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La Leggenda e i Campioni

Passi bianconeri diventati orme granata

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Torna l'appuntamento con "La Leggenda e i Campioni" la rubrica di Gianni Ponta: "Vorrei qui ricordare alcuni personaggi che, pur avendo vestito la maglia bianconera, hanno dato tanto al Torino"
Gianni Ponta

Dedicato a Franco Sattolo

L'idiosincrasia del vostro modesto scrivano verso i colori bianconeri - o se volete i pigiami - è assoluta. Tuttavia vorrei qui ricordare alcuni personaggi che, pur avendo vestito quella maglia, hanno dato tanto al Torino. Bodoira, Borel II, Bruno, Gabetto.

Alfredo Bodoira, chiamato "Pinsa" ("pinza" in Piemontese) per le dimensioni e la robustezza delle sue mani. Il soprannome gli era stato dato dai compagni di squadra bianconeri Rava e Depetrini. Per chi giocava a guardia dei pali, e ai suoi tempi doveva bloccare palloni di cuoio a dodici pezze duri come il marmo che bagnati aumentavano di peso in maniera considerevole, quel soprannome assumeva già un significato particolare. Fu portiere di grande rendimento.

Nel suo palmarès, tre titoli di Campione d'Italia (uno scudetto in bianconero, due in granata) e due Coppe Italia, con entrambe le compagini. Titolare nella Juventus dalla stagione 1937-38, fino al 1941 quando passò ad indossare la maglia del Torino con cui vinse da titolare l'accoppiata Scudetto-Coppa Italia nel 1942-43 e, da riserva, il campionato 1945-46. In effetti, grande fu la sua amarezza nel vedersi successivamente preferito Valerio Bacigalupo e, sul piano umano, del tutto comprensibile. Ma la gioventù e i mezzi atletici straordinari del giovane "guardiano" di Vado Ligure si fecero preferire. Quando durante un prepartita al Comunale nel 1975-76 venne intervistato dalla RAI, alla domanda per chi tifasse, rispose: "Juve". Fu proprio da quel filmato che nacque la mia curiosità di scoprirne la carriera ed il profilo. Ma per comprendere la profondità, la passione e l'umanità del personaggio occorre ricordare un aneddoto poco conosciuto.

Un giovanissimo Franco Sattolo sognava, negli anni '50, di diventare portiere. Bodoira si affezionò a quel ragazzo povero, semplice e con grandi valori morali. Intraprese così ad allenarlo, portandolo con sé su un campo da bocce innevato. I benefici, secondo l'ormai anziano portiere, erano essenzialmente due. Il primo, la possibilità di tuffarsi sulla neve senza farsi male, il secondo "il freddo ti fortifica". È bello sapere che dietro i titoli dei giornali, dietro le quinte della celebrità, ci siano stati momenti semplici, lunghi silenzi nelle fredde sere invernali, una generosità gratuita ripagata soltanto da vedere poi "Jerry" Sattolo giocare in Serie A e, per esempio, parare un rigore a Clerici, uno dei migliori cannonieri dell'epoca. Vidi Sattolo da vicino, finita la carriera di calciatore e intrapresa quella di allenatore delle giovanili, abbracciare Claudio Sala a fine partita nel '76-77. Visto da vicino, un gigante.

Felice Placido Borel, "Farfallino". Uno dei più puri talenti calcistici sabaudi. Nato a Nizza nel 1914, cresciuto nei Balòn Boys, quindici anni alla Juve, riserva e Campione del Mondo a Roma 1934, Coppa Internazionale 1933-35, due volte capocannoniere. E allora? Succede che nel 1941-42 "Farfallino" giochi nel Torino. Dopo le prime quattro giornate il Torino ha soli 4 punti e all'ottava perde male il derby. Il presidente Novo rifiuta l'idea di veder fallire il proprio progetto di una bella squadra, e convoca un incontro nella sede di via Alfieri. Roberto Copernico, commerciante di alta moda e consigliere tecnico, e Borel lo raggiungono.

Dal magnifico "profondo granata" di Salvatore Lo Presti: "Quella notte, discutemmo fino alle tre e mezzo del mattino. Esposi le mie idee. Ero fermamente convinto - raccontò Felice Borel - che solo un'impostazione errata, un modulo di gioco ormai superato come il vecchio Metodo WW ci avesse ridotti a quel punto. Ed ero certo inoltre che avevamo gli uomini adatti per passare al Sistema WM. La prima formazione sistemista esibitasi su un nostro campo era stata l'Inghilterra che aveva pareggiato 2-2 a San Siro nel maggio 1939, la partita dell'ormai storico gol di pugno di Silvio Piola. Io, seriamente infortunato ad un ginocchio, la sera ebbi modo d'intrattenermi con Mr. Whitaker, l'allenatore degli inglesi. Mi spiegò come nel suo Paese il Sistema avesse ormai soppiantato il Metodo e, soprattutto, come esso assicurasse una migliore distribuzione dei compiti e della fatica tra i giocatori. All'indomani, prima della partitella infrasettimanale di allenamento, Novo si sostituì in pratica all'allenatore Cargnelli. Parlò a tutti noi per oltre un'ora, impostando praticamente sul piano tecnico e su quello tattico il primo Torino sistemista. Era il pomeriggio del 18 dicembre 1941".

Quindi la militanza di Felice Placido Borel II durante un solo campionato nelle file granata, fu alla base di una svolta epocale con il passaggio al Sistema WM, la base dello schieramento in campo del Grande Torino. E d'altra parte, l'adozione di questo modulo di gioco sedici anni addietro all'Arsenal, era nata da un'aperta discussione tra Herbert Chapman e i sui giocatori Charlie Buchan e Tom Wittaker: "Perché non spostiamo il centromediano in mezzo alla difesa?". "E questo terzo difensore da dove lo prendiamo?". "Dalla linea superiore, quella mediana". "Proviamoci". In casa granata il cambiamento fu prudente e progressivo: solo il Torino di Valentino Mazzola doveva arrivare alla perfetta interpretazione del WM. Il primo sostanziale cambiamento della disposizione in campo a Testaccio sul terreno della Roma, pareggio a reti bianche. Davanti a Bodoira, i terzini Piacentini ed Osvaldo Ferrini si schierarono nelle zone delle ali giallorosse Pantò e Krieziu; i mediani Cadario e Baldi si portarono più vicini e stretti alla coppia delle mezz'ali Borel II e Petron, abbozzo del quadrilatero. Ellena, che aveva in precedenza giocato da laterale, ora nel ruolo di centromediano. Menti, Gabetto e Ferraris II il trio d'attacco.

Pasquale Bruno "O' Animale". Non basta dire che ha indossato la maglia granata dal 1990 al 1993, proveniente dalla Juventus.

È sufficiente ascoltarlo con la sua verve aggressiva ancor oggi in una trasmissione per percepirne una passione genuina, forte, un attaccamento viscerale a noi...il Toro è una seconda pelle. Certo, quel derby del 17 novembre 1991, in seguito al quale Bruno si beccò otto giornate di squalifica e nel quale lui e Policano lasciarono la squadra in nove. La Goeba a difendere a ranghi completi lo striminzito 1-0...

E quella volta che cuor di leone Melli si lamentò di esser stato minacciato prima dell'incontro, spalleggiato dal suo allenatore. Come se in carriera, Luigino Meroni, Claudio Sala, Gigi Lentini non avessero mai subito trattamenti speciali dai difensori avversari.

Ma le partite che nel ricordo ne tratteggiano al meglio carattere e comportamenti sono quelle di semifinale di Coppa UEFA contro il Real Madrid 1992. Andata al Santiago Bernabeu. Dopo essere stati ricevuti a sassate nell'ingresso "preferenziale" riservato alla squadra ospite, i granata sono nello spogliatoio con Mondonico. Rientra Bruno, e, al di sopra di loro, la curva dei sostenitori caldi dei merengues rumoreggia. I compagni guardano O'Animale. "Sono andato a familiarizzare un po' ". Era andato sotto la curva, con il dito alla gola. Stesso gesto ribadito nella gara di ritorno a Torino il 15 aprile al señor Butragueno, "El Buitre" per intenderci. Dai resoconti di Darwin Pastorin e di Franco Colombo, "si limita ad un paio di calcetti più dimostrativi che altro, poi, al 16' va a chiedere conto a Chendo, che con intervento a 'tenaglia' ha massaggiato le caviglie di Lentini. E la copertina del 41' è tutta per lui, Pasquale Bruno: il difensore interviene stoicamente in tuffo di testa ad altezza di bulloni, viene colpito, crolla al suolo, Marchegiani si sbraccia nel chiamare medico e massaggiatore, questione di secondi e il gladiatore è in piedi in un mare di applausi. Bruno conosce momenti di esaltazione tecnico-agonistica: freddi e precisi i suoi interventi d'anticipo; ma perché deve risultare una bestemmia pretenderlo in nazionale?".

Abbiamo già dedicato una puntata a Guglielmo Gabetto, il "Barone" inarrivabile centravanti di Quelli Là, fantasioso realizzatore di gol apparentemente impossibili. Dotato di grande coordinazione, giova qui ricordare che durante i trascorsi bianconeri iniziò alla rovesciata, em bicicleta, il più giovane compagno Carlo Parola. Se c'è un'immagine, che compare sulle bustine delle figurine Panini da oltre settant'anni e che, fin dalla prima elementare ci ha fatto sognare, è quella. Quella sua rovesciata a Firenze, 15 gennaio 1950. 80' di Fiorentina-Juventus, "Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico", la rovesciata di Parola ad intercettare un lancio di Magli diretto ad Egisto Pandolfini, per sempre catturata dalla macchina fotografica di Corrado Banchi, freelance. Questo a Carlo Parola, "Nuccio Gauloise" per lo scrittore Giovanni Arpino, glielo dobbiamo, noi grandi e piccini, che abbiamo sognato e sogneremo calcio con le figurine ed attraverso il suo gesto atletico mitico sulla bustina dei Calciatori. Carlo Parola, di cui Renato Zaccarelli serba un buon ricordo avendolo avuto come allenatore al Novara nel biennio 1971-1973. A cinquant'anni, in rovesciata, arrivava a toccare la traversa.

Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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