento del Fila. In quei giorni girava voce che la società granata avrebbe organizzato delle partitelle fra ragazzi divisi per fasce d’età proprio su quel campo, cioè esattamente sotto il mio balcone. Il tutto sotto l'egida del compianto Sig. Oberdan Ussello (valido attaccante del Toro anni '30/'40) responsabile del settore giovanile granata. Un paio di amici ed io andammo così ad iscriverci. Che emozione! Saremmo stati finalmente "regolari’’. Senza il patema d’animo per le rincorse del custode e magari chissà... Sotto gli occhi di qualche giocatore del Toro... Era il sabato granata: porte aperte per vivere un paio d’ore di Toro e tentare l’avventura. Ma la cosa bella era che la società avrebbe fornito tutto eccetto le calzature. Poiché in famiglia le scarpette con i tacchetti erano considerate un lusso ripiegai sulle classiche scarpe da tennis bianche e blu, proprio quelle citate da Enzo Jannacci nella nota canzone.

Vi lascio immaginare il dolore ad ogni pedata con un pallone di cuoio duro come la pietra! Altro che il Super Tele in plastica. Ve lo ricordate? Ma non importava. Tutto avrei sopportato pur di indossare quella maglia granata di lana con le maniche lunghe che pungeva la pelle come carta abrasiva. E finalmente venne il giorno: entrammo in gruppo dal cancello principale, la ghiaia del cortile scricchiolava ad ogni passo sotto le mie suole di gomma e sotto i tacchetti dei più fortunati. Sulla destra il bar sotto la tribuna centrale e, in fondo lato Via Spano, una fila di maglie granata e calzoncini bianchi stesi sul filo ad asciugare proprio di fianco al campo piccolo. Ero troppo piccino per realizzare che molte di quelle foto che mio nonno mi mostrava con le lacrime agli occhi e che ritraevano ragazzi allegri e spavaldi in abiti civili, erano state scattate proprio lì su quella ghiaia, in quel cortile, prima o dopo le sedute di allenamento. Capitan Valentino affacciato al finestrino della sua vettura, Bacigalupo, Rigamonti e Martelli in sella di una grossa Moto Guzzi, Castigliano col suo sorriso triste. Ero troppo piccolo e troppo emozionato per far mente locale. Ussello detto Bida dai vecchi tifosi ci accolse con un sorriso e, in torinese, ci indicò gli spogliatoi: "Ciau fiulin, fe’ nen trop ciadel e ande’ suta a cambieve". Si percorreva un corridoio e si scendeva una scala. Eccoci arrivati: lunghe panche con attaccapanni, paioli di legno a terra, pungente odore di canfora e, in fondo, un tavolone con maglie granata e pantaloncini bianchi impilati in bell'ordine. Le raccomandazioni di Ussello vennero immediatamente disattese! Dopo il primo attimo di soggezione per l’ingresso in quella sagrestia, ci tuffammo a pesce per afferrare la maglia tanto agognata. Io ambivo alla 7 ma nel parapiglia che seguì riuscii ad arraffare la 4... Non era proprio la mia posizione preferita ma era pur sempre il ruolo dell’elegante Giorgio Puia! Pazienza. Ero già contento di essere lì con quella maglia granata addosso e i calzoncini bianchi troppo grandi sorretti da un provvidenziale elastico. Ricordo che prima della partita, schierati a centrocampo, salutammo la piccola folla di parenti e amici dietro la rete metallica.

Io avevo i miei al balcone che mi salutarono agitando le braccia e mi venne la pelle d’oca. La mia non fu una grande prestazione. Ussello non mi convocò, come fece per alcuni di noi la settimana successiva per un provino vero. Ma io, ripeto, ero già contento. Sono passati tanti, troppi anni e molti particolari li ho scordati ma una cosa mi è rimasta impressa: quel fortissimo odore di canfora che ti avvolgeva quando entravi in quello spogliatoio. Data la tenera età e nonostante i racconti di mio nonno e mio padre non mi rendevo conto che avevo avuto il grande privilegio di respirare la stessa atmosfera, usare le stesse panche, scendere e salire gli stessi gradini calcati da quella squadra entrata nel mito del calcio italiano e internazionale che fu il Grande Torino. Ma... Il mio Toro era un altro: Vieri, Poletti, Fossati, Puia, Rosato, Ferretti, Simoni, Ferrini, Hitchens, Moschino, Meroni. Capitano: Giorgio Ferrini. Allenatore: Nereo Rocco. Presidente : Orfeo Pianelli. Questo era il mio Toro. Una squadra lontana mille miglia dagli Invincibili, che allora per me erano come tanti carissimi parenti morti tragicamente otto anni prima che io nascessi. Ecco perché mi permetto di dire che chi ama e segue il Toro senza aver vissuto quel periodo aureo è ancora più meritevole. Era troppo comodo innamorarsi di un collettivo pressoché perfetto come accadde fatalmente ai nostri genitori. Non me ne vogliano i "vecchi" tifosi granata! Ma non possono negare che noi un po’ più giovani, giurammo eterno amore ad una squadretta modesta e sfigata, che negli anni successivi alla tragedia di Superga, visse più volte la serie cadetta, fu straziata ancora da lutti devastanti e che eccetto uno scudetto e qualche ruggito internazionale ha sempre rincorso (molto spesso battendola) l’altra squadra di Torino. Nonostante tutti i loro trofei e la tracotanza che li contraddistingue non riusciranno mai nemmeno ad avvicinarsi allo spirito che anima i nostri cuori granata. Nella nostra storia ultracentenaria siamo nati e morti per ben due volte! Questo è uno dei motivi per cui ESSERE DEL TORO ci rende unici! Così la mia fede resterà incrollabile ed incancellabile come rimarrà scolpito nella mia memoria olfattiva quell’odore di canfora che ogni volta, per un attimo, mi porterà indietro nel tempo. FORZA VECCHIO CUORE GRANATA ORA E PER SEMPRE.

Un abbraccio a tutti i fratelli e le sorelle granata.

Bruno Nebbia