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Il mercato del calcio e la noia

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Torna Loquor: "Siamo in quel periodo dell’anno in cui molto parliamo, a causa dell’assenza di partite di solito curiose 'Coperte di Linus' a coprire malamente le nostre domande inevase"

Carmelo Pennisi

“In principio era la noia,

volgarmente chiamata caos”

Alberto Moravia

Cosa rimane di noi se all’opera ci sono oligarchie molto potenti, molto remote, sempre più decisive? Cosa resta del nostro destino, confuso in un quotidiano sempre più estraneo e fin troppo meccanico? Cosa mai ci potrà dire il prossimo campionato, la prossima coppa europea, il prossimo impegno della nostra nazionale? Siamo in quel periodo dell’anno in cui molto parliamo, a causa dell’assenza di partite di solito curiose “Coperte di Linus” a coprire malamente le nostre domande inevase. E mentre parliamo, illudendoci di essere ancora nel tempo cristallizzato del calcio, in silenzio l’oligarchia usurpa tutto quello che c’è da usurpare nello sport più amato e seguito al mondo. Usurpa e lascia andare alla deriva il gioco. La tentazione sarebbe quella di distaccarsene, di chiudere occhi e orecchie davanti alla messinscena del calcio mercato, ladro di sogni ed esposizione sovente oscena di poteri diventati troppo soverchianti per credere ancora alla buona fede di uno sport incantatore di fuoriclasse del pensiero come Camus, Heidegger, Borges, Pasolini, Sartre… e l’elenco sarebbe sterminato e comprende anche Francesco I e Benedetto XVI, a convincere come forse esista una teologia degli angeli liberi di giocare con un pallone tra le nuvole del cielo.

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C’è da chiedersi cosa faremmo se un giorno, improvvisamente, il Potere Legislativo e il Potere Giudiziario chiudessero improvvisamente gli stadi… per sempre. Con il passare del tempo perderemo memoria di quei luoghi, o la nostalgia di essi non ci abbandonerebbe mai più? Meglio non pensare ad una ipotesi del genere, è da supporre come nessuno sia così folle da far diventare lo “Stadio Meazza” come il “Colosseo”, ovvero il ricordo di un tempo che fu. Da settimane assistiamo ad un dibattito martellante sul valore della maglia, e tutto ciò a causa di qualche giocatore desideroso di cambiarla, la maglia. “Per nuove sfide professionali”, si direbbe pomposamente nel maldestro tentativo di edulcorare la vita. Non si sottovalutino, però, le emozioni, visto come siano queste a spingere lontano dal Bayern di Monaco il talentuoso Robert Lewandowski. “Qualcosa si è spenta in me – ha detto l’attaccante polacco -, voglio lasciare il Bayern per cercare nuove emozioni nella mia vita”. Ha ragione, il buon Robert, considerando la vita sia una e se anche credi alla reincarnazione nel prossimo tentativo potresti sì rinascere calciatore, ma nelle vesti di Simone Zaza. A complicare i tuoi orizzonti professionali ci vuole un attimo, basta rinascere con altri presupposti.

Siamo tutti appesi ad un destino, ma anche alle circostanze continuamente bisognose di nostre decisioni irrevocabili. Lewandowski soffre di noia e c’è da capirlo, con gli attuali 23 milioni di euro annui concessi al suo conto corrente dal club bavarese. Troppi soldi non scacciano la noia di essere da otto anni nel centro dell’attacco di una squadra non più obbligata a vincere sempre, ma destinata a farlo. Da dieci anni il copione della Bundesliga è il remake dell’anno precedente: Bayern campione di Germania, e si fa presto a passare dalla noia all’accidia. Quella fastidiosa e pericolosa accidia, impossibile da contrastare anche con un ricco conto in banca. Otto anni dovrebbero bastare per creare l’osmosi necessaria per rendere inscindibile un giocatore da una maglia. Otto anni di aneddoti, sorrisi, strette di mano, selfie a profusione, amore e rispetto da una città intera, pronta a tutto pur di accontentare persino i segni più indecifrabili del tuo sbattere le palpebre. Non interessa ai tuoi attuali tifosi come forse in Germania si sia data più importanza alla presenza dei tifosi nella vita associativa dei club che alla competitività, facendo diventare il campionato tedesco una parodia di una competizione. Ora vuoi le “Ramblas” di Barcellona con la statua di Cristoforo Colombo ad indicare con il braccio destro teso un punto infinito che non raggiungerai mai, ma affascinante da considerare come opzione possibile. Ciao Bayern, ti ho dato 238 gol in 253 partite, può bastare, e se proprio devo dirtelo sono veramente stufo di vincere la classifica di capocannoniere ogni anno. Per un attimo, per ravvivare la festa, ho sperato in Erling Haaland, ma ora lui è volato in Inghilterra…

Il mercato sta per entrare nel vivo ed Adriano Galliani ha dichiarato al “Corriere dello Sport” di aver già ricevuto 165 messaggi dai procuratori e promette per il suo Monza uno stadio da 25.000 posti entro il 2023. “Mi cercano tutti e mi sento di nuovo Brad Pitt”, ha aggiunto l’ex amministratore delegato del Milan delle stelle e delle Champions, e si nota facilmente tutta l’eccitazione di chi proprio non sa cosa sia la noia. Fino a ieri erano milanisti fino al midollo, Galliani e Berlusconi, e sono entrate nel mito le immagini di Galliani seduto nel settore nobile del “Meazza” contorcersi e soffrire per le vicende rossonere. Sembrava davvero attaccato alla maglia, tanto da aver convinto, insieme al sodale Berlusconi, Emilio Fede a diventare milanista da juventino quale era. “Todo cambia”, direbbero gli spagnoli, e cambia maledettamente in fretta nella società “liquida” finanche nelle emozioni, e incurante delle agitazioni di Napoli sul destino (sempre più lontano dagli azzurri) di Kalidou Koulibaly. Analogamente ad Andrea Belotti, il gigante della difesa partenopea ha deciso di andare prima in vacanza e poi porsi il problema delle aspettative del mondo. Le inquietudini dei napoletani non sono affatto un suo problema, e poi quel mattacchione di Aurelio De Laurentiis è stato appena folgorato sulla via di Damasco dal Maldini pensiero, protagonista del Milan campione con un monte ingaggi di 40 milioni in meno rispetto al Napoli. È stupefacente l’Aurelio nazionale, una faccia tosta unica al mondo e probabilmente capace di vendere anche Victor Osimhen ad una cifra vicino ai 100 milioni, facendo fruttare alla grande la plusvalenza farlocca (ricordate i due primavera e il portiere tutt’uno con la panca valutati venti milioni?) mandata assolta da una Procura Federale senza nessun rispetto non solo verso la decenza, ma anche verso l’intelligenza altrui. Riuscirà a vendere l’ennesimo film di Natale alla gente, e convincerà i napoletani della fantastica opportunità di vincere alla stessa stregua del Milan. Ricordate Maradona? Tutte chiacchiere e distintivo, conta la maglia e il sogno del “Ciuccio” partenopeo.

Dal “Minareto” del calcio della nazionale ecco levarsi il canto a raccolta delle opinioni su Wilfrid Gnonto, un diciottenne volato via dal settore giovanile dell’Inter per atterrare in una soddisfacente esperienza elvetica, e diventato in queste ore una delle nuove emozioni del mercato. Figlio di immigrati ivoriani, Gnonto (classe 2003, praticamente un “pupo”) in un solo anno è riuscito a conquistare la Svizzera, dove vince con lo Zurigo la SuperLeague, e la Nazionale italiana, ma per avere successo lui, nato a Verbania, è dovuto emigrare a sua volta come fecero i genitori; voleva giocare e non sedersi in qualche panchina in attesa di un’apocalisse di infortuni a catena per avere una sporadica chance. Per la serie: a volte i cambiamenti non avvengono solo per noia, fortunatamente il mondo è ancora vario. Si criticano tanto i procuratori (quasi sempre a ragione), ma se non fosse stata per l’ostinazione molto influente di Jorge Mendes e per la nota situazione drammatica del Valencia, probabilmente Gennaro Gattuso sarebbe ancora a spasso (ah, che fantastico libro da sfogliare è quello del destino e della circostanza), e tutto per una vecchia intervista in cui l’ex allenatore del Napoli diceva la sua sul matrimonio gay allineandosi “pericolosamente” al pensiero di un qualsiasi Pontefice della Chiesa Cattolica. Da oggi sarà meglio non citare nemmeno la “Lettera ai Corinzi” di Paolo di Tarso, si rischierebbe di mettersi contro la Disney decisa a cambiare il mondo da lei prefigurato decisamente più arcobaleno.

Visto come si viva nel pieno “dell’Economia dell’Entertainment”, di cui la Disney è autorevole capofila, meglio assumere il contegno dell’autista dell’autobus de “Il Giorno della Civetta” di Leonardo Sciascia, dove, interrogato dagli inquirenti, prova a convincere e a convincersi di non aver visto nulla dell’omicidio di Salvatore Colasberna avvenuto sui gradini del suo mezzo, essendo concentrato a guidarlo. Lo scrittore siciliano, permeato per sua stessa ammissione dal pessimismo “stendheliano”, pare arrendersi di fronte alla nostra volontà di guidare badando solo al percorso della nostra strada. Sarà per questo che forse l’unico consiglio buono da dare ad Andrea Belotti è quello di non tentare troppo la fortuna, non dia retta a chi da anni sostiene come questa appartenga agli audaci, poiché essa sovente temo sia riservata alla tentazione. Così almeno racconta il Libro dei Libri a proposito di un fatto accaduto nel “Giardino dell’Eden”, e auspico alla Disney non dia noia la citazione biblica. Ah, maledetta noia.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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