Per “arrivare” da qualche parte nel calcio bisogna far combaciare una serie innumerevole di fattori. Ci vuole costanza, allenamento, fame, voglia di arrivare, una buona dose di fortuna, fiducia, e, soprattutto, talento. Nei settori giovanili, si può lavorare su quasi ciascuno di questi fattori, soprattutto sull'allenamento e sulla fiducia, ma sul bacio della Dea Bendata e sull'X-Factor – mi si consenta la citazione televisiva – della qualità, c'è poco da fare.
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Se non Vittorio, Chi?
Saper giocare a pallone, saperlo fare davvero, è un dono, come lo è, in fondo, quello di ogni arte. Si può diventare grandi giocatori anche senza un immenso talento, ma se si ha un talento... Diventa un peccato capitale non sfruttarlo per diventare grandi giocatori. Quando il sabato pomeriggio, tra un match della Primavera e un anticipo di Serie A, pane quotidiano dei miei weekend, non posso non dare un'occhiata alla Serie B (lega che, per me, mantiene un fascino indiscusso), il telecomando mi scivola sempre là, sul canale del Perugia, dove in campo con la maglia numero 27 corre e segna un certo Vittorio Parigini.
Di Vittorio è già stato scritto tutto e il contrario di tutto: analisi tecniche, statistiche, approfondimenti ed anche aneddoti coloriti. Il più bizzarro riguarda innanzitutto la sua “genesi” da giocatore del Torino, con la leggenda che vuole Antonio Comi e Silvano Benedetti addirittura alla Prima Comunione del ragazzino, per convincere la famiglia a scegliere il granata. Nessuno dei protagonisti potrà mai giurarvi che ciò sia accaduto davvero, ma una cosa è certa: da quasi dieci anni il Toro si è davvero portato a casa un bambino, poi un ragazzo, ed oggi – benché di anni Vittorio Parigini ne abbia soltanto diciannove – un uomo che col pallone tra i piedi non è come tutti gli altri.
Seguendo il settore giovanile granata con passione, sono tanti i giocatori che ho incontrato sul rettangolo verde, e sono pronto a scommettere che i frutti del lavoro si vedranno e un buon numero di loro diventerà un calciatore professionista. Ma il talento, quello che ad un osservatore fa sottolineare due volte in rosso il nome di un calciatore, quello che accende la fiammella di chi vede il calcio innanzitutto come un grande spettacolo, l'ho visto in pochi così lampante, evidente, vivido e voglioso di emergere, così come nelle gambe e nei piedi di Vittorio Parigini.
Quelle stesse gambe e quegli stessi piedi, decisamente cresciuti, che lo scorso 21 novembre infilavano il Brescia con un tiro poderoso sotto l'incrocio e appena tre giorni fa, 30 novembre, regalavano al Perugia tre punti d'oro in una sfida di alta classifica contro l'Avellino. E quelle stesse gambe di un ragazzo già così maturo da bagnare in goal l'esordio assoluto in Nazionale Under 21, per l'ennesima volta da più giovane in campo. Quel ragazzino si è fatto grande, il suo corpo si è ricoperto di tatuaggi (“so' ragazzi...”), il physique du role dell'attaccante moderno si è costituito completamente: tre anni tra i professionisti hanno ottenuto i propri effetti.
Non è mia intenzione, dunque, ammorbarvi ulteriormente di statistiche, anche se i numeri di un ragazzo che – in pochi mesi – è passato dagli Allievi Nazionali alla Serie B e che oggi conta già 56 presenze e 7 goal tra i professionisti fanno riflettere. Piuttosto, ripensando alle prime volte che vidi quel ragazzino in campo poter fare quello che voleva, anche con quel pizzico di sbruffonaggine che – parliamoci chiaro – è ciò che ci si aspetta da chi ha così tanta fame e voglia di arrivare, la domanda molto semplice che mi pongo, e soprattutto pongo a voi lettori, è una sola... Immaginando un Toro Del Futuro, sognando finalmente di vedere lanciato nel palcoscenico che conta di più – quello della Serie A - un ragazzo cresciuto con la maglia granata addosso... Se non Vittorio, chi? E la mia risposta, già ve l'ho data...
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