Nel segno del Toro

Le vieux diable Guglielmo Gabetto

Torna la rubrica di Stefano Budicin: "Come mai ci riferiamo a Guglielmo Gabetto quando diciamo le vieux diable?"

Stefano Budicin

Come mai ci riferiamo a Guglielmo Gabetto quando diciamo le vieux diable? Cosa avrà mai combinato per guadagnarsi un simile appellativo? Niente di grave, questo è sicuro. Vero è che a un certo punto della sua carriera furono sempre più numerosi coloro che iniziarono davvero a crederlo un diavolo. Ma prima qualche riga di premessa.

Guglielmo Gabetto nasce il 24 febbraio 1916 a Torino. L'infanzia trascorre serena tra le vie di Borgata Aurora. Purosangue torinese, non arriva subito a indossare la maglia granata. I suoi primi passi professionali si compiono tra le fila del club rivale bianconero, nel quale Gabetto segnerà in soli sette anni 102 gol.

Passa al Torino nell'estate del 1941. L'acquisto vale 330mila lire, cifra alquanto notevole per il periodo nonostante le doti indiscusse dell'atleta. Curiosamente, all'indomani dell'acquisizione torinese tutti lo considerano un giocatore al tramonto, malgrado l'età: ha infatti appena venticinque anni. Vi è che comunque il suo passato bianconero lo qualifica come uno tra i migliori attaccanti italiani dell'epoca. E questo basta già a rassicurare i dirigenti e a esaltare i tifosi.

Il suo percorso agonistico con i granata gli fa guadagnare il soprannome "Gabe". Le sue reti, spesso ai limiti delle possibilità umane per come vengono realizzate, gli valgono l'appellativo di "Santa Rita dei goleador". Abile, veloce, scattante come un atleta olimpico, Gabetto è cinque volte Campione d'Italia ed è uno dei più prolifici bomber del calcio italiano. Vederlo giocare i derby è una meraviglia, perché è in quei momenti che Gabe si accende e dà il meglio di sé. A fine carriera si pensa che abbia stretto un patto con il demonio. Siamo nel 1949 e Gabetto non mostra segni di cedimento. Corre come sempre, schiva, scatta, si concede impensabili acrobazie. Per questo la gente lo chiama anche le vieux diable, appellativo scherzoso che muove dalla sorpresa di vedere un giocatore veterano come lui capace ancora di simili atletismi. Gabetto stesso non vuole saperne di mollare. Al punto che se non fosse stato per il disastro di Superga, il Gabe avrebbe potuto continuare per qualche anno ancora.

Ricordiamo Guglielmo anche per il legame con Franco Ossola. Il loro affiatamento travalica i confini del campo da gioco. Non va dimenticato che proprio nel 1948 Gabetto e Ossola decidono di unire le forze per costruire un bar che rievochi i fasti del Grande Torino. Il bar si chiama Vittoria, ma tutti sanno che il suo vero nome è Gabos, termine composto dalle iniziali dei nomi Gabetto e Ossola. Le interminabili partite di poker, celate dietro l'espressione gergale "fare i gelati", e poi il contatto diretto con amici e tifosi restituiscono l'immagine di un luogo che definire iconico è un eufemismo. Ed è il lascito che un talento come Gabetto ci ha dato modo di carpire.

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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