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Decameron granata – L’idolo d’infanzia: “La figurina a colori se ne sta in una pagina aperta per caso”

Marco De Rito

L’iniziativa / La quindicesima puntata della nostra raccolta di novelle tra i lettori

"Cosa narra il Decameron? Narra di un gruppo di giovani che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di varie tematiche. Sull’idea di Giovanni Boccaccio vorremmo strutturare qualcosa di simile insieme a voi. Il Decreto #iorestoacasa ci costringerà giustamente a rimanere nelle nostre abitazioni fino al 3 aprile. E allora perché non sforzarci con la memoria e provare a ricostruire alcuni nostri frammenti di vita rigorosamente granata. Momenti che giacciono nella nostra testa, ma potrebbero tenere compagnia e regalare emozioni ad altri “colleghi di fede”. Come Toro News, vorremmo creare un casolare virtuale granata, sull’esempio di Boccaccio, così come le storie che vorremmo che voi condivideste con noi e con tutti gli altri “fratelli” del Torino. Un modo per tenerci impegnati e per liberarci per qualche momento dei cattivi pensieri. Continuiamo dunque con la quindicesima giornata di novelle e il tema sono gli idoli dell'infanzia.

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La figurina a colori se ne sta in una pagina aperta per caso. E’ una domenica di marzo del 2020, è l’ultima del mese e la prima con l’ora legale. Il sole è pallido e il pallone non rotola. La figurina se ne sta in un piccolo riquadro quasi sospeso tra quello di Francesco (detto Ciccio) Graziani e quello di Romano Cazzaniga, il gemello del gol nato a Subiaco che vinse i Mondiali in Spagna mentre lui stava al mare in Sardegna (Enzo Bearzot, il Vecio cuore granata, al Mundial s’era portato Franco Selvaggi, granata da quell’estate, come ventiduesimo) e l’eterno dodicesimo perché tra i pali c’era il “giaguaro” - al secolo Luciano Castellini - e contro un giaguaro la corsa, si sa, è persa già in partenza.

Se ne sta come sospesa in una paginetta ingiallita ma è memoria, è l’anno ‘75/76 delle figurine Panini. L’album del calcio - raccoglitore un tempo immaginifico e in questo tempo così sbiadito - di un pallone adesso sempre più sgonfio, smarrito, sbilenco. Fermo, mentre finge di capire decurtandosi gli stipendi corre sottobanco a chiedere 700 milioni di euro come aiuto di Stato.

Tra Graziani e Cazzaniga, tra il centravanti e il secondo portiere, se ne sta invece la figurina di Paolo Pulici detto Paolino e soprattutto “Puliciclone”, che fu Gianni Brera a chiamarlo così e quindi per gli scolari di allora l’undici del Toro non era Paolo e non era Paolino, non era Pulici e non erano virgolette. Era solo Puliciclone, perché al maestro si obbedisce.

La figurina che una mano tremante e sognante ha incollato 44 anni fa, se ne sta adesso come più grande, tra quella di due compagni e lui al centro e Claudio Sala un po’ più in là, come se il “poeta del gol” facesse ancora l’ala destra tra dribbling, pennellate e cross al centro.

E come fosse ancora al centro di un’area di rigore in attesa di un traversone troppo lungo e troppo scomodo per andare a raccoglierlo, se ne sta invece Paolino Pulici, nato a Roncello (provincia di Milano) il 27 aprile del ’50, lui che su quel pallone ci arrivava sempre. Staffilate e incornate, così forti che restano ancora dentro la memoria. 172 gol con la maglia del Torino, 437 partite dal ’67 all’82 tra campionato e coppe, goleador granata di tutti i tempi, 21 reti e il titolo di capocannoniere (come nel ’73 e nel ’75) nell’anno dello scudetto (era il Torino di Radice, del primo calcio totale in Italia, del calcio all’olandese che Sacchi e il Milan e gli olandesi sarebbero arrivati anni dopo), il primo e l’ultimo (1976) granata dopo la tragedia di Superga e 16 gol l’anno dopo non bastarono per il bis perché la Juventus di Trapattoni e Bettega il tricolore se lo cucì per un misero punto alla fine di un testa a testa memorabile.

Numeri da bomber, eppure non ne raccontano la dimensione, un po’ come i numeri di adesso che tanti copiano e incollano come se fossero loro i contagiati da un virus, tutti presi da statistiche, previsioni e modelli matematici da offrire e forse per molti Teorema è solo il titolo di una canzone (1981) di Marco Ferradini, canzone che avrebbe a suo modo fatto la storia degli innamorati ripudiati. Come il mondo del calcio ha forse ripudiato e dimenticato troppo presto Paolino detto Puliciclone, quello che segnava di destro e di sinistro, veloce e potente assieme, implacabile dal dischetto, devastante nel gioco aereo. Gol indimenticabili, come quel pallonetto da 35 metri a Dino Zoff in un derby contro la Juve ed il tuffo a incornare nella porta di Boranga il 16 maggio del 1976, la domenica dello scudetto al Comunale contro un’altra bianconera, il Cesena. Solo 5 gol in nazionale e solo 19 presenze, e l’incredibile primato di aver partecipato a due Mondiali (’74 e ’78) senza aver mai messo il piede in campo. Pochi gol (8) quando lasciò il Torino: era l’estate dell’82 e Pianelli aveva appena ceduto il club. Arrivò un giovane diesse - si chiamava Luciano Moggi - a dargli il benservito. Andò all’Udinese e giocò al fianco di Zico, e quando tornò al Comunale i tifosi del Toro presero a fischiare un proprio giocatore - Danova - ogni volta che andava a contrastarlo perché avrebbero voluto vedere un altro gol di Puliciclone. Che chiuse la carriera alla Fiorentina ripensando alla prima volta in serie A, lui che arrivava dal Legnano.

Anche quella volta era di domenica e anche quella volta era marzo. Non c’era ancora l’ora legale ma sul prato, da avversario, c’era il suo idolo. Era il 23 marzo del 1967 e al Comunale si giocava Torino-Cagliari. Finì 0-0 nonostante da una parte ci fosse Pulici e dall’altra parte un certo Gigi Riva, quello a cui Gianni Brera - il maestro – aveva messo il soprannome “Rombo di tuono”, cresciuto pure lui al Legnano e diventato leggenda in azzurro e al Cagliari. Riva che quella domenica, quando lo vide tremante all’esordio, gli diede una pacca sulle spalle e una spinta, lui che a 15 anni faceva 10” e 5 sui cento metri, lui troppo veloce - raccontò un giorno - tanto da essere scartato dall’Inter dopo un provino perché “è troppo veloce per giocare al calcio, meglio si dia all’atletica”, dissero così Invernizzi e Herrera al papà. “Coraggio, chi arriva dal Legnano è sempre speciale”. Da quella frase di Riva sono passati 53 anni e sei giorni. Dal ’90 i giorni di Paolino Pulici invece sono tra quattro chilometri, da Roncello dov’è nato a Trezzo, dove allena (gratis) i pulcini dai 6 agli 8 anni. Che adesso incollano altre figurine mentre la sua si riaccende in una pagina aperta per caso.

Nell’ultima domenica di marzo del 2020, l’ultima del mese e la prima con l’ora legale. Il sole è quasi scomparso e il pallone continua a non rotolare. Anche Pulici e la sua figurina se ne stanno sospesi, in attesa di un calcio che trovi il tempo, il modo e l’ora di ricominciare. Davvero.

P. S. Scrivo solo perché qualcosa dovrò pur fare

Michele Spiezia

"Probabilmente sarò un pò "fuori tema" ma da bambino del primo dopoguerra  le occasioni di vedere all'opera  "dal vivo" i propri idoli non erano molto frequenti. Sposto quindi il mio ricordo alla Stagione 1959\60 (la prima in B) dove da abbonato (per la prima volta) ho seguito tutte le partite giocate al Fila il ns. "Teatro dei sogni" un Craven Cottage replicato a Torino. In quella stagione il mio primo idolo è stato Beppe Virgili alias "Pecos Bill" un pistolero "razza Piave"che con le sue reti  contribuì alla ns. galoppata   in A. Pareva al tramonto quando arrivò dalla Fiore ed invece... Qualche anno dopo ebbi modo di apprezzare Gerry Archibald  Hitchens centravanti gallese di stampo "old british"possente uomo d'area con piedi non propriamente educati che suppliva con l'impegno ai suoi limiti tecnici. A quei tempi dopo gli allenamenti i giocatori uscivano alla spicciolata e spesso si fermavano a parlare con noi tifosi firmando autografi.Perchè è stato un mio idolo? Di questo ragazzone con spalle larghe da ex minatore gallese conservo uno splendido ricordo per il  suo tipico atteggiamento alla mano di chi  viene "dalla gavetta"e la sua umanità. Gerry è stato il "mio campione"più come uomo che da pur ottimo calciatore."Uomo vero"semplice e schietto.

GC Natali

Domenica 11 giugno 2006 Toro - Mantova, ritorno della finale play-off di serie B.

Ricoverato all'ospedale Martini di Torino per una devastante operazione alla laringe per carcinoma maligno, che mi avrebbe per sempre impedito di urlare la mia fede Granata.

Nonostante l'ansia e le preoccupazioni per il delicato intervento chirurgico a cui sarei stato sottoposto il giorno dopo, avevo cercato di avere notizie della partita in corso al Comunale dopo la sconfitta per 4 a 2 subita all'andata.

Nessuna radiolina disponibile nè tantomeno un televisore.

Ho aspettato con ansia il termine della partita per capire magari dai canti di gioia dei tifosi se il Toro era riuscito a farcela, ma a due ore abbondanti dall'inizio della partita non si sentiva alcun rumore.

Non ce l'abbiamo fatta, ho pensato, ed ho cercato di addormentarmi.

Dopo una mezz'ora circa, mentre mi rigiravo nel letto, ho sentito, dapprima lontani e confusi, ma poi vicini e forti i cori di gioia dei tifosi granata che mi facevano capire che il TORO era ritornato in serie A.

il giorno dopo ho affrontato serenamente la prova che mi toccava.

Torino-Mantiva 3-1, 11giugno 2006.

Il tabellino:

TORINO (4-4-2): Taibi; Nicola, Doudou, Brevi, Balestri; Lazetic (8' pts Melara), Gallo, Longo (35' st Edusei), Rosina; Muzzi (20' st Fantini), Abbruscato. Panchina: Fontana, Fantini, Edusei, Vryzas, Stellone, Ferrarese. Allenatore: De Biasi

Marcatori: 36' pt Rosina ( rig.), 18' st Muzzi, 5' pts Nicola, 10' pts Poggi (rig.)

Forza Vecchio Cuore Granata

Mariolino Zimaglia

"Continuate a mandarci le vostre novelle sulla mail redazionale (redazione@toronews.net) e, ricordatevi, l'argomento della prima settimana riguarda la vostra prima volta allo stadio. Non dimenticate di firmare l'email e soprattutto continuate a farci sognare e svagare in questo momento complicato per l'intero paese.