Intervento

Le strutture del Torino a Torino: un vantaggio competitivo

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L'intervento di Paolo Patrito: strutture e Torino

Redazione Toro News

Un paio di settimane fa sono stato all’Allianz Stadium per vedere il derby.

Confesso: non c’ero mai entrato per assistere a una partita di calcio. Stadio sontuoso, visibilità ottima in ogni settore o quasi, tecnologia a go go e terreno di gioco a due passi. Per contro: atmosfera gelida (e non parlo delle condizioni atmosferiche) e la sensazione di trovarsi in un’astronave atterrata in un luogo che non è più Torino e non è nemmeno Venaria, zona circostante lo stadio abbastanza desolante, per non dire dei chilometri a piedi per raggiungere la macchina, resi ancora più duri dai 4 gol sul groppone.

La settimana scorsa sono andato al Fila per l’allenamento a porte aperte del Toro.

Mentre al Filadelfia aspettavo che i giocatori scendessero in campo, appollaiato sull’alto della tribuna, mi sono ricordato del Filadelfia degli anni Ottanta. Era già poco più di un rudere, ma si respirava l’aria gloriosa del passato e nel cortile coperto di ghiaia potevi incontrare e magari fare due chiacchiere con Cravero e Francini, Dossena o Leo Junior: conservo ancora un quaderno con la copertina azzurra che racchiude le foto e gli autografi di quegli anni.

Ho pensato a mia figlia, 10 anni, che la sera del derby, oltre a considerazioni poco riferibili sulla quantità eccessiva di tifosi juventini presenti, si è mostrata poco impressionata dallo spettacolo suoni&luci dello Stadium: “Papà il nostro stadio è molto più bello, è più romantico”.

Ho pensato alle strutture del Toro, che non ci sono o, se ci sono, ci appaiono insufficienti.

Per esempio mi sono detto che il Filadelfia, per quanto sia un miracolo fato di mattoni, forse non potrà mai diventare un centro sportivo adeguato a una squadra di Serie A. Allo stesso modo lo stadio Grande Torino, che, anche se un giorno divenisse di proprietà, difficilmente potrebbe trasformarsi in un impianto ultimo modello.

Il tema delle strutture è uno di quelli che fa percepire ai tifosi del Toro il maggior senso di inadeguatezza, come se fossimo parenti poveri costretti ad un continuo, estenuante ripiego.

E se non fosse così?

Se da quella che ci appare una situazione complessa e problematica potesse nascere un vantaggio competitivo?

Proviamo a rifletterci.

Il Toro, a differenza dei cugini, porta il nome della città. Il Toro è intimamente legato alla città di Torino, alla sua storia, alle nervature urbane dei suoi quartieri.

Potersi allenare nel cuore della città, sullo stesso prato (mutatis mutandis) calpestato dai giocatori del Grande Torino non ha prezzo. Inoltre, ora che gli allenamenti a porte aperte stanno tornando ad essere una consuetudine, la location non è indifferente. Al Filadelfia possono entrare nonni e nipoti che vivono nel quartiere, manager in scooter tra un appuntamento e l’altro, famiglie, studenti dell’Università senza particolari necessità di programmazione. Non bisogna prendere l’auto e andare chissà dove: il Fila è lì che aspetta dov’è sempre stato.

Penso cose simili sullo stadio Grande Torino.

Lasciamo per un attimo da parte il tema dell’acquisto dell’impianto, tornato sulle prime pagine dei giornali nei giorni scorsi.

Certo, SE ci fosse la volontà di acquistare lo stadio e la possibilità di farlo a condizioni convenienti, SE si potessero superare d’impeto le ipoteche e i vincoli della Soprintendenza, incastonare uno stadio hi tech in un guscio intriso di storia (tra queste mura abbiamo conquistato quell’ultimo e sospirato Scudetto) tutti, società, squadra, tifosi, avremmo mille motivi per esserne felici. Immaginate poi SE il Filadelfia venisse completato, SE in poche centinaia di metri si racchiudessero stadio, luogo degli allenamenti, sedi di società e museo.

Indipendentemente da questo scenario futuribile, sarebbe una gran cosa se imparassimo ad amare di più ciò che abbiamo e che sottolinea la nostra unicità: possiamo assistere agli allenamenti nello stesso luogo dove giocavano Mazzola e compagni, per poi affacciarci dagli spalti del Grande Torino sul terreno arato da Ferrini ricamato da Meroni, percorso trionfalmente da Zaccarelli e Pulici: tutto in un quartiere vivo, immerso nella città, al centro di quell’immensa cittadella sportiva a cielo aperto che è l’area di Piazza d’Armi. Nulla di cui dispiacerci, molto di cui essere orgogliosi.

Che bello, il Torino a Torino.

a cura di Paolo Patrito

Giornalista, nato a Torino il 22/10/1975, per cui posso dire di aver assistito all’ultimo scudetto del Toro. Sposato, ho una figlia di 10 anni, Elettra, anch’essa “condannata” a tifare Toro.

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