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Io accuso

Loquor / Torna l’appuntamento con la rubrica di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Nulla è impossibile. Tratta la

Probabilità come probabilità”

Charles Dickens

Per come vanno oggi le cose nel mondo, è facile individuare, per chi avesse voglia davvero di capire, come tutto si stia andando ad organizzare per favorire l’arricchimento e l’agio della élite, scaltramente allargata anche ad esponenti del mondo della cultura, del giornalismo e dello spettacolo, a discapito di una quasi totalità della popolazione mondiale ridotta a serbatoio, ciclicamente interscambiabile, di volgari e rumorosi consumatori in stile taverna o vita da strada della società vittoriana inglese descritta mirabilmente nelle pagine di Charles Dickens. Quando si sente parlare di organizzazione futura del calcio uno come Andrea Agnelli, si ha la sensazione di precipitare in quel mondo ottocentesco, dove i violenti processi industriali privarono la società di qualsiasi idea di creatività e di libertà. La storia, si dice, è maestra, e dovrebbe essere un costante monito per aiutare a decodificare un presente sempre in continua trasformazione, che non è mai a prova di rischi e di tentazioni di prevaricazione e di insaziabili voglie di arricchimento.

L’idea di Agnelli e soci è ormai chiara da tempo, come questa rubrica più volte ha segnalato, e sta affinando sempre di più il tiro su ciò che realmente vorrebbe fare. Questi signori, autentici rapinatori (è bene cominciare a chiamare le cose con il loro nome) dell’identità del calcio come bene comune e valore comunitario, da tempo stanno manipolando le coscienze di un intero continente. E lo stanno potendo fare, con un processo social/culturale davvero diabolico, perché a molti sfugge come questi “Signori” del calcio siano padroni o azionisti di veri conglomerati finanziari e industriali assolutamente diversificati. Come possono, mi chiedo, veramente fare da “sentinella” di una Nazione soggetti editoriali potenti come “La Repubblica” e “la Stampa”, se sono in mano alla famiglia di Andrea Agnelli? Come potevano impedire, questi due quotidiani, l’azione profonda nei meccanismi psicoanalitici culturali della gente, per cambiarne orientamenti e abitudini sul consumo del calcio? Non potevano impedirlo, e infatti non l’hanno impedito. Anzi, l’hanno favorito. E dopo essere stati complici nel piano del cambiamento di orientamento social/culturale della fruizione del calcio, effettuato in osmosi con tutte le componenti della vita sociale europea, ora stanno avviandosi ad aiutare ad apparecchiare ad Andrea Agnelli, l’ultima fase del noto “Processo di Overton”, ovvero quello della legalizzazione, in cui si rende più o meno accettabile un’idea fino a poco tempo prima considerata assurda.

Citare questi due quotidiani, sia chiaro, non è perché li si voglia identificare come unici colpevoli dello sbracamento dell’informazione di fronte ai potenti, ma li si cita semplicemente perché sono in chiaro conflitto di interesse con tutto il conglomerato posseduto dal loro editore. Il calcio in stile “Nba”, il noto campionato professionistico di basket americano, è il sempre più malcelato obiettivo del presidente della Juventus, ormai deciso a non fermarsi davanti a niente, anche perché nessuno ha voglia di fermarlo. È facile, per intellettuali e gente di spettacolo, prendere parte alla campagna di sensibilizzazione sulle problematiche da coronavirus, lì c’è solo da fare retorica a buon mercato e prendersi facili applausi. Più difficile prendere posizione contro una persona di grande potere, Andrea Agnelli, che ha un’idea tutta personale su cosa sia giusto e cosa non lo sia: “Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza una storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla massima competizione europea per club. È giusto o no?”. La mostruosità di una dichiarazione del genere si commenta da sola, e il solo sentire accostata la parola “giustizia” al ragionamento (si fa per dire) del presidente dell’Eca, fa accapponare la pelle.

Quando Andrea Agnelli sostiene che vuole “capire cosa vogliono i consumatori, non domani, ma tra 10 o 15 anni”, deve ritenere sul serio come tutti si sia rimbambiti o seducibili attraverso la semantica. Tocca ricordare, di nuovo, come i “Signori” del calcio siano padroni di giornali, case editrici, televisioni, potenti case di produzione e distribuzione cinematografiche. Una cosa come la “Miramax”, tanto per intenderci, è di proprietà, attraverso “BeIN Media”, del “Fondo Sovrano del Qatar”, padrone come è noto del Paris Saint Germain e autorevole componente dell’Eca. La “BeIN Media”, nel 2019, ha ceduto il 49% di Miramax al conglomerato “ViacomCBS”, che controlla studi cinematografici, stazioni televisive, e una importante fetta del mercato editoriale attraverso la “Simon&Schuster”. Si sta parlando di un conglomerato con investimenti annuali per 13 miliardi di dollari e con 700 milioni di abbonati alle sue 170 reti in 160 Paesi del mondo. “Deus ex machina” della “BeIn Media” è Nasser Al-Khelaifi, sì proprio il presidente del Paris Saint Germain, protagonista anche dell’investimento qatarino in “Vivendi”, altro colosso della comunicazione e dei media a livello mondiale. Incastri e legami impressionanti, da non confondere con il capitalismo: si è di fronte ad una nuova forma di “suprematismo”.

Agnelli può fare tutti i giochi di semantica a disposizione, ma sa benissimo come non abbia bisogno di capire cosa vorranno i consumatori di calcio tra qualche anno. Perché saranno lui e i suoi soci (con Al-Khelaifi in testa), se si segue il filo del ragionamento di cui sopra, ad orientare e condizionare i bisogni degli adolescenti di oggi. Quindi siamo di fronte ad un’autentica truffa verbale, ad un banalissimo gioco delle tre carte. E proseguendo nella truffa verbale, e nel finto tentativo di analisi psico/sociologica, Agnelli se ne esce con una al giorno, ed eccolo quindi proporre l’idea di abbonamenti per gli ultimi 15 minuti di gioco delle partite, perché “l’attenzione dei ragazzini di oggi e di coloro che spendono domani è completamente diversa da quella che io avevo alla loro età”. Eh sì, sta ammettendo di invecchiare il buon Andrea, con la sua truffa verbale vuole farci anche commuovere sul suo aver preso atto di essere quasi un dinosauro. “La Repubblica”, il 20 gennaio scorso, gli ha anche dedicato un bel “redazionale” travestito da articolo sul discorso di apertura dell’ultima assemblea dell’Eca, in cui si fa la summa di tutte le idee che il figlio di Umberto ha per il calcio del futuro. Un redazionale costruito bene, con la sagacia di chi vuole a tutti i costi mettere in bella mostra le idee del suo feudatario.

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E si deve tristemente prendere atto come nell’orizzonte della stampa italiana non si sia appalesato nessun Emile Zola, con il suo “J’accuse” pubblicato il 13 gennaio 1898 sulla prima pagina de “L’Aurore”. Per difendere il capitano Dreyfus da un processo truffa, e difendere così i valori di libertà e di indipendenza dal potere, Emile Zola viene condannato ad un anno di carcere e a tremila franchi di ammenda per vilipendio alle forze armate. Nella famosa lettera aperta al Presidente della Repubblica Francese, Felix Faure, lo scrittore francese dimostra di che pasta dovrebbero essere fatti gli intellettuali e scrive: “Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice”. Grazie a questa presa di posizione di Zola, il caso verrà riaperto e il capitano Dreyfus verrà scagionato da ogni accusa. Ma, volendo riprendere di nuovo Dickens, ci sono momenti della storia in cui tutto pare congiurare contro la creatività e contro la libertà, in cui tutto sembra essere perduto nella disillusione e nel cinismo. Tutto ciò sembrerebbe confermarlo la nostra arrendevolezza di fronte ad un Andrea Agnelli per cui i bambini che oggi si avvicinano al calcio sono, semplicemente, “quelli che spenderanno soldi domani”. I giornalisti, gli intellettuali, noi gente di spettacolo, siamo i veri colpevoli di questa situazione. Siamo i veri colpevoli perché stiamo mancando al nostro dovere di provare a cercare la verità e a mostrarla; ci siamo ridotti a meri buffoni di corte, e chiedo scusa a quest’ultimi se a loro mi sto paragonando. Perché loro, almeno, portavano buon umore e riuscivano a regalare qualche lampo di verità al re. Noi, invece, siamo solo una triste caricatura di chi ha onorato, nel tempo, tutte quelle professioni che da sempre dovrebbero salvaguardare l’anima e la coscienza di un popolo. Non posso certo biasimare i posteri se non riusciranno a perdonarci e tantomeno comprenderci. Perché avrebbero dovuto poter contare su di noi.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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