Il granata della porta accanto

La festa bipolare dei tifosi del Toro

La festa bipolare dei tifosi del Toro - immagine 1

Il Granata della Porta Accanto/ Grande orgoglio sugli spalti per un Toro che quest'anno ha rialzato la testa, ma anche nostalgia del passato e timore per il futuro

Alessandro Costantino

Il Toro prende una bella imbarcata con una Roma motivata a conquistarsi un posto in Europa (ma anche con la testa alla finale di Conference League…), senza di fatto impensierire i giallorossi in una serata che verrà ricordata più che altro per il clima di festa di uno stadio finalmente pieno e che meritava uno spettacolo in campo decisamente diverso.

Sono stato in Maratona con mio figlio di 8 anni ed ammetto che vedere la curva piena zeppa che ha cantato per tutta la partita a prescindere dal risultato e che ha tributato i giusti onori (e fischi…) a chi li meritava è stato emozionante, nonché il miglior messaggio per consolidare la fede granata nel mio bambino: tifare Toro è qualcosa di diverso che ha a che fare con un modo d'essere, più che con i meri risultati. È stata una grande festa e se da un lato ne sono stato orgoglioso perché abbiamo ancora una volta dimostrato quanto amore sappiamo dare a chi dà tutto per questa maglia (Belotti, Bremer, ma anche Juric ha preso la sua bella dose di cori per il gran lavoro che ha fatto e la schiettezza che ha sempre messo nel parlare alla stampa e alla gente), dall'altro lato quest'atmosfera di gaudio per un decimo/undicesimo posto, la partenza dei migliori giocatori che abbiamo in rosa ed un futuro che appare molto incerto sul piano sportivo, mi ha anche fatto rabbia alla quale si è aggiunta una spruzzata di tristezza e nostalgia.

È bello sapere di essere "diversi" dalle altre tifoserie, ma al tempo stesso è dura accettare di essere diventati una "provinciale" del calcio. La nostra retorica fatta di tremendismo, grinta, senso di appartenenza e resilienza verso il destino avverso in realtà è stata costruita durante più di un secolo guadagnando meritatamente e legittimamente sul campo quarti di nobiltà all'interno del calcio italiano. Il Torino per cent'anni è stato nel gotha del pallone italico non unicamente per le sue vittorie che, sebbene siano state relativamente poche, sono state tutte epiche e memorabili pagine vincenti di questo sport: il modo "unico" di competere ad alti livelli ha reso club e tifoseria riconoscibili ed identificabili per certe inconfondibili caratteristiche. Negli ultimi vent'anni, però, questo patrimonio secolare fatto di un DNA sportivo unico e difficilmente replicabile si è perduto, per i cambiamenti esogeni del mondo del calcio, certo, ma anche perché chi ha guidato il Toro non ha saputo seguire il solco della tradizione adeguandola al mutato ambiente del calcio contemporaneo.

Non mi stancherò di ripetere un concetto che dovrebbe essere una pietra miliare nella "mission" di chi tiene le redini del Torino: l'obbiettivo non dev'essere vincere, ma mettersi in condizione di provarci (e quindi almeno saltuariamente riuscirci). Mi sta bene tributare onori ai giocatori che tanto hanno dato alla maglia e vanno via, ma è doveroso chiedersi perché se ne vanno. Il Torino ha sempre venduto i suoi migliori giocatori,ma ha avuto epoche in cui è riuscito a creare cicli più o meno "vincenti" e pertanto oggi, con un allenatore come Juric disposto a puntare all'Europa con un gioco ed un atteggiamento della squadra che rispecchia quello che noi tifosi vogliamo vedere, la società ha il dovere di fare possibile ed impossibile per supportarlo e fare proprio l'obbiettivo dichiarato dal suo allenatore.

La gente del Toro ha dato dimostrazione venerdì sera di esserci, di saper cogliere le occasioni per riaccendere la fiamma se questa viene ravvivata toccando le corde giuste. Il lavoro nell'immediato di Vagnati sarà quello di operare sul mercato con grande sagacia, intraprendenza e anche un tocco di follia, provando a prendere i profili giusti che vuole Juric. Ma la società dovrebbe davvero impostare un altro tipo di lavoro a più lungo termine, un lavoro che parta dal presupposto di ricreare un senso di appartenenza che è ancora possibile ottenere se si semina in maniera intelligente e lungimirante. Un lavoro che non può che cominciare dalle giovanili e dalle strutture del club.

Investimenti in tecnici e squadre del vivaio ed investimenti in strutture (Robaldo in primis e Filadelfia completato). Non si può affrontare il futuro senza un'idea e un ideale che ne indichi la rotta: i Belotti, i Buongiorno, gli Juric (bandiere, vivaio, mister) dovrebbero essere le stelle polari del Toro del domani. Un altro Belotti deve ciclicamente far parte della storia del Toro così come i Buongiorno devono essere sfornati a ripetizione dalle giovanili. Vivere alla giornata non farà altro che disperdere ulteriormente quello che resta di uno stadio e di un popolo che sa festeggiare anche se la propria squadra perde 0-3…

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.

tutte le notizie di