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CULTO

Here come the rooster: il primo anno del Gallo al Toro

belotti, Le formazioni ufficiali di Torino-Verona

"Il 2014/2015 è stato il primo anno di Belotti al Toro. Un anno forse meno ricordato, ma comunque zeppo di reti. Culto di Francesco Bugnone lo racconta per noi"

Francesco Bugnone

Di Belotti mi infatuai quando lo vidi nell’under 21 prima e nel Palermo poi. Mi piaceva quell’attaccante con la faccia da bravo ragazzo che sembrava avere una fame atavica di palloni e di gol, correndo ovunque e dando il centouno per cento. Mi sarebbe piaciuto vederlo da noi, sembrava proprio disegnato per la maglia granata. Figuratevi il mio umore quando, nell’estate 2015, si cominciò a parlare di un suo trasferimento al Toro.

Ventura non è certo un mostro di pubbliche relazioni e da noi ha fatto parecchio per rendersi poco simpatico (al novanta per cento se ne sarà anche pentito, ma è troppo tardi), però di giocatori ne capisce. E’ proprio il suo insistere con Petrachi a portare il “Gallo” da noi. Sì, il Gallo, così soprannominato per quel modo bambinesco, che diventerà iconico, di esultare mimando la cresta dell’animale che sveglia la fattoria al mattino.

Per un malvagio scherzo del destino Belotti viene ufficializzato il 18 agosto 2015, giorno infausto perché perdiamo don Aldo Rabino. Sono sicuro che a don Aldo Andrea sarebbe andato a genio ed è un peccato che non si siano incontrati, ma solo sfiorati.

C’è una canzone degli Alice in Chains che si intitola “Rooster” ed è un capolavoro. Ovvio che la mia testa la associ a Belotti, anche se “Gallo”, in quel caso, è il soprannome che il padre di Jerry Cantrell aveva durante la Guerra del Vietnam, però ogni volta che vedo il nostro nuovo acquisto la mia testa va a quelle note: “Here they come to snuff the rooster/yeah, here come the rooster/you know he ain’t gonna die/no, no, no, you know he ain’t gonna die”.

Con dei capelli abbastanza improponibili e il nove sulle spalle, Belotti esordisce alla terza giornata a Verona, in uno dei pochi buoni momenti stagionali dei granata, ma ha un impatto tutt’altro che memorabile. Contro la Samp va meglio, entrando nell’azione del raddoppio di Quagliarella con una rasoiata a metà tra il tiro e l’assist. Le sue prime partite sono una sorta di apprendistato, la sua marcia di avvicinamento al primo gol in granata passa per mandare in rete i compagni (come accade contro il Milan dove smarca Baselli con una sponda di petto), rendendosi utile senza risparmiarsi maie facendosi trovare sempre nel vivo dell’azione. Il modo in cui esulta a ogni rete della squadra lo mostra davvero sul pezzo.

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Sicuramente il digiuno di gol pesa un po’. Sembrerebbe arrivare il momento buono contro l’Inter dopo una corta respinta di Handanovic su Quagliarella, ma il portiere nerazzurro lo ferma con un intervento disperato. Potrebbe succedere a Bergamo, ma prima Sportiello gli stoppa il diagonale, poi il Gallo manca la deviazione da un passo su centro di Bruno Peres, quindi colpisce una clamorosa traversa con un gran colpo di testa e infine scheggia il palo dal limite dopo aver mandato al bar Paletta. L’incantesimo si spezza un sabato, nel tardo pomeriggio, contro il Bologna.

Nell’anticipo con i felsinei il Toro strameriterebbe il vantaggio, ma a un quarto d’ora dalla fine il risultato è ancora di 0-0. Moretti lancia lungo in avanti, Maxi Lopez, con un movimento da grande attaccante qual è, apre la strada a Belotti che, pur saltando in maniera un po’ scomposta, tanto da far temere  un mani, stoppa di petto e si lancia verso l’area avversaria. Testa bassa, pallone portato avanti di sinistro, Gallo è un uomo in missione: Maietta non può fermarlo, diagonale mancino sul primo palo e Mirante è battuto. Andrea mostra la cresta, poi, con lo stadio in tripudio, vola verso la panchina dove anche Ventura imita l’esultanza del suo attaccante. Lo farà altre volte.

Contro la Roma potrebbe esserci un immediato bis, ma Sczeszny gli nega un gol in avvio con una prodezza e Belotti si “accontenta” di conquistare il preziosissimo rigore del pareggio in pieno recupero. Poi anche Andrea viene risucchiato dal pessimo finale di girone d’andata del Toro che, dopo averne presi quattro in coppa Italia nel derby in una serata allucinante, perde tre volte di fila, di cui due interne dolorosissime con Udinese ed Empoli.

Poi succede qualcosa: con un colpo a sorpresa a gennaio ritorna Immobile per rivitalizzare l’ambiente, anche se sarà un sogno con una durata limitatissima. Dell’arrivo di Ciro gioverà principalmente Belotti che, dopo un girone di rodaggio, è pronto a gonfiare la rete con continuità. Le cifre parlano chiaro: un gol all’andata e tredici al ritorno. Si parte subito, contro il Frosinone. Dovrebbe essere l’Immobile-day, ed è lui ad aprire le marcature con un rigore ripetuto, ma il Gallo si fa vedere con prepotenza con un uno-due subito dopo il pareggio di Sammarco. Il primo gol è da opportunista puro catapultandosi su una corta respinta di Leali su testa di Immobile, mentre la difesa ciociara si sta chiedendo cosa sia successo. Il secondo centro è una mina in diagonale nel sette da posizione angolatissima, una di quelle cose che fa esplodere una curva, con la rete che si gonfia come dopo una cannonata. Tanto per non farsi mancare nulla, ecco anche l’assist per il 4-2 di Benassi che gli restituisce il favore pochi giorni dopo nel recupero contro il Sassuolo, con un assist deviato nel sacco di piatto.

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L’ultimo Toro di Ventura, troppo lontano dalla zona Europa e contemporaneamente già salvo, non ha più obiettivi dall’inizio del girone di ritorno e in questo malinconico finale fra le poche cose degne di essere guardate c’è proprio il Gallo. A Genova, contro la Samp, sembra una delle classiche partite in cui meritiamo noi, ma vincono gli altri: è Muriel a portare in vantaggio i blucerchiati. L’intesa Immobile-Belotti funziona bene e 5’ dopo su cross di Ciro incredibilmente ciccato da Ranocchia, il Gallo pareggia. L’inerzia sembra nostra, immobile sbaglia un gol incredibile, ma Soriano ci punisce a 5’ dalla fine con un gran tiro fa fuori. Sembra finita quando, allo scadere del recupero, Viviano potrebbe tenere palla, ma, contrariamente alla logica, rinvia lungo e riconquistiamo il possesso. Ferrero, inquadrato, col cappuccio in testa e un telefono rosso in mano urla che è finita, consegnandosi alle beffe in rete per quanto succederà di lì a poco: Immobile vola a sinistra e crossa, Belotti salta in mezzo a due e pareggia con un colpo di testa splendido. C’è un’immagine splendida in cui Gallo esulta con la cresta dopo il 2-2 e Quagliarella, appena tornato alla Samp, che lo guarda con un’espressione amareggiata. Ogni tanto tocca anche agli altri prenderla in quel posto.

Contro la Lazio Belotti è ancora un mostro di opportunismo, poi dopo due tiri dal dischetto falliti da Maxi Lopez col Carpi e  da Immobile contro i biancocelesti (entrambi procurati dal Gallo), diventa anche rigorista. Il primo lo segna nel derby perso 4-1 in cui, nei primi 15’ della ripresa, veniamo derubati di tutto il derubabile (e perdiamo Immobile fino a fine stagione per infortunio), il secondo contro l’Inter nella vittoria per 2-1 (lo conquista ancora il nostro bomber, provocando il rosso a Nagatomo), il terzo allo scadere contro il Bologna, l’ultimo a Roma, la sera in cui Totti decide di ribaltarci con una doppietta nel finale. Li trasforma tutti con freddezza, sembriamo aver ritrovato un altro Rosina nel modo di batterli, ma la parata di Donnarumma a San Siro nel primo turno del campionato successivo farà diventare il rapporto del Gallo col dischetto uno psicodramma.

L’ultima rete dell’anno arriva anche il pomeriggio dell’ultimo successo stagionale, un fragoroso 5-1 a Udine, dopo due ko e prima di altre due sconfitte. Nella gara in cui Jansson trova il suo unico gol granata, Acquah spacca la porta per raddoppiare e Martinez segna addirittura una doppietta dopo mesi di gol divorati, Belotti fa una rete che è anche una cesura. Sul punteggio di 3-1, un rimpallo sulla nostra tre quarti apre la strada al numero nove che, intuendo una prateria, parte in contropiede, sembra fermarsi e poi, all’improvviso, riaccelera ed evita l’ultimo difensore che gli si para davanti, scartando da fenomeno. Gallo ha ancora una trentina di metri da percorrere, lo fa resistendo al ritorno di un avversario e poi conserva la lucidità per scoccare un diagonale rasoterra mancino che batte Karnezis.

Perché una cesura? Perché in quel momento abbiamo la certezza di quanto ci possa far godere quel ragazzo. In quell’attimo preciso diventiamo gallosessuali. Il resto è storia nota: la pioggia di gol il primo anno di Mihajlovic, le rovesciate, la fascia da capitano, la cresta sventolata che fa impazzire grandi e piccini, entrando finalmente nel loro immaginario, le voci di mercato, gli infortuni, i gol, i gol, i gol. Fino ad arrivare a oggi, in un momento in cui sembra finire e non finire tanto bene e siamo tutti coi nervi a fior di pelle per questo, quindi non se ne può parlare molto serenamente senza col litigare fra noi e non è il caso aggiungere altri motivi, visto che ormai lo facciamo per ogni cosa. Questo lungo film in cui Belotti tanto ha dato e tanto ha avuto (no, non parlo minimamente della parte economica), comunque terminerà, è iniziato da qui, da un ragazzo che arriva in granata non ancora ventiduenne e, dopo un girone di ambientamento, ha iniziato a segnare senza fermarsi più e una volta ancora mi viene voglia di ascoltare “Rooster”.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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