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LOQUOR

Il calcio in ostaggio dei giocatori

Il calcio in ostaggio dei giocatori - immagine 1

Torna un nuovo appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Le disgrazie cercano e

trovano il disgraziato”.

Miguel De Cervantes

Nella finale di Champions League di Madrid 2010 gli undici titolari schierati dall’Inter diventano involontariamente il perfetto manifesto della “Sentenza Bosman”. Marco Materazzi, infatti, entra negli ultimi minuti dell’incontro ed è l’unico giocatore italiano presente in campo e a ripensarci qualche sorriso ironico viene ripensando ai titoli dei giornali che sottolineavano, con molto orgoglio, la vittoria di una squadra italiana nella massima competizione europea per club: sembravano titoli ad esaltare un paradosso. “La mia – ha detto recentemente Jean Marc Bosman, il giocatore protagonista della Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – è una storia importante. Oggi il Belgio ha una generazione formidabile di calciatori: questi ragazzi devono sapere che, se sono diventati milionari, lo devono anche a me”.

Tra le tante cose che poteva dire l’ex centrocampista belga per esaltare la sua battaglia, a mio parere molto giusta poiché era scandaloso trattare i calciatori alla stessa stregua di una merce, l’ultima questione su cui avrebbe dovuto evitare di mettere l’accento è la faccenda di diventare ricchi sfondati. Questo non perché in sé ci sia qualcosa di scandaloso nell’essere ricchi o nel fare soldi attraverso l’esercizio di un talento, ma perché aver associato una giusta causa di un diritto di libertà recuperato alla cupidigia sembra porre tutti noi davanti alla saga dei disvalori. “La cupidigia non si sazia di rubare”, scrive San Fulgenzio, ed è proprio questa mancanza perpetua di sazietà ad essere la causa principale della voragine di debiti senza fine su cui è accomodato tutto il calcio continentale. Nel nostro Paese la situazione è ancora più grave vista come, al solito, la confusione che regna sovrana e la feroce disfida tra interessi contrapposti. Tutti sono costantemente alla ricerca del malloppo e del posto di potere giusto per gestire il traffico del malloppo stesso, incuranti dell’urgenza di una profonda riforma del pianeta calcio ciclicamente auspicata e mai operata.

Nella scarsa soglia di attenzione presente da qualche decennio nell’opinione pubblica (più o meno dall’avvento del largo consumo di Internet) ci si è facilmente, e stranamente, dimenticati dell’importanza del fine ultimo delle cose e come alla fine di un cammino dovremmo provare a trovare l’auspicata felicità. Si vive in un presente fatto dal rumore di tante di quelle notizie che hanno come ultimo risultato quello di farci precipitare nel silenzio dell’anima. All’improvviso, semplicemente, non l’ascoltiamo più. Il rumore caotico del profluvio inarrestabile  di notizie convince della necessità di vincere a tutti i costi e sempre di più, ma vincere nel calcio contemporaneo ha un prezzo continuamente teso ad elevarsi verso l’alto, dato come ben si comprende dal messaggio di Bosman:  calciatori vi ho liberato, quindi arricchitevi a più non posso. Giunge un momento in cui, in preda ad un grado di tolleranza sconfitto, abbiamo un senso di ripulsa verso giovani così poco provvidi e privi del senso di essere sciocchi, incapaci di non saper resistere dal mostrare su Instagram (o qualche altra diavoleria del genere) tutto il loro essere ricchi a bordo di automobili di lusso o di residenze così sfacciatamente impreziosite da simboli della capacità del denaro da annichilire qualsiasi tipo di fervida immaginazione. In un momento di crisi economica post pandemica (o pandemica senza post) queste “storie” (si chiamano così nel mondo allucinante e allucinatorio dei social) riescono a creare, nel circuito della gente comune, lo stesso effetto provocato da Maria Antonietta nel clima della vigilia della “presa della Bastiglia”, in cui ai cortigiani preoccupati sulla mancanza del pane rispondeva seraficamente come il popolo cercasse di trovare nelle brioche il conforto necessario alla penuria delle “baguette” (in realtà alla vigilia della Rivoluzione Francese non esisteva ancora la “baguette”. Ma ci siam capiti): se ancora non c’è una presa della Bastiglia forse è solo perché non la si è individuata.

I giocatori pensano di essere protetti dai terminali bancari battenti bandiera denaro digitale e dal silenzio ovattato degli studi dei loro fiscalisti, ma di illusioni di impunità ne sono piene le pagine di ogni tipo di libro di storia. Lo scandalo, ripetiamo, non è la ricchezza eccessiva, ma è l’idea plastica esposta pubblicamente di tenere letteralmente in pugno il mondo del calcio da quel fatidico giorno del 1995 in cui un “Giudice a Berlino” ha stabilito la loro liberazione senza nessun tipo di condizione, che a dire il vero doveva essere prevista dalla politica comunitaria. “Le società sono vicine ad essere prigioniere di agenti e calciatori” è stato il grido di allarme e di dolore lanciato da Daniele Pradè, Direttore Sportivo della Fiorentina, teso a riannodare il filo di complicità tra dirigenza del club e tifoseria Viola fortemente compromesso dal colpo di mano operato dalla Juventus su Dusan Vlahovic.  Il caso del giocatore serbo alla Juve è davvero emblematico e pericoloso, perché  ha visto costretta la Fiorentina a cedere il suo giocatore migliore ad una sua concorrente per un posto in Europa in campionato in corso. “Vlahovic – ha detto Pradè – è un caso singolo ma fa parte del calcio moderno”, e c’è da chiedersi cosa mai c’entri la modernità con un evidente abuso del proprio strapotere economico su una società chiaramente indifesa.

Più di una modernità pare essere davanti alla storia più antica del mondo al netto dello strappo di Adamo ed Eva dall’Eden. Imbarazzanti sono le conferenze stampe di presentazione dei giocatori, dove i giornalisti ripetono stantie domande condite da luoghi comuni che farebbero rabbrividire persino la “Nonna Papera” di disneyana memoria. La sensazione di un mantenere una certa complicità interessata con i protagonisti del pallone è più di un sospetto, e non riguarda solo il mondo del calcio ma anche il mondo della cultura e dello spettacolo in generale. Ormai la stampa è utilizzata come crocevia di interessi e “lancio” prodotti e ha perso progressivamente la sua funzione di “potere terzo”, di potere di controllo della qualità delle nostre vite. Nella quasi comica conferenza stampa di presentazione di Dusan Vlahovic tutti chiedere al giocatore serbo se si rendesse conto in quale fantasmagorica società fosse capitato, se sentisse il peso della maglia numero 7 (domanda omaggio agli orfani di CR7), fino all’immancabile quesito da romanzo rosa d’appendice: “vi siete parlati con Enrico Chiesa?”. Stacco da fotoromanzo risalente al tempo del compianto Franco Gasparri, ed ecco il giocatore serbo calarsi perfettamente nel genere rosa nazional popolare italico: “L’ho sentito al telefono. Lui è un grande amico e non vediamo l’ora di giocare insieme per vincere. Perché alla Juve conta solo questo”. Invece al povero Rocco Commisso piace perdere e arrovellarsi fino a giungere ad una verità fondamentale: “I procuratori sono stati disonesti. Avevo capito che Dusan aveva già un deal (accordo)”. Nessun impavido giornalista, uno da “Il Piave mormorò non passa lo straniero”, a chiedere all’ex idolo della “Curva Fiesole” se si fosse reso conto, al momento del “deal” raggiunto con i bianconeri, di stare provocando un danno alla corsa europea della “Viola” in favore della Juventus. Ma queste sono le “quisquiglie” e “pinzellacchere” di Totò, perché in fondo ha ragione Bosman quando con tono roboante e solenne ricorda come sia lui il padre di questi nuovi ricchi 2.0, questi appartenenti alla “Generazione Z” ma con il dono della buona pedata: quando le categorie sociologiche non annullano gli istinti atavici della cupidigia.

Intanto Paolo Dal Pino si è dimesso improvvisamente dalla presidenza della Lega A e ha deciso di trasferirsi definitivamente a Los Angeles, facendo capire come questa sua decisione sia figlia anche dell’impossibilità quasi esistenziale di riformare il nostro calcio: troppi interessi personali a soffocare l’interesse generale, è stata la sintesi feroce del manager. E mentre Giovanni Carnevali da Sassuolo sconsolato comunica “urbi et orbi” come il calcio italiano abbia problemi di governance e sia quasi tecnicamente fallito, seguito da un Giuseppe Marotta temerario nel rimproverare al governo di non aver aiutato i club a superare i problemi economici derivanti dalla pandemia, mi sovvengono alcune parole immortali di Miguel de Cervantes: “Ognuno è come Dio l’ha fatto, e molto peggio alcune volte”. Ma sono quasi certo come i procuratori e i loro assistiti non abbiano mai aperto una pagina del “Don Chisciotte”. Meglio qualche sequenza di “Squid Game”, dove un gruppo di persone accetta un gioco mortale per vincere un premio da 33 milioni di euro. Così è se vi pare, e anche se non vi pare.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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