Loquor

Gianni Infantino all’attacco del Brasile

Gianni Infantino all’attacco del Brasile - immagine 1
Torna un nuovo appuntamento con "Loquor" la rubrica di Carmelo Pennisi

“Merita il potere solo chi ogni

                                                                            giorno lo rende giusto”

Dag Hammarskjold

 

“Ci sarà pure un giudice a Berlino” è un frase attribuita a Bertolt Brecht, essa sta ad indicare come sia importante avere da qualche parte una giustizia che impedisca ai potenti di fare tutto ciò che gli aggrada, saltando regole e procedimenti in genere messe in atto per evitare arbitri sulla vita democratica. Tutto ciò ha un senso per le persone perbene e per tutti gli studiosi della politica e del diritto, ma a quanto pare non per Gianni Infantino, che da quando ha preso la residenza in Qatar deve averne preso in uso le metodologie di gestione del potere. Il teorema è chiaro: se ho in mano il bastone del comando, questo mi conferirà una forza tale da poter esercitare pressioni di ogni tipo (lascio all’immaginazione del lettore quante e quali potrebbero essere) rendendomi schermato da ogni forma di controllo su me stesso e sulla organizzazione che dirigo. Se qualche scriteriato osasse toccare questo mio status, avrei comunque modo e i mezzi per ricordargli come dalle mie parti esista ancora il reato di lesa maestà. Il prode cavaliere svizzero pronto a ricordare ad ogni piè sospinto di essere anche stato naturalizzato italiano (di certa emigrazione di ritorno direi se ne possa fare tranquillamente a meno), ora ce l’ha con la giustizia brasiliana, colpevole, a suo dire, di essersi intromessa in un territorio, il calcio, che è assolutamente di competenza della sede di Zurigo della Fifa e delle federazioni a lei affiliate.

I fatti, in sintesi, sono questi: Ernaldo Rodrigues è stato licenziato da presidente della CBF (la confederazione brasiliana di calcio) dopo una sentenza della Corte di Giustizia, che ha stabilito come irregolare il suo mandato presidenziale senza passare attraverso una assemblea elettiva. Questa sentenza e la sua conseguente logica azione contro Rodrigues ha fatto andare su tutte le furie il rais del calcio mondiale, che sta minacciando di sospendere la nazionale verdeoro da tutte le competizioni calcistiche. Evidentemente ad Infantino non è stato sufficiente quell’autentico calcio sui denti ricevuto dalla Corte Europea di Giustizia appena la settimana scorsa, e si dibatte e sbuffa come un toro nell’arena per cercare di rimettere al centro dell’agenda mondiale il suo ego da satrapo al di sopra delle leggi ordinarie. La questione farebbe solo ridere se il calcio, specie in Brasile, non fosse una cosa maledettamente seria e con una serie di implicazioni sociali di notevole livello. Eppure ci tocca parlare di gente non ancora convinta che forse sono finiti i tempi in cui il calcio godeva di una extra territorialità e di una extragiurisdizione. Eppure Infantino è assunto al più altro scranno del calcio mondiale grazie anche ad una massiccia operazione condotta nel 2015 dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia americano, che ha stabilito come ci siano “almeno due generazioni di dirigenti FIFA che hanno abusato della propria posizione per arricchirsi”. Dovrebbe pensare meglio il figlio di due emigrati italiani in terra elvetica prima di lasciarsi soggiogare dall’ego e sparare nel mucchio, ma se c’è stato un momento in cui ha ritenuto di essere diventato intoccabile quello è stato l’invito ricevuto a partecipare al G20 di Bali nel 2022, dimostrando tutto il suo vivere in una paranoia da sogno invitando Russia ed Ucraina a “pensare un cessate il fuoco temporaneo per la durata della Coppa del Mondo”. E a Bali deve aver pensato di aver raggiunto lo status di uno sceicco alla Al Thani, visto il rispetto ossequioso da capo di Stato ricevuto.

Qualche organo di stampa a lui amico ha ritenuto di andare in soccorso del vincitore tranquillizzando l’opinione pubblica sulla sua volontà di non perseguire ambizioni politiche, cadendo in una vera e propria operazione di comicità involontaria se consideriamo il G20 una delle massime rappresentazioni della politica mondiale e il fatto che in quel momento Infantino credeva ancora allo status giuridico di Stato sovrano della Fifa, uno Stato di cui lui si sentiva, e si sente, il sovrano legittimo. E da leader di uno Stato sovrano la settimana scorsa ha commentato la sentenza della Corte Europea di Giustizia sulla nota vicenda della SuperLeague: “col massimo rispetto per la Corte Europea di Giustizia, la sentenza non cambia davvero nulla. Storicamente organizziamo le migliori competizioni al mondo e così sarà anche in futuro”. E’ un massimo rispetto che sottintende un “me ne fotto”, un eludere un commento sulla sentenza, una arroganza di chi fino ad oggi a organizzato in totale regime di monopolio le competizioni calcistiche mondiali. Se non fosse di una intelligenza opaca (direi mediocre ma con una scaltrezza sempre pronta ad agire), si potrebbe ipotizzare al suo prossimo sbarco, dopo la conclusione della sua avventura nella Fifa, a chissà quale incarico di prestigio a livello mondiale, ma in realtà il suo attuale potere e allure seducente gli deriva non tanto da una sua illuminata gestione del calcio mondiale, ma dal fatto che il calcio, grazie alla televisione e al marketing, è diventato sempre di più il rito collettivo universale dentro il quale le masse si riconoscono e si parlano, e non c’è bisogno di ricordare quanto controllare le masse sia importante per evitare altri assalti alla Bastiglia o al Palazzo d’Inverno.

In un mondo proteso a vivere più di rappresentazione che di verità, un fenomeno come il calcio, se vissuto in modo patologico, serve per tenere le masse eternamente collegate con qualcosa d’altro rispetto alla coscienza, ed è proprio a causa di ciò che si è giunti a pensare lo sport più seguito al mondo come ad uno spettacolo piuttosto che ad un rito, con un processo di desacralizzazione del rito (la partita) destinato probabilmente a compiersi nel giro di qualche anno. Se si pensa che il “Trade World Organization” ha 164 affiliati contro i 211 della Fifa, si capisce il senso dell’intervento di Infantino a Bali nelle vesti quasi comiche di diplomatico: essere al centro della politica e dello sport, questo era il reale obiettivo. L’occidente ha bisogno di capitali arabi? Gli arabi hanno bisogno di un po’ di softpower? Ecco il calcio pronto all’uso con due allucinanti mondiali assegnati (quello del Qatar già disputato, quello in Arabia Saudita da disputarsi nel 2034) in perfetta sintonia con le esigenze geopolitiche del mondo. La sicumera con cui la Fifa si sta scagliando contro la nazione più importante del pianeta calcio, sta racchiusa in questa commistione di poteri e interessi gestita da una persona con il fascino e la visione di un commesso viaggiatore. Ha fatto passi da gigante l’ex cerimoniere dei sorteggi delle competizioni Uefa, quando con il suo sorriso da “butta dentro” da discoteca declinava nomi di club dalle storie illustri, figlie di quell’Europa magari lacerata da conflitti e scontri sociali ma pronta a trovare il tempo di fermarsi per creare anche attraverso lo svago un momento in cui, citando Joseph Ratzinger e una sua splendida riflessione sul calcio, l’uomo può “ritrovare in esso la nostalgia del Paradiso perduto”.

Albert Camus, quasi analogamente, sosteneva come lo stadio, insieme al teatro, fossero “gli unici posti in cui mi sento innocente”. Leggi queste riflessioni di due giganti del 900 intellettuale, e ti chiedi cosa c’entrino persone come Infantino con il calcio, gioco di genti e di mondi e che a questi, solo a questi, deve le sue fortune. Lo “storicamente organizziamo le migliori competizioni” del dirigente elvetico cozza drammaticamente e miseramente con le brutali e chiari parole di Loretta Lynch, nel 2015 Procuratore Generale degli Stati Uniti: “i capi d’accusa (quelli dell’inchiesta sulla Fifa dell’FBI del 2015) sono riferiti in gran parte a tangenti pagate per garantirsi l’assegnazione di diritti televisivi e partnership commerciali relativi ad eventi calcistici…”. Ecco quale è lo “storico” della Fifa. L’Unione Europea è un osso troppo grande da masticare e la sentenza l’ha dovuta mandare giù come tra i più indigesti bocconi amari della sua vita, ma ora spezzare le reni al Brasile potrebbe essere un buon viatico per dimostrare come nulla sia cambiato dalle parti di Zurigo. E’ una furia contenuta quella di Infantino, ma simile a quella di Hernan Cortes avido di ricchezze e potere garantite dal “Nuovo Mondo” scoperto da Cristoforo Colombo. E’ un “conquistadores” con la stessa brutalità di quelli spagnoli. L’essenza delle conquiste è distruggere i paradisi conquistati, ma un paradiso conquistato è un paradiso perso, questo è il monito da dover tener presente da chi ama il calcio. Un giudice a Berlino, che di certo esisterà sempre, penserà al resto. L’inizio di un nuovo anno bisogna guardarlo con fiducia rinnovata.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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