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È un metodo ed una "tradizione" quello che manca al Torino FC e su questo dovrebbe riflettere il presidente Cairo quando parla di vivai e strutture come parte fondamentale del futuro su cui deve puntare il calcio italiano: cominci lui per primo ad investire sul settore giovanile seriamente, cominci ad accelerare progetti vitali come il Robaldo e forse nel giro di un lustro avremo meno toccanti lettere di addio di calciatori che "non ce l'hanno fatta" ad arrivare in Prima Squadra e magari più Buongiorno per i quali il Toro non è un porto di mare nel quale attraccare provvisoriamente in attesa di meglio, ma un punto di arrivo e di crescita futura con la maglia granata addosso.
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La Fiorentina inaugura il futuristico Viola Park e pensa ad una Under 23 in C per il prossimo anno, l'Atalanta si è iscritta quest'anno alla terza serie con la sua seconda squadra ed addirittura il Modena ha avviato il progetto di un moderno centro sportivo per le giovanili. Why always me polemizzava Balotelli ai tempi del City: perché sempre noi, potremmo dire noi, tifosi del Toro, dobbiamo vedere gli altri fare quello che invece è nel DNA della nostra società da oltre un secolo? È incredibile, quanto desolante per chi vive a Torino e sa realmente in che contesto si muovono i commoventi componenti dello staff delle giovanili costretti a fare le classiche nozze con i fichi secchi, sentire Cairo snocciolare ricette per il rilancio del calcio italiano quando è il primo a lasciarle lettera morta nei fatti. La Fifa ha distribuito alle società gli indennizzi per l'impiego dei calciatori del mondiale qatariota e al Torino sono letteralmente piovuti dal cielo quasi un milione e duecentomila euro: non sarebbe stato intelligente, quanto strategicamente vincente, annunciare che tale somma extra budget andrà destinata interamente ai fabbisogni delle giovanili o alla costruzione del Ronaldo per dare impulso ai lavori?
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Per non parlare di quanto poco viene sfruttato il marchio Toro in giro per il mondo. Viviamo in un mondo dove la "narrazione" è alla base di ogni fenomeno culturale sociologico politico: e quanta narrazione c'è nella storia del Torino, quanta presa farebbe in culture lontane (penso all'Oriente o al Nord America, ad esempio) il fascino della storia granata, dei suoi eroi belli e sfortunati e della loro epopea? Un appeal che tradotto in marketing arricchirebbe le casse del club, ma che non viene minimamente sfruttato senza sapere bene perché: miopia? Mancanza di visione? Scarsa propensione all'investimento in immagine?
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Rileggo le parole di Celesia e mi commuovo ed inorgoglisco al tempo stesso a pensare che ci sono ragazzi come lui che ancora credono ciecamente nei valori che la storia granata esalta da sempre e sono fieri di essere cresciuti nel mito della maglia granata come seconda pelle. Un Celesia che se ne va è un'occasione persa per il Torino: non per il valore del giocatore su cui si può discutere e sul quale si poteva forse ancora lavorare, ma sul senso che gente come Celesia da' al Toro stesso. Da sempre il vivaio del Toro non sforna solo campioni, ma sforna giocatori anche modesti, ma che hanno una marcia in più quando vestono la nostra gloriosa maglia. Non capire questa fondamentale cosa è forse il delitto più grande di chi predica bene e razzola come ormai ci siamo abituati a vedere negli ultimi diciotto anni…
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Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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