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Il valore delle parole

Rubrica / Torna la rubrica di Anthony Weatherill con la speciale collaborazione di Carmelo Pennisi. La riflessione prende spunto da Sigmund Freud e dal suo detto che “uno è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla”

Anthony Weatherill

“Quando uno non distingue più i banditi dagli sceriffi vuole dire che è nella merda”, scrive Stefano Benni in “Saltatempo”, uno dei suoi più bei racconti. Ma perché si può giungere a non distinguere più questa differenza? Forse sono le parole dette a disegnare scenari che di volta in volta esprimono tutto e il contrario di tutto. Scenari  diventati mondi virtuali, ad uso e consumo di interessi soggettivi esasperati. Si dicono così tante parole, che ormai si ha l’impressione siano state ridotte (le parole) a meri suoni emesse dalla bocca per convenienza utilitaristica, invece di essere espressione di azioni e coerenze interiori.

Il risultato è stato di far perdere valore alla parola, diventata bolgia piuttosto che segno chiarificatore. Nella conferenza stampa della vigilia di Fiorentina-Juventus di qualche settimana fa, Maurizio Sarri è stato messo dai giornalisti di fronte alla responsabilità di alcune sue parole passate, quando era alla guida tecnica del Napoli. L’allenatore tosco/napoletano ne è uscito alquanto malconcio, con parole apparse più un tentativo di avvinghiarsi a dei vetri talmente scivolosi, da far risultare lo sforzo dell’ arrampicata oggettivamente penoso. Il tecnico bianconero, confermando ciò che disse Josè Saramago a proposito della natura diabolica delle parole capaci di farci affermare quello che poco prima negavamo o viceversa, ha liquidato con un “lasciatemi sfogare dopo le partite” tutte le parole dette nel suo periodo napoletano contro la Juventus;  persino la nonna materna, accesa tifosa della Fiorentina e che abitava a 500 metri dello stadio “Artemio Franchi”, è stata dal buon Maurizio riposta con un sorriso ironico nel più lontano stipite dei ricordi. Il tifoso del Napoli Maurizio Sarri, con un’intera famiglia tifosa della Fiorentina, ha poi tenuto a sottolineare come abbia scoperto improvvisamente, come un novello San Paolo sulla via di Damasco, il perché la Juventus vinca a cadenze regolari, “essendo una società che ha la sua forza sia nell’organizzazione che nella testa. Una forza che crea una mentalità feroce”. La capacità delle parole, elevate a mera forma retorica, di ribaltare un precedente giudizio dato dall’allenatore toscano su bianconeri (“la differenza tra Napoli e Juve risiede solo nel fatturato”), è davvero stupefacente.

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Qualcuno ora potrebbe dire che queste sono parole dette da un professionista, obbligato a lodare e sostenere la società per cui lavora con modalità pro tempore, e forse questo qualcuno qualche ragione potrebbe averla. Ma il problema, a mio avviso, risiede a monte, e cioè al momento di una scelta professionale, per quanto prestigiosa e remunerativa questa possa essere. Si può, in nome del professionismo, giustificare qualsiasi tipo di scelta? Formalmente sì, e infatti Sarri ha legittimamente firmato un contratto con la Juventus. Ma la forma, per essere accettata, ha bisogno di una sostanza composta da pensiero,parole e azione coerenti e organiche tra di loro. La forma di un tribunale che emette un giudizio di condanna per una rapina, è legittimato dal fatto di una società che ha compiuto un percorso etico/morale, composto da parola e pensiero, ha stabilito come non si possa appropriarsi con la forza, con la malizia o con l’ingegno di proprietà altrui. A meno che,come nel caso di Sarri, non si voglia deliberatamente usare il risvolto diabolico della natura della parola, per cambiare un patto che ha generato una forma, ridotta in questo caso inevitabilmente ad essere una scatola vuota. Come nel caso di scambiare, attraverso la parola scritta, chi attraverso la pirateria informatica cerca di appropriasi gratuitamente di eventi sportivi televisivi per una persona che non vuole essere omologata dal sistema, da cui non vuole essere integrata.

Il furbo elevato a pirata, e di cui bisogna comprenderne le ragioni per i costi elevati di abbonamenti tv e da stadio. Anche di queste cose capita leggere, in un’epoca in cui la forma retorica della parola sta pericolosamente prevaricando la sostanza della parola stessa. Una parola che,usata abilmente, può raccontare come un furto ,in realtà, possa non essere più considerato un furto. E  giù il rumore incontrollato delle parole, a far ritenere come un’opinione possa valere più di una forma condivisa faticosamente raggiunta nel corso di secoli. Desta sconcerto come chi dovrebbe avere un minimo di senso di responsabilità(giornalisti,uomini  in vista, politici,scrittori,ecc…), abbiano in questa contemporaneità scellerata rimosso il senso del limite e della responsabilità. Tutto si può fare, visto che c’è sempre una parola alla Saramago a soccorrerci.

E quindi non può sorprendere più di tanto se ultimamente nella politica italiana si siano ascoltate  parole che hanno detto tutto e il loro contrario, dando vita ad un governo rimasto appeso semplicemente ad una giustificazione di forma costituzionale. Almeno così alcune parole lo hanno giustificato: “la Costituzione sostiene che le maggioranze si formano in parlamento, e quindi questo nuovo governo è legittimo aldilà di ogni qualsiasi altra ragione”. Sembra importare poco, comunque la si pensi politicamente, come le parole dette dalla politica fino a qualche settimana fa escludessero categoricamente un appalesarsi di una maggioranza governativa stile “Conte-bis.

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Le parole cambiano repentinamente un giudizio, arrivando ad utilizzare la forma della Costituzione per nascondere una macroscopica contraddizione. Quello che non andava bene ieri, oggi è accettabile. Ma se la contraddizione data come possibilità dalla parola prende possesso della forma, siamo sicuri che la forma abbia ancora un valore?  Se l’amore per una squadra di calcio, che secondo la vulgata va avanti da oltre un secolo, è l’unica cosa non passibile di cambiamento nel corso di una vita, come è possibile giustificare con le parole alcune contraddizioni opposte ai caratteri costitutivi di questo amore? Probabilmente Sarri, tifoso del Napoli sin da bambino e allenatore del Napoli antagonista della Juventus, l’ultima squadra a cui avrebbe dovuto offrire le proprie prestazioni professionali avrebbe dovuto essere proprio quella bianconera.

La parola “professionista”, diventa appunto una parola priva di senso se la si svuota di alcuni contenuti etici necessari. Conosco uno scrittore di cinema, tifoso di fede granata, che diversi anni fa declinò gentilmente un’offerta molto vantaggiosa economicamente per fare un film Rai su un pezzo di storia della Juventus. Avrebbe potuto trovare mille parole,in nome del professionismo, per accettare quell’opportunità professionale, ma rifiutò di cercarle quelle parole. “Esistono dei limiti – disse al latore della proposta- anche per il professionismo. Non sarebbe eticamente ed empaticamente giusto se accettassi la proposta di scrivere un film sulla Juve. Un tifoso del Toro non può farlo”. Ecco cosa hanno fatto l’uso diabolico delle parole, hanno scardinato ogni limite conosciuto, provocando la rimozione della coscienza delle cose che non possiamo fare, se vogliamo preservare il valore della forma. “Voglio correre con il Torino e Mazzarri per me è come un padre”, parole belle e gravide di promesse queste pronunciate da Nicolas Nkolou appena qualche mese fa, ma contraddette poco tempo dopo da altre parole che hanno fatto capire chiaramente come il giocatore volesse(e voglia) lasciare il “padre” Mazzarri e la corsa con il Torino per accasarsi in altri lidi. I tifosi granata, quando questo distacco di Nkolou dal Toro avverrà, troveranno parole per condannarlo o giustificarlo, probabilmente per lenire un po’ il dolore della perdita o semplicemente perché a volte le parole servono a far allontanare il nostro sguardo dalla verità espressa dalla realtà.

“Parole soltanto parole, parole tra noi”, canta Mina nella nota canzone, sognando di ritrovare sempre il meglio nell’uomo di cui è innamorata. Ecco, le parole possono anche condurre a ritrovare quel meglio smarrito, se solo se ne avesse voglia. Perché se torniamo a dare un valore alle parole, e glielo si può tornare a dare solo se alle parole leghiamo delle conseguenze/responsabilità,  potremmo finalmente allontanarci da quella loro natura diabolica di cui parla Saramago. Allora non saremmo più costretti ad assistere alla patetica conferenza stampa della vigilia di Fiorentina-Juventus di Sarri, perché Sarri, avendo di nuovo ridato valore alla parola e alla forma, non potrebbe mai essere l’allenatore della Juventus. La parola legata alla conseguenza imporrebbe a tutti il giusto limite nell’agire. Forse in questa storia non vivremmo completamente felici e contenti, ma sicuramente in modo più decente. Sarebbe un sogno se, attraverso la parola, recuperassimo la decenza perché, usando ancora delle belle parole scritte da Stefano Benni,“Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola,ma insomma ci siamo capiti”. Spero di sì.

Con la collabrazione di Carmelo Pennisi

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.