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Toro: salutare i campioni fa male, però…

Lo Psicologo Granata / Il punto di vista di un mio paziente: ''Piaccia o no, un modello aziendale in questo momento è l'unico a ripagare''

Riccardo Agnello

"Come è normale che sia il calciomercato ha fatto molto discutere i miei pazienti, e si è avuto ampiamente modo di parlarne in tutte le salse, sia in questa, sia in altre rubriche di questo sito.

"Un mio paziente, durante un nostro colloquio, ha però fatto una riflessione che mi ha colpito particolarmente: mi ha fatto notare come i due giocatori italiani migliori del campionato (Cerci e Immobile) siano emigrati all'estero senza che nemmeno le squadre italiane potessero avvicinarsi al prezzo del loro cartellino.

"Questo avvenimento denota uno stato di salute pessimo del nostro campionato e del nostro calcio, basti solo pensare a 10 anni fa quando erano i migliori giocatori di campionati come la Liga o la Bundesliga a venire di corsa in serie A. Vuoi una crisi economica, vuoi investimenti sbagliati dei nostri club in passato, resta il fatto che a noi non resta che reinventarci campioni fatti in casa. Proprio per questo il mio paziente sosteneva che le cessioni di giocatori come Cerci e Immobile non siano assolutamente una cosa che deve sorprendere, soprattutto viste quelle illustri fatte dalle grandi del nostro campionato: Balotelli e Benatia solo in questa sessione di mercato.

"Proprio in questo senso sosteneva che sia importante fare un passaggio mentale cercando di spostare la propria visione su una mentalità più aziendalista, ossia iniziare e vedere anche di buon occhio grosse cessioni che generano grosse plusvalenze a patto però di vedere reinvestiti quei soldi nel settore giovanile, o in giocatori meno affermati, o anche solo per aumentare il capitale della società (cosa che, per il momento nel Toro sta avvenendo, in attesa di vedere cosa avverrà in futuro con l'introito della cessione di Cerci). Tutto ciò, ovviamente, a discapito dell'aspetto affettivo verso i giocatori. Dal punto di vista di questo mio paziente questa situazione è, di fatto, un obbligo, quasi come fosse l'unico modo per crescere in questo calcio in cui ci sono davvero pochi soldi e in cui le bandiere sono solo dei lontani ricordi.

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