“Il mondo è un certo numero di tenere imprecisioni”.
loquor
Europei di calcio dimezzati
Jorge Luis Borges
Vivere nella costrizione di non poter ambire praticamente a quasi niente, dalla costruzione un ponte di poco più di 3 km ad un Europeo di calcio inizialmente richiesto pensando ad una occasione per costruire finalmente qualche stadio degno del calcio 2.0, e ora costretti ad una coabitazione con la Turchia proprio perché la nostra proposta non avrebbe potuto assicurare, per mancanza di fondi, degli stadi all’altezza di una competizione calcistica a cui guarda tutto il mondo.
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“La svolta storica” rivenduta da Gabriele Gravina (“è dal 1990 che non avevamo la possibilità di organizzare un torneo calcistico così importante”), in realtà assomiglia più alla campagna fallimentare dell’esercito italiano in Grecia, dove da “spezzeremo le reni alla Grecia” si passò ad una urgente richiesta ai tedeschi di venirci a salvare da una delle più grandi umiliazioni della storia militare italiana. Stavolta è la Turchia di Erdogan, uno dei tanti autocrati sparsi nel globo, a venirci in soccorso, perché loro, i turchi, gli stadi nuovi e moderni hanno iniziato a costruirli da tempo e con grande soddisfazione per gli abitanti di quello che fu il leggendario Impero Ottomano. Ad Ankara devono aver preso come un segno della benevolenza di Allah l’aver attirato l’Italia nella propria orbita e addirittura attraverso lo sport simbolo dei discendenti di Dante Alighieri. Si respira aria gravida di ottimismo lungo i 31 km dello “Stretto del Bosforo”, e non solo perché loro non uno ma addirittura tre ponti hanno saputo finanziarli e costruirli per collegare, pensate un po’, l’Europa con l’Asia, ma anche perché di recente le stime della potente e influente banca d’affari “Goldman Sachs”, ha previsto che la Turchia entro il 2050 avrà lo stesso Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
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Si continua a respirare aria di “debacle” dalle nostre parti, dove tutte le più accreditate e autorevoli stime economiche raccontano come il problema dei bassi salari continuerà almeno per altri vent’anni, facendoci perdere porzioni importanti di autostima e le menti migliori dirette, giustamente, verso lidi più remunerativi. E se i principali organi di stampa omettono continuamente di renderci chiaro il quadro, non si sa se per paura noi ci si possa deprimere troppo o per il rischio di sommosse popolari, la politica continua a dimostrare latitanza presso tutti i settori potenzialmente produttivi. D’altronde se l’attuale squadra Campione d’Italia continua a giocare in uno degli stadi più brutti e inadeguati d’Europa, qualcosa vorrà pur dire sullo stato catatonico in cui il Paese è precipitato. Stiamo parlando del calcio, del nostro sport nazionale, di una potenza di fuoco economica e d’immagine tra le più forti da noi mai espresse dalle Alpi fino al Mediterraneo.
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“Mamma li Turchi” fu il grido di terrore lanciato dagli abitanti di Otranto in un caldo agosto pugliese del 1480, assediati, torturati e uccisi da 15.000 della “Sublime Porta” a causa del loro rifiuto di convertirsi all’Islam (le reliquie dei martiri sono custodite e visitabili nella cattedrale della città salentina), ma oggi la Turchia ha oggettivamente salvato l’Italia dall’ennesima brutta figura mondiale a causa della inadeguatezza in cui da tempo versa, consentendoci di restringere solo a cinque stadi (più uno di riserva) la dotazione necessaria per ospitare la kermesse europea calcistica. La scelta della FGCI di “dimezzare” il nostro europeo dalle parti di Via Allegri la si è fatta quando si è capito in modo inequivocabile l’impossibilità di ripetere l’esperienza di “Italia 90” a causa di mancata empatia finanziaria del governo.
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In parole povere da Palazzo Chigi hanno fatto capire chiaramente che ci troviamo in un tale periodo di vacche magre da non poter garantire nessun “assalto alla diligenza” delle casse pubbliche per poter costruire o rinnovare gli stadi. Del resto lo Stato sta già dovendo affrontare un’altra grana dello sport italiano, ovvero il ritardo nell’organizzazione e la copertura dei costi lievitati per le olimpiadi invernali del 2026 (praticamente domani) di Milano e Cortina. E in un contesto dove non si riescono a trovare soldi per rimediare ad un sistema sanitario pubblico che sta franando o per rinnovare contratti salariali urgenti, alle baldanzose speranze del calcio di lucrare dalla fiscalità generale per fare gli stadi con i soldi degli altri (il celebre aforisma di Ricucci era meno eufemistico), il Governo ha risposto in modo inequivocabile: arrangiatevi, che qui non si riesce ancora a trovare una volenterosa impresa disponibile a costruire una pista per il bob olimpico, causa costi lievitati (quanto sono lontani i tempi in cui Giovanni Malagò scendeva dall’aereo sventolando la bandiera olimpica e promettendo un impegno economico assolutamente leggero da parte dello Stato, anzi la promessa come tutto sarebbe stato a costo zero per il pubblico fu quasi solenne. Il tempo è galantuomo e svela sempre la retorica). “Diffida di chi si dice pronto a lavorare anche gratis, perché sono quelli che non appena arrivano ti chiedono subito se puoi pagargli il taxi”, mi ammonì una volta un produttore teatrale.
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Tornando alle beghe di euro 2032, al momento solo lo “Juventus Stadium” avrebbe i requisiti richiesti da Nyon, e resta difficile, nonostante si abbiano ancora diversi anni di tempo, capire in che modo si arriverà ad avere cinque stadi adatti per l’abbisogna. Certo il disappunto per presidenti, fondi e quant’altro possegga oggi il calcio italiano deve essere stato notevole quando hanno capito che con gli europei dimezzati se ne è andata via anche l’opportunità di sfruttare l’evento per avere quasi gratis uno stadio nuovo con cui poi farci utili. Inoltre è scaduto anche il tempo dei “surplace” sul tema, pratica adottata per prendere tempo in attesa che Gravina facesse uscire dal cilindro il sogno europeo. Aurelio De Laurentiis e Claudio Lotito da anni continuano a “palleggiare” l’argomento stadio nuovo con tutte le ipotesi e variazioni verbali possibili, dove alla fine tutto si scarica sull’onnipresente burocrazia.
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“Bisogna abbattere la burocrazia e attuare una rivoluzione culturale”, è stata la roboante dichiarazione del presidente federale un po’ incline a prendersi troppo seriamente, forse sulla scorta della convinzione di Sigmund Freud riguardo la capacità della suggestione di modificare l’esito dei conflitti. Certo quanta ragione ha Gravina sulla burocrazia (d’altronde nessuno meglio di un burocrate può capire meglio i mali della burocrazia), ed è quasi comico questo richiamarsi continuamente ai 100 miliardi l’anno di evasione fiscale, quando per colpa della burocrazia inefficiente e della bassa produttività del lavoro se ne perdono ogni anno 200 di miliardi. Ma, si sa, nella propaganda è molto più semplice ed efficace creare la figura dell’antagonista piuttosto che puntare sulla qualità del prodotto proposto. L’antagonista indigna e arriva subito al cuore e al cervello, la qualità implica ragionamento e tanto tempo da perdere senza sapere se mai si arriverà al risultato sperato (giusto per chiarire: non sto giustificando né dicendo che l’evasione fiscale non sia un problema).
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A questo punto meglio puntare su tipi come Gerry Cardinale, che liberatosi della speranza di avere aiuti esterni può finalmente provare a dare il via al processo per la nuova casa del Milan. Niente è meglio di Milano, città che ha puntato decisamente sull’attrattività globale, per provare a stupire il mondo costruendo uno stadio finalmente all’altezza di una big del calcio italiano ed europeo. La speranza è un risveglio anche di Roma, soprattutto perché la Capitale, costretta da decenni ad utilizzare uno Stadio Olimpico strumento continuo di mortificazione della fruizione dello sport più seguito al mondo, è ora che si doti di uno stadio degno per il calcio. Siamo ad una via di mezzo tra i desideri e i sogni, come pensare sul serio che il calcio debba essere, Gravina dixit, “veicolo di contaminazione, un fenomeno culturale che abbatte barriere e favorisce il dialogo tra popoli”. Vasto programma avrebbe detto De Gaulle, e anche, mi scuserà il presidente Gravina, un po’ ciarlatano.
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Comprendo la necessità del provare a dire di tutto per nascondere le mezze sconfitte e tirare a lucido le mezze vittorie, ma ci vorrà ben altro, e sono scettico su questo suo appalesarsi, per trovare un punto d’incontro con la cultura turco/islamica. Ma la pietanza cucinata e stata servita a noi uomini semidesti, e ora non resta di vedere quale finale ci aspetta. Due guerre stanno stringendo l’Europa nel mezzo, la crisi economica è brutale e senza idee, il futuro è visto come un incubo. Forse il calcio non è una gran cosa, forse è sfruttato da appetiti sordidi e soggettivi, forse i novanta minuti di una partita non sono poi tutta questa metafora della vita. Ma esso, il calcio, rimane una speranza per i vivi e il ricordo vivido di tutti quelli che ci hanno preceduti. Lo si onori, o almeno si provi a farlo, come merita.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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