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Claudio, ti abbiamo voluto bene

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"Pochi minuti in prima squadra, ma ci è rimasto nel cuore". Francesco Bugnone, nella nuova puntata di Culto, ci racconta alcuni dei momenti più belli della carriera di Claudio Garella, spiegando perché "gli volevamo così bene"

Francesco Bugnone

Esiste uno strano fenomeno che ci fa considerare “dei nostri”, inteso come granata, giocatori che nel Toro hanno disputato pochissime partite in prima squadra. Successe con Novellino, che tra l’altro deve il suo soprannome “Monzon” a Capitan Ferrini, il quale ha la sua unica presenza contro il Napoli nel dicembre 1972. Schierato col numero sette, Walter gioca una buona partita, si vede negare un rigore ed entra nelle simpatie dei tifosi anche se non lo vedremo più in campo col granata addosso. La sua esperienza da allenatore a Torino l’ha fatto allontanare dai nostri cuori, ma questa è un’altra storia.

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Successe con Pigino che si ritrova a esordire difendendo la nostra porta in un derby che finirà a reti inviolate coi bianconeri che non centrano mai la porta. Quando tornò per allenare le giovanili fummo contenti, anche perché fece un lavoro enorme soprattutto nel periodo post-fallimento. Lavoro terminato con un doloroso e immeritato allontanamento dopo la retrocessione del 2009, ma anche questa è un’altra storia.

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Successe con Claudio Garella.

Claudio Garella viene fuori dal Filadelfia e in prima squadra gioca pochissimi minuti nel finale di una trasferta a Vicenza quando subentra all’infortunato Castellini il 28 gennaio 1973. Il Toro ha appena incassato la rete che varrà la sconfitta per 1-0 e per il portiere non ci sono particolari possibilità di mettersi in mostra. Poi inizia il suo girovagare partendo da Casale (dove segnerà anche un gol su rigore), ma lui ci rimane nel cuore. Tifa Toro anche se, ovviamente, affiancherà al granata l’amore per Verona e Napoli, le squadre dove ha vinto due storici scudetti. A fine carriera viene invitato spesso nelle trasmissioni dei tifosi sulle tv locali piemontesi ed è trattato sempre come un vecchio amico e lui fa lo stesso con noi. Anche quando gli viene “rinfacciata” la prova mostruosa in Torino-Verona 1-2 l’anno del tricolore gialloblù e del nostro secondo posto, lo si fa bonariamente, come quando una persona a cui vuoi bene ti batte a carte e ci baruffi col sorriso.

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Verona, dicevamo. Garella approda nella città di Giulietta dopo il periodo cupo alla Lazio, in cui non gli venne perdonato quasi nulla (“Voi mi mandate in B, ma io tornerò in serie A e ci farò tanti campionati” la promessa mantenuta), e quello molto più bello alla Samp. Tra i pali dei gialloblù di Bagnoli conquista subito la promozione in serie A e contribuisce alla scalata dei gialloblù alle posizioni nobili del campionato. Nelle prime due stagioni ci sono un quarto e un sesto posto, un’esperienza in Coppa Uefa con l’impresa di eliminare la Stella Rossa Belgrado battendola a domicilio e due finali di Coppa Italia perse contro Juventus (al 119’, dopo aver vinto 2-0 all’andata) e Roma, entrambe reduci da una sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Il rimpianto di essere arrivati due volte consecutive vicini a un trofeo guardando gli altri che alzarlo viene polverizzato nel 1984/85, dove arriva uno degli scudetti più inattesi di sempre.

Nell’anno del sorteggio integrale degli arbitri, il Verona scatta in testa in solitaria dalla seconda giornata. Nessuno sembra troppo stupito, anche due anni prima i gialloblù stettero a lungo nelle zone alte dando filo da torcere alla Roma prima di chiudere quarti. Quest’anno però è diverso.  Alla sesta giornata gli scaligeri scendono nell’Olimpico giallorosso e se portano a casa lo 0-0 è soprattutto per merito di Garella che, soprattutto nel secondo tempo, para proprio tutto volando da un palo all’altro. Negli spogliatoi Giampiero Galeazzi lo chiama “Garellik”. Quel geniale soprannome glielo ha dato lo storico giornalista dell’Arena Valentino Fioravanti, ma ora, pronunciato durante un servizio della Domenica Sportiva, rimbomba in tutta Italia. Garella sorride e si dice contento di aver sfoderato quella prestazione in una Roma dove, seppur sull’altra sponda, ha passato due anni difficilissimi.

Quell’anno però ci siamo anche noi. Col ritorno di Radice, con il futebol bailado di Junior, con i gol di Serena il Toro si ritrova a essere la più accreditata inseguitrice della banda di Bagnoli e, dopo aver vinto il derby in rimonta con l’iconico colpo di testa del succitato Serena all’ultimo minuto, ospitiamo la capolista a un punto da lei pregustando il sorpasso. Le due squadre danno vita a una partita stupenda e Junior avrebbe l’opportunità di sbloccarla dopo pochi minuti, ma una grande uscita di Garella gli impedisce il vantaggio. Quel giorno Claudio para anche con gli occhi: la punizione di Junior sembra perfetta, lui può solo osservarla immobile, ma la palla incoccia sulla base interna del palo, attraversa la linea e se ne va. La situazione si ripete nel secondo tempo quando un rasoterra quasi perfetto di Sclosa incoccia nuovamente la base del palo interno e termina fra le braccia di Garella che salverà ancora il risultato su Francini e Schachner. Il Toro perde 2-1 in casa, restituirà la pariglia al ritorno col medesimo risultato in una gara altrettanto vibrante, ma sarà troppo tardi.

La prima giornata di ritorno a Napoli è un crocevia importante per il campionato e per Garella. Il Verona porta a casa un prezioso pareggio a reti bianche e l’estremo difensore se la cava di nuovo alla grande, con lo zenit su una punizione di Maradona messa in angolo. Bagnoli, che dall’inizio di campionato tenta di allontanare la tensione dai suoi con dichiarazioni di vario tipo, dall’obiettivo salvezza alle lamentele sugli arbitri, quel giorno, per difendere la squadra, forse va leggermente e involontariamente oltre litigando con Ameri che attribuisce a Garella gran merito del risultato. Il mister dice che Claudio “è un portiere che non trattiene la palla, tutte le volte che si tuffa e che respinge qua diventa una grossa parata”. “Mi da fastidio sentire tutte le domeniche che sto Garella fa delle grosse parate e sembra che il Verona, Dio santo, subisce sempre” è la chiosa finale ai microfoni di Salvatore Biazzo. A Garella le dichiarazioni non hanno fatto molto piacere e possono spiegare quello che succederà a fine stagione, anche se, poi, i rapporti con l’Osvaldo saranno comunque ottimi e la motivazione principale dell’addio è la voglia di giocare col giocatore più forte del mondo.

La partita in cui il Verona capisce di avercela fatta è ancora a Torino, ma contro la Juventus. Nel primo tempo Garella prende ogni cosa che gli capiti a tiro e abbia una forma sferica, facendolo con qualsiasi parte del corpo, soprattutto coi piedi. Il suo stile può riassumersi in una frase di Italo Allodi: “L’importante è parare, non importa come” e, per quanto ingeneroso sia ridurre gli interventi di Garella a estemporanei respinte coi piedi, è indubbio che insieme all’istinto e all’esplosività l’opporre anche gli arti inferiori agli attaccanti crea un mix unico. In quel pomeriggio soleggiato di fine gennaio c’è una splendida immagine regalata, ancora una volta, dal servizio della Domenica Sportiva. Claudio, dopo l’ennesimo volo, viene inquadrato in primo piano mentre la palla finisce in corner e con un ghigno soddisfatto contempla il risultato dell’ennesimo capolavoro stagionale. Finirà 1-1 con un bolide di Di Gennaro a recuperare il colpo di testa vincente di Briaschi. Con l’esame di maturità passato a pieni voti, il Verona può solo iniziare il conto alla rovescia verso il dodici maggio quando, a Bergamo, la matematica lo incoronerà campione.

L’estate successiva Garella va a Napoli, la leggenda vuole che l’acquisto venga caldeggiato da Maradona dopo averci sbattuto il muso nella gara del San Paolo citata poco sopra L’appuntamento con l’esordio in Coppa dei Campioni per Garellik è rinviato di poco, perché, dopo il bel terzo posto del 1985/86, il 10 maggio 1987 il Napoli vince il primo campionato della sua storia, un campionato, come dice il Pibe de Oro, “contro tutti” e l’occhio innamorato del portiere azzurro che guarda gli spalti mentre commenta il successo finale, con un accento torinese perfettamente a suo agio nel cuore del sud, vale più di mille parole. L’esperienza dura fino al 1988, con un finale amaro, e Garella si ritrova in B a Udine dove contribuisce alla promozione e compie uno dei salvataggi più folli della sua carriera.

Nella partita interna contro la Cremonese, Claudio riesce nell’impresa di far passare in secondo piano un rigore parato a Cinello all’ultimo minuto che salva il pareggio perché, nel primo tempo, si è opposto in maniera incredibile a un calcio di punizione di Piccioni. Leggermente spiazzato e quasi a terra, Garellik, con un guizzo, colpisce la palla in rovesciata e la manda sopra la traversa. Negli spogliatoi dirà una frase che lo inquadra perfettamente. “Forse c’è stato un pizzico di fortuna, ma torno a ripetere questo estro qua non ce l’hanno tutti, ce l’ho io”.            

Come spesso succede, chi non è nel giro giusto quando finisce di giocare si ritrova col telefono che non squilla e quindi Garella, per continuare a stare contatto col mondo del pallone, è ripartito dal basso, dal Barcanova, perché un uomo di calcio senza il campo non può stare. Questo è un grande rimpianto per lui, ma anche per chi ama il calcio interpretato in un certo modo con passione, competenza e sorriso. Garella sorrideva e faceva sorridere con le sue battute sempre pronte ai microfoni nel dopo gara, mai banale esattamente così come non lo era in campo. La stessa simpatia che, quando la pagina Facebook dell’Hellas, nelle ore successive alla scomparsa di Claudio, ha pubblicato un video in cui canta “Il mondo” di Jimmy Fontana durante i festeggiamenti dello scudetto, ha avuto la figlia Chantal nel commentare “Meno male che non hai fatto il cantante, papà”, prima di scrivere un ricordo dolcissimo del suo papà.

Claudio, ti abbiamo voluto bene davvero. Dispiace tanto non averti avuto di più qui con noi. Buon viaggio.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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