Un pezzo da collezione: così può essere definito il nuovo libro della redazione di Repubblica sul Grande Torino, in uscita insieme al giornale oggi, 4 maggio 2024, 75° anniversario della tragedia di Superga. Si intitola “Grande Torino” e offre un viaggio emozionale a ripercorrere la storia di una squadra che ha fatto la storia del mondo del calcio. Ne abbiamo parlato insieme a Emanuele Gamba, inviato de “La Repubblica” spesso anche al seguito del Toro, una tra le firme che hanno contribuito a comporre il prodotto letterario.
Esclusiva
Gamba a TN presenta il libro di Repubblica sul Grande Torino. “E su Sarri vi dico che…”
Emanuele, cosa ha di interessante questo libro? “Possiamo dividerlo in due parti. Una è di repertorio: abbiamo recuperato vecchi articoli di Bocca, Mura, Brera, Fossati, grandi firme del passato che nel corso degli anni hanno spesso scritto sul Grande Torino. Sono testi di una qualità, come potete capire, elevatissima. La seconda parte invece è inedita e ci abbiamo lavorato in queste settimane. Ci sono articoli di vario genere: Superga, il Grande Torino, il Filadelfia visto in vari modi e da diversi punti di vista. Le cose più interessanti a mio avviso sono in primis una intervista a Sandro Mazzola che parla del padre mettendosi a nudo come raramente ha fatto nella sua vita; e poi una intervista a Buongiorno che parla in esclusiva del Grande Torino, raccontando da un lato le emozioni della lettura dei nomi del 2023 e dall’altro quali sono le emozioni per un giovane granata nel ricevere l’eredità del Grande Torino e provare a gestirla e trasmetterla alle generazioni future. Sono state risposte molto profonde considerando la sua giovane età, mi è sembrato molto immerso nella storia del Grande Torino”.
Alessandro Buongiorno rappresenta, secondo te, la continuità tra il Toro del passato e quello del presente? “Secondo me sì. Alessandro, ad esempio, ci ha raccontato le emozioni di quando i suoi genitori lo hanno portato per la prima volta a Superga e poi le fasi successive della vita legate a quel simbolo. Oggi il calcio è molto diverso da una volta, rispetto a quando i Buongiorno erano tanti. Parlo di figure, non sono calciatori, che hanno ruotato intorno alla società interpretando e rappresentando a loro modo i colori granata. Lui veste la maglia del Toro da quando era un bambino piccolo, questo è importante ancora più del suo valore da calciatore. Nell’intervista, mi ha detto proprio questo: pensa a raccogliere non i valori tecnici del Grande Torino, ma i valori morali. La speranza è che lasci un seme che possa germogliare in futuro”.
Secondo te, il rito del 4 maggio a Superga ha ancora un impatto su calciatori che magari arrivano dall’estero e nulla sanno di questa storia? “E’ molto più difficile coinvolgerli rispetto a una volta. Sai, una volta c’erano tre colonne del granatismo, tre basi su cui poggiava il sistema valori del Toro. Il Filadelfia, le persone del Toro (e dicendo questo intendo tutto il settore giovanile, con istruttori e dirigenti che passavano una vita nel vivaio del Toro, con una conoscenza di quel mondo veramente unica), e poi Superga, con l’eredità morale del Grande Torino. Oggi due di quei pilastri non ci sono più; o meglio, il Filadelfia è rinato, ma è una cosa molto diversa da quella che c’era prima. Manca poi il “granatismo” dentro e intorno alla società. Con questo mi riferisco anche ai ricordi di quando da piccolo si andava al Filadelfia e si ascoltavano i racconti delle persone che avevano visto giocare il Grande Torino. Mi raccontava un amico brasiliano che Leo Junior volle imparare il dialetto piemontese per capire meglio i racconti dei vecchietti al Filadelfia. Oggi il mondo è cambiato, Superga dunque rimane l’unico rito, l’unica cosa che ci lega al passato. Ed è chiaro che ci sono calciatori che lo sentono di più e altri che percepiscono meno l’importanza di questo momento”.
Perché, 75 anni dopo, si scrivono ancora libri sul Grande Torino? “Perché è una storia unica al mondo, non è mai successo ad una squadra di scomparire in un colpo solo e rimanere invincibile, forse solo quanto accadde al Manchester United può essere lontanamente paragonabile. C’era la qualità degli interpreti: chiunque lo abbia visto giocare, ti dice che Valentino Mazzola è uno dei tre più grandi giocatori della storia del calcio italiano. Soprattutto, la forza del Grande Torino andava molto al di là del suo valore tecnico. Rappresentava qualcosa più di una squadra di calcio, era totalmente in sintonia con la gente attorno. Quella squadra è stata il primo fattore di felicità per la gente dopo la guerra, dopo le macerie, dopo l’odio civile. Questo fa sì che abbia un posto nella storia non solo del calcio, ma anche del Paese. Ci sono tantissimi bei racconti: ad esempio ho letto una bella intervista sul Corriere della Sera al figlio di Ossola, che racconta aneddoti molto carini su Valentino Mazzola che andava al cinema”.
Come inviato hai raccontato tante partite e tante squadre in tutto il mondo. Ti colpisce ancora vivere il 4 maggio a Superga? “Io il 4 maggio a Superga sono stato pochissime volte. Mi piace molto andarci nei giorni successivi, quando rimangono le testimonianze di chi è salito, quelli che lasciano una sciarpa, un biglietto, un fiore. I giorni successivi a mio parere sono quelli più emozionanti. Vero, ho visto stadi e realtà diverse in tutto il mondo, ad esempio sono appena stato a Marsiglia, una città dove la passione per il calcio ti travolge. Ma la storia che ha il Torino è veramente la più emozionante che ci sia. Tante volte la racconto a qualche collega straniero che la conosce poco e vedo proprio che mi ascoltano rapiti. E mi vengono in mente le parole di Sarri, il quale da avversario si è spesso recato a Superga per rendere omaggio agli Invincibili: ripete spesso che, se tu hai il calcio nel cuore e passi da queste parti, non puoi non andare a Superga, perché è la storia del calcio”.
Non posso che cogliere questa occasione: da cronista attento quale sei, esiste davvero, per te, la possibilità che sia un nome per la panchina del Toro? “Quello che mi risulta è che lui, in questo momento, non abbia preclusioni di alcun tipo, a patto ovviamente che una società si presenti con un programma serio. Su Sarri posso raccontare anche un aneddoto. In pochi sanno che nel 1992, quando non era ancora conosciuto, andò al Delle Alpi per vedere la finale di Coppa Uefa di andata Torino-Ajax; il giorno dopo si recò anche al Filadelfia per vedere l’accoglienza dei tifosi nei confronti della squadra. Da semplice appassionato di calcio, gli rimase impresso soprattutto quel momento”.
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