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Chi era Sor Ernesto?

Nel Segno del Toro/ Sapreste dirmi quale figura legata alla storia granata venne sempre associata a un simile nomignolo? E sapreste anche dire qual è la prima frase che tale Sor Ernesto espresse ai calciatori del Torino quando li incontrò per la...

Stefano Budicin

Il soprannome fu affibbiato dai giocatori del Grande Torino a Ernest Egri Erbstein, direttore tecnico della squadra. Ungherese, era considerato alla stregua di un genio del football. E la sua presenza si può considerare a tutti gli effetti straordinaria tanto fu il suo impegno a smuovere la squadra per migliorarla. Erbstein nasce nel 1898 in Transilvania, a Nagy Varad, all'epoca provincia ungarofona dell'Impero asburgico. Trasferitosi a Budapest all'età di due anni, si diplomò alla scuola locale superiore di educazione fisica ed entrò nell'associazione locale di atletica, come mediano presso il BAK Budapest. Dopo il diploma Erbstein cominciò a lavorare come agente di borsa, attività in cui brillava ma che certo non era la sua passione principale. Il tarlo del gioco del calcio rose ben presto l'attenzione del giovane ungherese, che decise di dedicarsi a tempo pieno alla sua passione più grande. Per seguire il sogno, però, era necessario varcare i confini nazionali. Giocare a calcio, in Ungheria, era un concetto ancora sconosciuto. Così partì in direzione di Fiume, militando per una sola stagione nell'Olympia. L'anno seguente si fece notare in serie B giocando nel Vicenza tra salari scarsi e sacrifici a non finire. Una breve parentesi americana (a New York, precisamente) fece capire a Erbstein che il gioco da lui sognato fin dall'infanzia era assai diverso da ciò che si giocava ogni sera sul campo. Guadagni irrisori e la nostalgia della famiglia lo spinsero a tornare in Italia.

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Sui campi da gioco italiani mostrò il suo talento come allenatore, prima del Bari, poi del Nocera, divenendo ben presto una celebrità. I tifosi lo adoravano e i giocatori lo idolatravano. Inevitabile che le squadre di serie A si accorgessero di lui. E con loro un tale Ferruccio Novo, che si dice fece all'allenatore un'offerta impossibile da rifiutare. Ai giocatori del Grande Torino Erbstein si fece portavoce di una frase da scolpire nei libri di storia calcistica: “voi non sapete calciare la palla”. Una sentenza terribile che segnò l'incipit di un percorso di crescita destinato a non avere freni né inibizioni di alcun genere. Erbstein la mente, Erbstein il mago, Erbstein lo stratega. Non c'era ruolo che la sua bravura non coprisse, curandone ogni aspetto con una precisione maniacale. Sotto la sua ala vigeva una disciplina ferrea e militaresca. I suoi metodi erano spesso poco ortodossi. Uno tra i tanti episodi celebri che si ricordano ha a che fare con Erbstein che lega assieme le caviglie di due giocatori, imponendo quindi loro di correre. Lo scopo? Abituarsi alla pressione che gli avversari avrebbero imposto loro per tutta la partita.

C'è chi considera Erbstein come un direttore d'orchestra. Per i giornalisti fu "Il Napoleone della panchina", data la sua visione di gioco corale e innovativa. Una modernità che potevi subito tastare tanto il Torino era in grado di giocare con una preparazione eccelsa. Tutti attaccavano e tutti difendevano. E per i giocatori del Grande Torino fu sempre "Sor Ernesto", appellativo scherzoso volto a ridimensionare appena la sua figura maestosa e carismatica e autorevole. Erbstein era infatti un uomo molto colto, serio, avvezzo alla fatica e alle direttive di una vita grama e spietata. Come tacere delle avverse circostanze storiche nelle quali l'allenatore ungherese si trovò a lavorare? In un'Italia dominata dal fascismo, anche Erbstein fu vittima delle persecuzioni razziali per via delle sue origini ebraiche. Dopo aver stretto un accordo con il Feyenoord, Erbstein si recò a Rotterdam per cominciare una nuova carriera. Ma il treno nel quale si trovava venne fermato al confine tra Germania e Paesi Bassi, e l'allenatore fu costretto a rimanere in terra tedesca per diversi mesi, prima di decidere di tornare a Budapest assieme alla sua famiglia. Provvidenziale ancora in questo caso è la figura di Ferruccio Novo. Il presidente granata riuscì a far sì che Erbstein ottenesse un lavoro presso un'azienda tessile di Biella, così da farlo tornare in Italia più volte. Ma il 18 marzo 1944 i nazisti invasero l'Ungheria e Erbstein venne spedito in un campo di lavoro. Seguirono fughe, viaggi, marce compiute nella clandestinità, quindi il ritorno in Italia, dove Ferruccio Novo si prodigò per nasconderlo fino al termine della guerra.

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Nel 1948, nominato da Novo direttore tecnico del Grande Torino, Erbstein collezionerà uno scudetto e una quantità di record tale da ricompensarlo di tutte le miserie patite, fino al momento in cui, il 4 maggio di quell'anno pestilenzialmente orrendo, a Superga, Erbstein perderà la vita assieme ai suoi compagni di squadra. Di lui ci rimane il genio di un allenatore che né le storture della guerra né la fame né le vessazioni continue hanno mai saputo piegare. Un uomo dotato di una forza d’animo somma, pari pari a quel tremendismo granata che ammantava il cuore degli Invincibili e li spronava a dare il meglio di sé nei momenti difficili. Un cuore granata incapace di arenarsi ad alcun tipo di resa, uno spirito arguto e un maestro di vita che non ci si stancherà mai di guardare con ammirazione.

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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