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Il sogno dei fondi americani

Il sogno dei fondi americani - immagine 1

Torna l'appuntamento con Loquor: Carmelo Pennisi analizza un altro tema caldo del nostro calcio

Carmelo Pennisi

“Oggi nessuno ha la

più pallida idea”.

Zygmunt Bauman

 

Dopo la sbornia araba, fatta di cicchetti più virtuali che realizzati concretamente, ora è il momento dei fondi statunitensi interpretare la parte dei salvatori della patria del calcio italiano. Tutti li sognano e li desiderano cercando di mettere in bella mostra il meglio delle loro mercanzie, dimostrando ad occhi attenti come il calcio nostrano non si misuri più solamente nei suoi volumi, nei suoi vuoti e nei suoi pieni, ma si identifica sempre più spesso con messaggi e immagini, in una sorta di disarticolazione e polverizzazione degli elementi che tradizionalmente lo connotano. Qualcuno ha parlato, riguardo alla auspicabile palingenesi della nostra Storia, di una “nuova estetica dello spazio, che potremmo definire del provvisorio, dei media, della pubblicità e dello spettacolo, e sicuramente anche della comunicazione”. Siamo, in parole povere, nella cosiddetta “società liquida” preconizzata da Zygmunt Bauman, dove le opinioni varie risalenti all’estetica del “bar” si trovano drammaticamente fuori posto allorché si vogliano per forza usarle come strumento di analisi della situazione del calcio contemporaneo.

 

La maggioranza dei giornalisti sportivi fatica a sganciarsi dal mondo del calcio pensato e ripensato nel secolo scorso, e fornisce, a corredo delle notizie, analisi dai connotati somiglianti alle danze tribali a cui gli indigeni nord americani affidavano le loro speranze affinché cadesse la pioggia, sotto la vista stupita dei “Padri Pellegrini” destinati a colonizzare quella parte d’America, spazzando via un sistema antropologico ormai diventato segno di superstizione desueta. Il risultato è una pubblica opinione italiana completamente diventata asincrona rispetto alle sfide in corso nella società. Vincere sta diventando sempre di più un aspetto marginale, rispetto alle esigenze di commercializzazione di un “prodotto calcio” in continua perdita di valore in un’Italia ancora rintronata dalle conseguenze economiche derivanti dal parziale blocco delle sue attività produttive durante la pandemia, e ora annichilita dal vertiginoso aumento del costo delle materie prime causate anche, e non solo, dai disastrosi avvenimenti della guerra in Ucraina. Il calcio, sarà bene tenerlo sempre a mente, non è una “scenografia” indipendente da un contesto generale, ma è anzi una spia particolarmente significante di quest’ultimo.

Ragionare su una perdita di 70 milioni di utenti, rispetto al campionato scorso andato in onda su Sky, sulla piattaforma Dazn, vuol dire mettersi davanti ad una situazione di una Lega Serie A ben lontana da essere l’ottimo investimento di cui vanno blaterando alcuni nostri dirigenti sportivi e autorevoli commentatori da “prima pagina”, nella speranza di far cadere il gonzo americano, come da stilema della famosa gag di Totò diventata nel tempo stereotipo, nella vendita della Fontana di Trevi. Ma i fondi americani, che gonzi naturalmente non sono, sorridono di fronte alla tradizionale sicumera italica “dell’essere i più furbi di tutti” e intanto provano ad apparecchiare il proprio piatto nella tavola del “Recovery Fund” approntata per chiunque avesse voglia, e le giuste “vie” relazionali, di approfittare della pioggia di soldi cascata sul Paese che fu di Machiavelli (si starà rivoltando nella tomba nel vedere quanto i suoi discendenti stiano diventando sempre più fessi), con cui fare investimenti a costo zero perché ripagati dalla fiscalità generale dei poveri disgraziati con la ventura di nascere in Italia negli anni a venire. Se si guarda, ad esempio, su tutte le trattative in corso per la cessione della proprietà del Milan, a risaltare è il battere il ferro sul chiodo della costruzione del nuovo stadio e delle infrastrutture ad esso collegato, fulgido motivo per cui il fondo “Elliot” vorrebbe rimanere con delle quote societarie in caso di cessione del Milan. Fanno sorridere tutti quei paroloni in corso di uso a riferimento del fascino del brand Milan, vero specchio per le allodole di un Paese oramai disposto a credere a qualsiasi cosa basta sia raccontata bene e in modo martellante.

Eh sì, perché questo fantasmagorico brand facile da impiegare e monetizzare sta trovando finalmente un vero compratore, da quando dieci anni fa Silvio Berlusconi si è stancato di averlo, solo nel momento, guarda caso, in cui i soldi del “Recovery Fund” si stanno materializzando nel BelPaese. Siamo davanti all’inizio di un’autentica rapina raffinata e ben pensata, e gli anglosassoni sanno bene di cosa si parla essendo stati gli inventori della “Patente Corsa” (già, i pirati non li ha certo inventati Johnny Deep). Mi perdoni Mario Sconcerti (giornalista stimabile sotto molti aspetti), ma ha un po’ il sapore di comicità involontaria quel suo profetizzare un calcio italiano che starebbe andando “verso una ricchezza maggiore “trasformando improvvisamente l’Italia in un “Paese conveniente”. E’ chiaro come il giornalista toscano dissenta dai malumori del presidente della sua amata Fiorentina, il quale descrive senza tanti giri di parole un calcio italiano seduto sopra una montagna di debiti, in cui “i club – continua Rocco Commisso – hanno l’abitudine di usare i soldi degli altri e che non rispettano le scadenze, facendo mercato con i soldi risparmiati”. In una intervista rilasciata all’autorevole “Financial Times” il vulcanico tycoon americano di origini calabresi sostiene come l’Inter abbia “vinto il suo scudetto senza pagare gli stipendi”, scatenando un’immediata reazione del club meneghino dettosi subito pronto a querelare il patron della Fiorentina.

Mentre si aspetta l’Inter mantenere la promessa della querela (a oggi non se ne ha notizia, e ciò fa pendere la bilancia a favore dei commenti al vetriolo di Commisso), la polizia francese ha fatto irruzione nella sede del Lille, in un’operazione che riguarderebbe anche il trasferimento di Victor Osimhen al Napoli, inquinato da una evidente plusvalenza fittizia, giudicata un fatto non perseguibile dalla giustizia della Federcalcio italiana. “La valutazione di un giocatore è soggettiva”, è stata la parodia, travestita da motivazione della sentenza, di una Corte Federale perfettamente allineata al “sentiment” di un Paese da decenni soddisfatto di sguazzare nel mare magnum del soggettivismo, dove ogni cosa può essere resa possibile basta essere sufficientemente spregiudicati e forniti di faccia di tolla. Nella realtà soggettiva, sempre mobile e plasmabile, i fondi di investimento trovano il giusto concime per moltiplicare a proprio piacimento i loro denari. Intanto comincia ad impazzare il calcio mercato e le lancette di ogni orologio, incuranti dello scenario descritto fino a d ora, si spostano inesorabilmente in quell’indietro dove pagare 12 milioni di euro un giocatore (22 miliardi di vecchie lire) ai tifosi sembra una cosa del tutto naturale, anzi da pretendere da proprio presidente a cui è stato assegnato il sacro compito di far vincere la propria squadra del cuore.

Bisogna capirli i tifosi, sono ancora abbacinati dalle operazioni di Kylian Mbappe’ ed Erling Haaland che insieme cubano un miliardo di euro, diritti di immagine esclusi e totalmente a loro favore. Cosa vuoi che siano, dunque, 12 milioni di euro? “ Cacciali fuori presidente!”, altrimenti levati dalle balle e procuraci il sogno americano, fino a ieri affidato alle suggestioni arabe. L’instabilità spettacolare  ha sostituito la sacralità e la permanenza, tutto è liquido per favorire la fruizione dal sapore mercatista dello spettacolo. Siamo diventati, noi tutti che partecipiamo all’evento calcio, astrattismo puro, invisibili alla Storia. Siamo il “resto” di una Storia un tempo totalmente nostra e ora in vendita ad un disegno americano che, come tutti i disegni a “Stelle e Strisce”, potrebbe metterci un attimo a mettere un tratto definitivo di matita e scappare via senza nemmeno porsi il problema delle macerie e delle illusioni lasciate dietro. E’ la cultura americana, bellezza, ovvero quella particolare sintonia con il mondo pronta a ridurre di un milione di abitanti una città come Detroit, solo perché le automobili di “Motor City” hanno finito di dominare il pianeta. La Detroit di interi quartieri abbandonati in un batter di ciglia è il perfetto manifesto della forza e della spietatezza dell’archetipo americano di riferimento.

Non si tratta di fare antiamericanismo di maniera, ma solo di prendere in esame la possibilità di non consegnarci ad altre culture molto diverse dalla nostra senza nemmeno provare a combattere. Senza minimamente prendere in esame il rovescio inquietante di una medaglia di cui si vuole vedere solo il lato buono, pur di ritornare a vincere qualche partita in più. Andare  a festeggiare con le bandiere al vento una vittoria in una coppa europea, temo non cancellerà i problemi fin qui evidenziati, perché più di una vittoria si avrebbe bisogno di una idea. La necessità dell’arte, e il calcio è arte, consiste nel ricordare come un tempo si è avuta un’idea. Non tradirla è il compito che ci spetta e tutto il resto è vanità.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

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