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Un testo sacro

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Un nuovo episodio di "Culto", la rubrica di Toro News a cura di Francesco Bugnone

Francesco Bugnone

Il canone, nella storia delle religioni ebraiche e cristiane, indica i testi che sono riconosciuti come ispirati da Dio, quindi testi sacri da seguire come normativi in materia di fede e morale. Se esistesse un canone della fede granata, il testo sacro per antonomasia dovrebbe essere uno solo: “Belli e dannati” di Marco Cassardo.

Il libro esce in un periodo giusto per diventare oggetto di culto. Fine anni Novanta, Toro in cattive acque anche se solo all’inizio del quasi trentennio più amaro della sua storia. Letteratura granata ce n’era già parecchia, ma non come ora. Non esistevano miniere di video online per recuperare (quasi) tutte le partite vecchie, i siti tematici erano di là da venire, però c’era voglia, c’era fame. Una fame che, io per esempio, non riuscivo a placare. Sì, avevo i (bei) libri di Sergio Barbero, ma alcuni episodi che mi interessavano venivano trattati troppo rapidamente a mio avviso. Sì, era uscito lo splendido “La Farfalla Granata”di Nando Dalla Chiesa che aveva finalmente fatto tornare a parlare di Gigi Meroni, nonché la fantastica letteratura sul Grande Torino, ma non placavano la mia voglia di imparare sul Toro. Volevo qualcosa sul derby del 3-2, sul Tremendismo, sul Toro anni ’80. Volevo vedere i tabellini delle nostre partite letti sugli almanacchi Panini di mio padre prendere finalmente vita fra le righe di un libro.

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La risposta ai miei desideri arriva mentre sono allo stadio. I tabelloni del “Delle Alpi”, nelle pubblicità prima della partita, mostrano la copertina di un volume che raffigura, in bianco e nero, un nugolo di granata in festa, in primo piano c’è Serena che, trasfigurato dalla gioia, sembra guardare il fotografo per mettersi in posa. Di spalle il nove di Schachner, in mezzo spunta il volto gioiosamente rabbioso di Giacomo Ferri, Dossena salta addosso a tutti. Il titolo è quello di un romanzo di Fitzgerald. Non conosco l’autore, ma so già cosa devo fare: avere quel libro.

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Lo compro a pochi mesi dall’uscita, nel 1998, fresco di inculata subita dal Perugia nello spareggio (per la cronaca: non mi è ancora passata adesso) e pieno di speranza per il Mondonico bis. Ovviamente è amore a prima vista. Si parla di Toro, si parte da lontano, dall’antico e si arriva ai giorni nostri con un linguaggio scorrevole, moderno, carico, bello. Zero retorica gratuita, perché la poetica di certi miti fondanti basta semplicemente raccontarla per ciò che è, la realtà è già un romanzo così, non bisogna aggiungere troppo. Ogni capitolo è dedicato a una partita e a un moto dell’animo (della felicità, della disperazione, del coraggio, del delirio, dell’ebbrezza), ma al tempo stesso non si limita alla singola gara, ramificandosi in varie piccole sottotrame che ci portano all’evento finale. Non si può capire il derby del 4-0 dopo la morte di Meroni senza parlare di cosa fossero gli anni ’60 granata o quello dei tre gol in tre minuti e quaranta senza citare altre stracittadine famose. Ci sono le parole dei giocatori, ci sono quelle dei tifosi, alcuni brani sono il racconto di come le persone comuni hanno vissuto quei pomeriggi e serate leggendari (la rocambolesca modalità con cui Giorgio, studente di filosofia, ha passato la serata della finale di coppa Italia contro la Roma del 1993 è splendida, tanto per fare un esempio).

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L’ho letto in una sera, così vorace che me lo sono dovuto rileggere. Solo “Febbre a 90” rivaleggia con il capolavoro di Cassardo in quanto a letture, riletture, brani ripresi e citati. Nel già citato 98/99 avevo un rito. Prima di tutte le partite che avrei visto dal vivo, mi chiudevo in bagno e rileggevo la pagina di Roma-Torino 0-7 del 1946. Funzionava sempre.

Nel settembre 2003 esce un’edizione aggiornata. Il piemontese parsimonioso che è in me pensa al fatto se riprendere o meno un libro che di fatto ho già per qualche pagina in più. Certo che in quelle pagine in più c’è il derby del 3-3, quindi sto per optare per il sì. Lo prendo dopo Natale, dai. Invece no, un mio amico juventino (!) mi anticipa (grazie, Ricky!) e senza sapere se ce lo avessi o meno, senza sapere dell’amore viscerale che ho per “Belli e dannati” mi regala la nuova versione. Io non avrei mai comprato un libro sulla Juventus per un gobbo, lo ammetto. Ovviamente quei pezzi in più sono letteralmente stupendi. C’è la partita di Reggio Emilia che non nomino perché l’ho già fatto una volta di troppo in questo pezzo, ci sono i momenti migliori del Toro di Camolese e c’è la Marcia dell’Orgoglio Granata, uno dei momenti più alti della nostra tifoseria e, al tempo stesso, dei più dolorosi perché nel concreto non è servito a nulla se non a darci qualcosa che ci dà calore dentro a distanza di anni (mi permetto di aggiungere che, sull’argomento, uscì anche il breve ma perfetto “Orgoglio granata” di Michele Monteleone). Non era facile mantenere il livello di quanto uscito nel 1998, ma Cassardo ci è riuscito in pieno.

L’ultimo capitolo di questa edizione si intitola “Dell’attesa” e, dopo avere fotografato alla perfezione il calcio di adesso con vent’anni di anticipo, quello in cui le sorprese o presunte tali se va bene arrivano quinte, preconizzando tifosi che si attaccano alle solite note, addirittura pescandole dall’estero se quelle di casa non sono abbastanza vincenti, parla della speranza che vive tra noi nell’estate 2003 quando Ezio Rossi torna a Torino, stavolta da tecnico. Si dice che abbia dato ai suoi giocatori una copia del libro in ritiro per capire bene dove fossero arrivati. Se anche leggendo qualcosa del genere si è finiti come si è finiti, vuol dire che i calciatori, o molti di essi, iniziavano a sintonizzarsi lontano dai nostri valori. La riga che chiude il tutto allora era certezza vera, dogma. Oggi no. “C’è un capitolo che non scriveremo mai: della rassegnazione”. Invece dopo un fallimento, dopo diciassette anni con un presidente indescrivibile nel senso peggiore che possiate dare a questo termine, dopo l’ennesimo derby perso contro i cugini nella loro peggior versione possibile nel modo più squallido possibile, senza nerbo, senza nulla, dubitiamo anche di questa frase. Anche se sotto la cenere il fuoco cova sempre.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata. 

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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