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Cesare Salvadori: “Il Filadelfia sia la casa del Toro, non solo un campo d’allenamento”

Esclusiva / Le parole dell'ex presidente: "Tecnicamente siamo riusciti a dare una parvenza di similitudine a quello che era il vecchio stadio. Da un punto della vista della disponibilità a considerarla casa siamo ancora un po' lontani... "

Alberto Giulini

Sono trascorsi ormai tre anni da quel 25 maggio del 2017 in cui il "nuovo" Stadio Filadelfia veniva ufficialmente inaugurato, pur dovendo ancora essere completato. Ma da quel grande giorno in cui si festeggiava la rinascita dello storico impianto, le cose sono di fatto rimaste inalterate. A raccontare le sue emozioni ed esporre il suo punto di vista è l'ex presidente della Fondazione Stadio Filadelfia Cesare Salvadori, l'uomo che ha coordinato la rinascita del Fila.

Salvadori, qual è il ricordo di quel 25 maggio 2017 a tre anni dall'inaugurazione?

"È stata una cosa straordinaria. Non dico addirittura fuori dalla norma, perché il Ponte Morandi lo hanno ricostruito ancora più velocemente. Ma riuscire in tre anni a fare quello che abbiamo fatto dal giorno in cui mi hanno onorato della presidenza all'inaugurazione è stato un grandissimo successo. Siamo molto orgogliosi di quello che è stato un grande lavoro di squadra". 

Si sarebbe aspettato di vedere un impianto ancora fermo al primo lotto, tre anni dopo?

"Ho lasciato la presidenza perché era più logico dare una turnazione, non sono mai per fare molti mandati. Allora era importante, secondo me, che prendesse le redini della Fondazione qualcuno che avesse un'esperienza più finanziaria della mia. Per quello che occorreva fare nella prima fase ero forse la persona più giusta, da un punto di vista tecnico-ingegneristico. Ma per il secondo lotto e soprattutto per il museo, occorre essere molto preparati da un punto di vista finanziario per trovare quelle risorse che al momento non ci sono. La mia scelta è stata quindi rassegnare le dimissioni in favore di una figura che avesse queste caratteristiche e completasse, a partire dal secondo lotto, almeno la fase coperta della tribuna. Tutte cose che, tra l'altro, sarebbero state molto utili in questa fase di pandemia. Ci sarebbero stati foresteria, mensa, sala riunioni ed altre sale che avrebbero potuto ospitare la squadra e lo staff, anziché dove cercare un albergo chissà dove".

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Come si spiega questa fase di stallo?

"In tre anni, se non ci fosse stata una serie di circostanze che hanno reso impossibile la situazione, forse si sarebbe potuto arrivare a finire almeno il secondo lotto. Le risorse non c'erano completamente, ma facendo leva sul contratto con Cairo e sui soldi della vendita dei seggiolini, avevamo la possibilità di portare a compimento almeno il secondo lotto, anche perché il progetto c'è già. Adesso so che ci stanno lavorando, perché è stato nominato Luca Asvisio che è una persona competente, degna ed impegnata. E quindi credo che andranno avanti con gli appalti ed arriveranno, spero in tempi brevi, a completare il secondo lotto".

Da un punto di vista personale, perché pensa che sia fondamentale completare il Filadelfia in tutti i suoi lotti?

"Per me il Filadelfia non è il campo di allenamento, è la casa del Toro. È il posto in cui, quando ero bambino, stavamo attaccati alle griglie per vedere allenamenti e partite. Si vedevano i giocatori che uscivano, il Paròn Rocco che giocava a carte... Non era un semplice campo di allenamento, era proprio la casa del Torino. Tutto quello che abbiamo fatto è stato cercare di ricostruire il Filadelfia non soltanto fisicamente ma anche in quello che era il suo spirito. Tecnicamente siamo riusciti a dare una parvenza di similitudine a quello che era il vecchio stadio. Da un punto della vista della disponibilità a considerarla casa siamo ancora un po' lontani... Ma va fatto in questo modo, non bisogna rimandare il concetto. Il museo, l'unico al mondo ad avere tanta leggenda, fatto in un altro luogo andrebbe ad impoverire quell'area e quel concetto di casa".