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Il Granata Della Porta Accanto

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Il Granata della Porta Accanto / Il decimo posto, idealmente, garantisce la tranquillità in serie A, la sopravvivenza, senza dover alzare l'asticella e quindi i costi, che tanto fa comodo a Cairo

Alessandro Costantino

C'era una volta la competizione. Si partiva tutti assieme, chiaramente con alcune squadre favorite ed altre outsider, e ci si giocava la stagione, non di rado assistendo a sorprese e qualche colpo di scena. Così era negli Anni Settanta/Ottanta quando quasi tutte le squadre di serie A vantavano nelle proprie fila giocatori di altissimo livello, a volte anche campioni assoluti (si pensi a Zico nell'Udinese) e gli scudetti, ma anche le coppe, si "distribuivano" meglio e a trionfare potevano essere squadre come la Lazio, il Torino, il Cagliari, la Sampdoria, la Roma, il Napoli, il Verona, la Fiorentina e non le solite tre note. Poi qualcosa è cambiato definitivamente. Sono arrivati i soldi delle pay tv e la loro iniqua ripartizione; poche squadre, le solite tre note in particolare, hanno iniziato a drenare risorse ai danni delle altre. La quasi contemporanea sentenza Bosman ha ribaltato l'asse del potere economico contrattuale dalle società verso i calciatori i quali, in breve, sono diventati facile e succosa preda di procuratori sempre più spregiudicati e potenti. Il calcio si è trasformato in un business che dai magnati italiani è passato in mano, nella quasi sua totalità, a fondi di investimento e ricchi tycoon asiatico/mediorientali o americani ed il tifoso è stato "declassato" dal suo ruolo naturale di parte "integrante" del club a mero cliente da spennare in ogni modo possibile.

È all'interno di questo desolante quadro che va analizzato il declino del Torino degli ultimi trent'anni, perché senza descrivere il perimetro in cui il calcio si è mosso, qualunque considerazione sarebbe intellettualmente disonesta.

Proprietà precarie, alcune anche spudoratamente pilotate dai rivali cittadini abili ad indirizzare il business degli stadi a proprio vantaggio (vedi Cimminelli che resta il peggior personaggio ad aver avuto in mano il Toro) che non hanno saputo/voluto/potuto cogliere i cambiamenti in atto nel mondo del calcio sommate all'attuale proprietà che dopo 18 anni è di fatto al punto di partenza come in un infinito gioco dell'oca dove per tante caselle avanzate ce n'è sempre una che fa tornare tutto dall'inizio, senza progredire realmente, ci hanno portato alla situazione di oggi. Il vero peccato capitale da Calleri in avanti, ma soprattutto quello perpetrato dalla lunghissima presidenza Cairo, è stato di non aver perseguito e pensato per il Torino un chiaro progetto sportivo identitario di medio lungo periodo. O si hanno i soldi dello sceicco e si costruiscono squadre "di plastica" come il PSG o il Manchester City oppure si lavora sui propri valori, sulle idee, sulle competenze con l'ambizione di creare un club che, a prescindere dai risultati, e questo è fondamentale, persegua sempre un obbiettivo di coerenza e di crescita dei suoi giocatori e delle sue potenzialità a 360 gradi. Il mondo è cambiato ma, ad esempio, l'Athletic Bilbao è rimasto fedele ai propri principi adeguandosi solo in ciò che era strettamente necessario al calcio moderno (ad esempio pensionando la vecchia Catedral, il San Mames, e ricostruendone uno nuovo funzionale e all'avanguardia). Il Torino invece ha progressivamente perso la spinta e la forza dei suoi capisaldi (Superga, il Fila, il vivaio e la maglia) navigando a vista come una barca in balia dei capricci del mare. Cairo non ha portato nulla di realmente imprenditoriale in questi 18 anni limitandosi a fare il ragioniere che taglia i costi senza investire nulla che non fosse qualche milione di euro buttato in giocatori inutili (Zaza e Verdi su tutti). E lo zero che ha portato in dote al Torino è stato, come dico nel gioco di parole del titolo, aggiunto anche all' 1 che rappresenta il primo posto, cioè l'ambizione alla vittoria che dovrebbe essere la base di chi compete, trasformandolo in un 10, cioè in un decimo posto come obbiettivo massimo.

E quel 10, che in un altro contesto sarebbe il top se fosse un voto, è in realtà la nostra condanna alla mediocrità: il decimo posto, idealmente, garantisce la tranquillità in serie A, la sopravvivenza, senza dover alzare l'asticella e quindi i costi, che tanto fa comodo a Cairo. Una comfort zone per lui, un purgatorio per noi tifosi abituati ad assaggiare le fiamme dell'inferno, sì, ma anche ad aver soggiornato in paradiso o nelle immediate vicinanze delle sue porte. L'ultimo baluardo per invertire questa rotta si chiama Ivan Juric e la partita che si sta giocando per il suo rinnovo di contratto è in realtà molto più importante di quanto si possa pensare: lui chiede, non si piega al diktat del galleggiare, pretende ambizione, vuole a tutti i costi che si condivida la sua voglia di emergere. Come si fa a non essere d'accordo con lui? Sostenere Juric, sperare che rinnovi, non è semplicemente sapere di avere per il prossimo triennio un allenatore del Toro, che tra l'altro può piacere o meno ed essere più o meno bravo, ma significa garantirsi un futuro diverso da questo monocorde presente. Se e quando Juric firmerà, sarà perché avrà ottenuto garanzie che la società agirà in maniera diversa e più ambiziosa. Se invece si arrivasse ad un divorzio, saremmo di fronte all'ennesima bandiera bianca alzata sulla strada del ritorno ad una vera competitività. Arriverà uno Zanetti qualsiasi al quale si chiederà un decimo posto e qualche pezzo pregiato da mettere in vetrina per realizzare la prossima plusvalenza. Insomma, niente di nuovo sotto il sole…

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.

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