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Il VAR e la Mano de Dios

Il VAR e la Mano de Dios - immagine 1
Torna l'appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Era una battaglia, ma nel

 mio campo di battaglia”.

Diego Armando Maradona

 

E’ il 51nesimo di uno dei quarti di finale di un mondiale più carichi di significato di ogni tempo quello tra Argentina e Inghilterra, e Steve Hodge forte centrocampista dell’Aston Villa ormai promesso al Tottenham, ha appena alzato il pallone “Atzeca” a “campanile” nella sciagurata direzione di Peter Shilton, autentica leggenda del calcio inglese. La difesa dei “Bianchi” d’Inghilterra (Kenny Sansom, Gary Stevens e Terry Fenwick) è stata completamente tagliata fuori e non le resta che guardare Shilton alzare il pugno verso il cielo nel tentativo di raggiungere il pallone verso cui anche Diego Armando Maradona si è catapultato, saltando nettamente più in alto del portiere del Southampton. Il “Diez” argentino compie il miracolo di fare rotolare il pallone verso la rete con quello che nella frenesia di una diretta di una partita di calcio a tutti sembra un incredibile colpo di testa. Il direttore di gara, il tunisino Alì Bin Nasser, sta per convalidare il gol, mentre Maradona corre come un cavallo imbizzarrito urlando “gol! gol!”, seguito da “Checho” (Sergio Batista) stranamente preoccupato a guardare in direzione di Bogdan Dochev, il guardalinee bulgaro, rimasto immobile nella chiara intenzione di richiamare l’attenzione del direttore di gara. I giocatori inglesi urlano a Bin Nasser che Maradona ha segnato con la mano, che il gol è chiaramente da annullare. L’arbitro tunisino ci pensa un attimo e, vedendolo immobile invece che intento a rientrare al centro del campo, decide di andarsi a consultare con il collaboratore. “Alì, quel figlio di puttana ha segnato con la mano. Il gol è da annullare. E se vuoi sapere il mio parere, è proprio partito con l’intenzione di fregare noi e il mondo: non è stata una cosa dettata dall’istinto, quello voleva simulare un colpo di testa. Se fossi in te non mi limiterei semplicemente a non dare il gol. Quello va punito severamente. Siamo ai quarti di finale di un mondiale, ci stanno guardando da ogni angolo del pianeta. Sarebbe opportuno dare una lezione di etica e di lealtà sportiva. Se non mi credi consulta le immagini al VAR”.

Bin Nasser sosta davanti alle immagini per ben 5 minuti, vuole essere sicuro non tanto del colpo di mano, immediatamente rilevato, ma della intenzione antisportiva del fuoriclasse argentino. Al 56esimo di Argentina-Inghilterra, il gol viene annullato e Maradona viene espulso per grave condotta anti sportiva. Poi Gary Lineker segna all’81esimo il gol della vittoria e l’Inghilterra vola in semifinale. No, non è distopia (o forse sì) quella scorsa in queste poche righe, è l’aver riscritto la storia con l’ausilio della tecnologia, capace di ridisegnare e ricondurre tutto alla normalità riuscendo a sconfiggere l’epica prodotta dagli uomini straordinari, a depotenziare, sia in campo che sugli spalti, quel delirio unico e irrepetibile dell’impatto emotivo di un gol, capace, secondo il talento letterario di Manuel Vazquez Montalban, di urtare e sollevare la rete avversaria allo stesso modo di “come i migliori venti sollevano le gonne alle ragazze in fiore”. Se Bin Nasser avesse avuto l’ausilio del VAR o anche solo una foto istantanea (fra le molteplici presenti nello sterminato archivio di “Getty Images”) dell’incontro  tra il pugno di Shilton  e quello di Maradona nel cielo dello “Stadio Azteca” di Città del Messico, la rete del riscatto di un intero popolo sarebbe stata semplicemente annullata. Niente più frasi ad affetto, niente metafore della vita, niente pagine di grande letteratura, e si spengano le luci pure su un film candidato all’Oscar. Gli inglesi si sarebbero ripresi di nuovo le Falkland/Malvinas, stavolta senza sparare un solo colpo, e il genio di “Villa Fiorito” sarebbe finito anzitempo negli spogliatoi senza poter mai più rivelare al mondo “il gol del secolo”, realizzato esattamente quattro minuti dopo il suo colpo di mano.

Le macchine sono così, danno un senso di sicurezza mentre annullano l’uomo e il suo libero arbitrio, rendendo quasi inutile uno sport come il calcio nato per ricordare, più di tante altre cose, la vita come una infinita parabola della scelta. Cominciano con il rapimento di Elena da parte di Paride i tormenti ventennali di Ulisse tra “L’Iliade” e “L’Odissea”, donando nei secoli ai suoi innumerevoli lettori la certezza di essere liberi, anche di fronte a Dio o a degli dei, nel transitare  questo mondo. Una rapina, realizzarla o anche solo progettarla, è sovente il chiaro segno di un bisogno o di un riscatto, è essere convinti, come “Robin Hood” e la sua compagnia della “Foresta di Sherwood”, di teorizzare il rubare come una  opzione legittima e finanche necessaria. “Siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla?”, si chiede Zygmunt Bauman a proposito del libero arbitrio, e qualunque sia la risposta alla quale si giunga, il grande sociologo polacco non esita a ricordare il principale compito, dal quale non possiamo derogare, di dare una forma alla nostra vita. Vivere o morire, riscattarsi o dannarsi richiede un necessario spazio di libertà e un fluire di emozioni, senza i quali l’orrore esistenziale di George Orwell (“siamo impegnati in un gioco che non possiamo vincere. Alcuni fallimenti sono migliori di altri, questo è tutto”) prefigurato nel suo “1984” passerebbe dalla pagina letteraria alla realtà.

E se Omero, Orwell e Baumann hanno ragione, allora l’affermarsi del “Video Assistant Referee” (VAR) ha già tolto, e sta continuando a togliere, innumerevoli pagine di racconti dello sport più amato e seguito al mondo dal libro della vita. Il giocatore segna un gol e invece di far “esplodere” i cuori li “ferma” collegandoli improvvisamente, attraverso gli occhi, nel punto lontano dove sosta una macchina in procinto di emettere una sentenza. L’abbraccio dei giocatori subito dopo il gol ormai è diventato parodia, quasi uno sberleffo al sentimento, poiché finito l’abbraccio comincia l’attesa del sapere se fu vera gloria. Il calcio è amato data l’accettazione, sin dalla sua genesi, di ammettere l’elusione della regola come una delle possibilità per vincere contro la forza del talento e del denaro, e te lo dice con una chiarezza che stordisce ma non disorienta: “io ti posso rapinare, amico. E’ un mio diritto, sai? Altrimenti tutto rimarrebbe immobile nella tua ricchezza e nella mia povertà. E allora perché venire al mondo”? Maradona fa il “ladro” (“chi ruba al ladro ottiene cento anni di perdono”. Maradona dixit) in mondo visione, ma dopo solo quattro minuti si carica sulle sue spalle una nazione intera e mostra che anche di una bellezza immanente come il “Tango” gli argentini sanno vivere, perché la salvezza è varia e affatto soggiogata alla predestinazione. Il fuoriclasse sa come nessuna “teoria delle stringhe” di “quantisca” memoria potrà levargli quella “Mano di Dio” e allora fa quasi sessanta metri, palla al piede, in soli dieci secondi accompagnato dalla voce sincopata dall’emozione di Victor Hugo Morales, e l’unica cosa che non salta come un birillo è la porta inglese dove va a depositare un pallone immortale, messo in questi giorni all’asta (base di partenza 3 milioni di sterline) da Alì Bin Nasser.

“Barrilete cosmico” (aquilone cosmico) lo incorona il commento televisivo più famoso della storia del calcio di Morales, che si scusa perché gli viene da piangere in diretta. “Dieci secondi sono un lasso di tempo lungo nella vita di un eroe” dirà in seguito Jorge Valdano, privilegiato nell’aver seguito, correndogli accanto, quei sessanta metri in cui tutta la storia del calcio stava andando ad inchinarsi. “Hanno provato a fermarlo fallosamente in tre occasioni, ma lui vedeva solo il traguardo - ha ricordato di recente Bin Nasser -. Ogni volta resisteva alle cariche degli inglesi ed io davo il “vantaggio”. Ero convinto che i difensori lo avrebbero abbattuto ed ero già mentalmente pronto a fischiare il rigore, ma con mia enorme sorpresa dribblò tutti, difensori e portiere, segnando un gol meraviglioso. Aver concesso quei “vantaggi” mi rende orgoglioso”. Ah, il libero arbitrio quanto fascino possiede, sarà perché è collocato perennemente in bilico tra demonio e santità, sarà perché una macchina non potrà mai capire la bellezza rarefatta del calcio, dove il cuore pulsante risiede in tutto ciò che non si vede. Siamo nati con un’attitudine alla felicità ma con il coraggio di accettare la “Croce”, e senza la libertà saremmo poca roba. Dieci secondi, dieci tocchi, e un eroe con il numero dieci dovrebbero convincere i padroni del vapore del calcio di lasciar andare ogni tanto l’estro contromano, e pazienza se ogni tanto ci scappa un gol mondiale fatto con la mano. Sempre meglio di aver costretto le nostre emozioni ad inchinarsi davanti alla logica della tecnica. “Un giorno – ha scritto Albert Einstein – le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”. Sarebbe bene, a questo punto, correre a rivedere il gol di Maradona “rubato” agli inglesi. E rivederlo ancora, e ancora, e ancora. In bocca a lupo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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