Questa volta non c’è bisogno di prendere la macchina del tempo e scovare i ricordi più impolverati, perché per presentare questo Salernitana-Torino, basterà tornare indietro soltanto di qualche mese, con un impercettibile flashback, ritrovando molti dei protagonisti che saranno in campo lunedì sera prossimo. Siamo a dicembre 2022. Il Toro ha appena terminato il ritiro spagnolo, è tornato a casa prima di Natale, ha disputato l’ultima amichevole prima delle feste, in casa contro la Cremonese, in un Olimpico praticamente deserto, limitandosi ad una sgambata salutare. Prima di Capodanno abbiamo ancora il tempo di sbancare Monza in un’altra amichevole che serve per rimettere in forma i muscoli dopo la sosta anomala del mondiale qatarino. Il campionato ricomincia, buttiamo al vento due punti in casa con il Verona, e quando rimettiamo i piedi in campo, a Salerno, assistiamo ad una delle partite più incredibili della storia recente del Toro. Una partita che in un universo normale, non in quello parallelo in cui gioca il Toro, sarebbe terminata con un risultato tennistico. Una partita che vide uno dei due portieri ergersi a protagonista assoluto. Un dominio incontrastato. Una sola squadra in campo. Un risultato deludente.
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Quel diavolo di Ochoa
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Prima di questa partita, e sempre per questa rubrica, avevo scritto un pezzo intitolato Le occasioni perdute. Avevo citato Battiato, ma non sapevo che dopo quel Salernitana-Torino, avrei potuto citare Ovidio e la sua pluriennale esperienza in fatto di delusioni. Avrei potuto parlarvi di un supereroe moderno, Ochoa, che nella vita difende la porta del Messico e quella di squadre di club di seconda e terza fascia. Un campione che gioca nelle squadre del popolo. E subito immagino Emiliano Zapata o il sub comandante Marcos e invece è solo un riccioluto portiere ultra trentenne che si diverte a saltare da un palo all’altro, evitando gol che, ai più, sembrano già fatti. Ochoa ruba la gioia ad altri, per consegnarla ai suoi. Insomma, Ochoa è Robin Hood, non della contea di Nottingham ma dello stato di Jalisco. Sarà lui il grande protagonista della partita.
Il primo tempo fu un tiro al bersaglio. Nove palle goal, parate decisive di Ochoa, un tentativo di Zima sul fondo, un palo colto da Schuurs poco dopo il gol di Sanabria. Era andata così: Ochoa contro tutti. Zima di tacco sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Ochoa come un portiere di hockey. Radonjic su centro basso di Lukic, Ochoa, con le gambe. Vojvoda per Vlasic, pallonetto tentato, Ochoa a valanga in uscita. Vlasic per Vojvoda, palla c’è-palla non c’è, sinistro ad incrociare, Ochoa in respinta alta. Per segnare serviva un gol strepitoso e il cross di Lazaro era davvero troppo ghiotto per la testa di Sanabria che, in tuffo, batteva il portiere messicano. Un gol bellissimo, una sorta di liberazione. Esultanza da Pantera rosa, del paraguaiano, al terzo gol stagionale, primo dell’anno solare 2023. Quando finisce il primo tempo, i fischi dell’Arechi sono musica per le nostre orecchie. Raramente ricordo un Toro targato Juric, così dominante. Anzi sì, a Reggio Emilia, Juric anno uno, goal di Pjaca nel finale.
Nell’intervallo però, l’incantesimo si rompeva e, nel frattempo, si rompeva anche il VAR. Le squadre erano nel tunnel e immaginavo che quella attesa prolungata non ci avrebbe aiutato per nulla. La partita ricominciava dopo venticinque minuti di pausa e ricominciava senza VAR, con l’arbitro Colombo che avvisava i capitani spiegando la situazione. In tre minuti, al 48’ il problema rientrava ma nel frattempo la partita era cambiata. Il Toro del primo tempo era un lontano ricordo. I padroni di casa si erano trasformati. Nicola aveva ridisegnato la squadra con un 4-2-3-1, inserendo Piatek al posto di Bohinen. Il gol che subiamo è fantozziano. Calcio d’angolo a nostro favore, la palla usciva dall’area e Vojvoda si inventava prima un campanile sbilenco, poi la ricolpiva al volo centralmente, dando il là alla quattropercento campana che si scatenava in contropiede. La frittata veniva completata da Lukic che invece di uscire su Vilhena rinculava lasciando spazio al tiratore, ostruendo la visuale di VMS. Pareggio che aveva dell’incredibile.
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È tutto un attimo, diceva Anna Oxa. E proprio in un attimo, l’inerzia era passata dai granata torinesi a quelli campani. Piatek, scatenato, sfiorava il 2-1 con un diagonale che finiva di poco a lato, poi ci provava Candreva che chiamava Vanja alla respinta. La tempesta non accennava a placarsi ma al Toro bastava cambiare qualche interprete per riprendere il filo. Non mancava, a questa tragicomica partita, un pizzico di sfortuna e l’infortunio del migliore in campo (e del più in forma del momento). Il crociato di Lazaro saltava proprio sul più bello, condizionando non poco, il nostro cammino futuro. Entravano Miranchuk per Radonjic, Singo per Vojvoda, Djidji per Zima e Rodriguez per Lazaro. Poco dopo l’ingresso di Rodriguez, Ochoa rivestiva il mantello del supereroe e riprendeva a collezionare miracoli in serie. La parata su Miranchuk era straordinaria. Ochoa compie un gesto eccezionale e di puro istinto, con un passo di lato, in direzione contraria e opposta, si sposta repentinamente da sinistra a destra. Era l’ennesimo miracolo della sua giornata: il pallone destinato nell’angolo alla sua destra, deviato a mano aperta, terminava sul fondo. Juric, inquadrato dalle telecamere, era incredulo. Si entrava nel surreale quando Rodriguez, quasi allo scadere, dribblava un avversario al limite dell’area, traslocava la palla dal destro e la portava, naturalmente, sul sinistro.
Il suo tiro era teso, angolato, e passava tra diverse gambe amiche e avversarie. Ochoa ne intuiva l’angolo e deviava la palla quel tanto che bastava per mandarla in angolo. I nostri sogni di vittoria finirono lì.
Il portiere messicano aveva deciso il match, come una entità sovrannaturale intervenuta a dirimere la sorte degli eventi. Il pensiero torna indietro ad un quarto di finale di Coppa UEFA, anno 1986/87, nella partita casalinga contro il Tirol Innsbruck di quel diavolo di Ivkovic.
Anche in quel caso ci trovammo di fronte un portiere in stato di grazia, un pallone che non ne voleva sapere di entrare e legni nemici che ci negarono la vittoria. A Salerno finisce con il 62% di possesso palla, ventitré tiri totali, otto in porta, due legni e un infortunio grave. Tornare a casa a bocca asciutta fu una cosa tutta meravigliosamente, drammaticamente, ironicamente, granata.
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Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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