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Qatar, il calcio e i suoi affluenti influenti

Qatar, il calcio e i suoi affluenti influenti - immagine 1
Torna l'appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi

“I corrotti sono diventati

adoratori di se stessi”.

Papa Francesco I

 

Quando Mohamed A.J. Al Thani, ex ministro dell’economia del Qatar, decide di scrivere un libro su un eroe nazionale qatarino, creato quasi dal nulla cosmico, lo verga in lingua inglese e non in arabo, e lo fa pubblicare da una delle tante case editrici i cui uffici affacciano sulla “Pine Street” a Londra. Jassim bin Mhuammad bin Thani, così si chiama il nostro eroe, viene descritto come il “patriarca dei tempi antichi” e, come ogni padre della patria che si rispetti, non lesina i suoi sforzi a combattere contro l’universo mondo, fossero Ottomani, inglesi, o riottose tribù della regione, e non certo “per la gloria personale, ma per vedere i più deboli liberi di nuovo”. Il libro è scritto in inglese perché il fratello dell’attuale emiro Tamim bin Hamad Al Thani, ha chiaro in mente a quale pubblico si stia rivolgendo. Sente il bisogno, da ex studente della “Georgetown University”, di confrontarsi con quell’occidente dove vengono spesi gran parte dei ricchi proventi del gas gestiti dalla sua famiglia non come una riserva di Stato, ma come un privilegio da satrapia assoluta. E’ “un tengo famiglia” molto ricco e privilegiato quello degli Al Thani, tutti collocati tra i massimi posti e i minimi posti di potere del piccolo emirato, e tutti con un occhio sempre rivolto all’occidente, ai modi di vivere dell’occidente, alla parte più baciata dalla fortuna dell’occidente. Finanziano costruzioni di moschee per i quartieri europei abitati dal proletariato islamico, alla ricerca di una buona sorte che se il Corano non permette in questa vita certamente assicura nell’altra. Basta non sottrarsi al dovere di rivolgersi almeno cinque volte al giorno in preghiera rivolti verso “La Mecca”; in caso contrario vorrebbe dire essere inadempienti in modo grave al cospetto del volere divino.

E quando la religione diventa semplicemente il passepartout consegnato ai poveri per spiegare  perché tanti non hanno niente e pochi hanno tutto, allora è facile mistificargli anche il calcio come una rivelazione del divino riguardo ad un possibile e molto temporaneo riscatto. Ci si convince che il Jassim bin Mhuammed bin Thani descritto dal principe delle maree Mohamed sia esistito veramente per la gloria e il riscatto dei poveri,e non una brutta copia del west di John Wayne trasportato fra le dune di un deserto che più arido non si può a ricostruire singolar tenzoni mai avvenute se non nella testa dell’allora molto giovane rampollo Al Thani, ancora esaltato dalle bollicine estatiche regalate dall’aggiudicazione dei mondiali di calcio del 2022. E’ il 3 dicembre del 2010 quando la FIFA capitanata da Joseph Blatter, una delle facce di bronzo più catastrofiche mai venute al mondo, un Will Coyote al contrario a cui riescono tutte le malefatte venute in mente, riesce a portare in porto un piano strategico “mission impossible” anche per il “Lupo Cattivo” dei “Tre Porcellini”, “Silly Simphonies” e “Cappuccetto Rosso”: assegna contemporaneamente i mondiali di calcio 2018 e 2022 a Russia e Qatar. Una FIFA da far venire fifa persino al prode cattivo dysneiano “Gambadilegno” e al “Governatore Ratcliffe” del cartoon “Pocahontas”. E’ un occidente disorientato, quello sul finire del 2010, sfiancato dal fallimento dei fallimenti della sua storia “mercatista” (“Lehman Brothers” chiude i battenti buttando  in mezzo ad una strada con annessi scatoloni i suoi dipendenti, e l’insolvenza a grappolo dei mutui subprime sta radendo al suolo ogni certezza granitica dei mercati finanziari), e il buon Blatter, con i suoi sodali dell’istituzione calcistica mondiale, fiuta come sia il momento giusto per “vendersi” bene a quei Paesi in cui l’opinione pubblica è solo un optional da romanzo apologetico dell’onirico Mohamed. E se la democrazia e la giusta redistribuzione della ricchezza  fanno parte esclusivamente di una drammaturgia retorica letteraria, se il “Capitale” e la “Rerum Novarum” sono poco più o poco meno di una barzelletta ben raccontata da quei mattacchioni degli europei, si capisce come l’unico approdo possibile nell’orizzonte esistenziale degli Al Tahni sia “L’Avvocato del Diavolo” di Al Pacino e Kenu Reeves, dove più che l’inconsistente balla di Jassim, l’eroe morto in pace nel suo letto perché un uomo giusto, prende largo l’unico sentimento di chi ha fatto tanti soldi giocando due misere colonne del “SuperEnalotto”: la vanità, il peccato preferito dal diavolo del bel film di Taylor Hackford.

Lo immagino Sepp Blatter, con i radi capelli impomatati e il sorriso da congierce da banca svizzera, telefonare a Nicolas Sarkozy, allora inquilino principe dell’Eliseo, e organizzare pacco, contro pacco e contropaccotto ad un Vecchio Continente decisamente in affanno e alla ricerca così disperata di soldi da far temere persino le scarselle di fortuna dei poveri dediti all’elemosina(eh sì, è proprio vero: l’euro doveva renderci tutti più ricchi e felici). Il pranzo del 23 novembre 2010 organizzata dal President de la Republique è un capolavoro da gangster movie stile Martin Scorsese e  Brian De Palma. Ci sono tutti quelli desiderosi di prendere un po’ della fortuna proveniente dal sottosuolo e dai fondali del Qatar, e un presidente francese talmente ambizioso e spregiudicato da trasformare una cena luculliana e raffinata in un tavolo da poker. Al confronto “i delinquenti veri”(svariati presidenti di club della Serie A) di cui parla Giovanni Malagò  con Andrea Zappia nell’intercettazione rivelata da “Repubblica” è poco più di una favola narrata ad un pubblico avvezzo da anni a storie da “Gomorra” o da “Piovra”. A quel pranzo, dove viene convocato anche Michel Platini come influente dirigente della FIFA, i qatarini arrivano con un mezzo dente avvelenato e con le idee ben chiare su cosa debbano fare per ottenere i voti decisivi per portare le nazionali più prestigiose del mondo a giocarsi la storia tra le dune dell’eroico Jassim. Incarogniti dal fallito assalto alla proprietà del Manchester United(andata poi alla famiglia Glaser), Sarkozy non ci mette molto a convincerli a rilevare da “Colony Capital”(anch’essi presenti al desco dell’Eliseo) il Paris Saint Germain e a promettere un pacchetto di investimenti nel suolo francese, anche perché improvvisamente qualche settimana dopo a Zurigo escono fuori i voti decisivi che fanno vincere al Qatar la corsa mondiale. Il nuovo disegno politico/commerciale di “Sarkò” con il medio oriente si apre con quel pranzo pre natalizio, si snoda attraverso l’attacco alla Libia del marzo del 2011 e si conclude con l’arrivo sulla plancia di comando del PSG, sua squadra del cuore(messo un cuore ce l’abbia) di un altro personaggio uscito più da una opulenta club house di un circolo esclusivo che dalla saga apologetica di Jassim: Nasser Al Khelaifi, l’uomo della provvidenza del calcio europeo e amico fraterno di Gianni Infantino, nuovo dominus del calcio mondiale.

Eh sì, perché i personaggi protagonisti di questa bizzarra storia(Sarkozy, Blatter, Platini), da sfavillanti e potenti personaggi della elite mondiale si sono trasformati nel tempo, secondo la giustizia elvetica e transalpina, in una sorta di associazione a delinquere così maldestra e sfortunata, da far pensare alla Walt Disney di ritirare per sempre dalle scene la mitica “Banda Bassotti” per manifesta inferiorità. Tutta questa rotta somigliante in modo impressionante a quella dell’esercito napoleonico reduce dal tentativo di conquistare la Russia zarista, lancia nel firmamento siderale del calcio l’aurea da ragioniere di Gianni Infantino, con annesso trasferimento di residenza in Qatar per se e la sua famiglia. E pur abitando in quegli ameni luoghi, il nostro eroe proprio non si accorge dello sfruttamento e delle morti degli operai per costruire gli stadi, della mancanza di una qualsiasi parvenza di libertà, dei diritti civili ostentatamente e continuamente violati. Robetta in confronto ad aver chiuso tutte e due gli occhi, in modo così deciso da far impallidire il“Cieco di Gerico” di evangelica memoria, di fronte alle ripetute violazioni del “FairPlay Finanziariario” del PSG all’epoca in cui era Segretario Generale dell’UEFA. “Sono solo affari, Michael”, è la frase  del “Padrino” di Francis Ford Coppola trasmessa in filodiffusione continua tra le stanze di Nyon, sede mondiale di quel gioco ammaliante per gente del calibro di Borges, Galeano, Camus, Pasolini, e da loro messo in rima con frasi diventate immortali. C’è stato un tempo in cui gli intellettuali italiani esistevano ancora, oggi invece abbiamo una loro caricatura così occupata a dire ogni giorno quanto sia stronzo Putin(si sa, “repetita iuvant”) da aver scansato annoiati la questione mondiali qatarini. L’emirato è un punto troppo lontano dalle loro terrazze(sovente talk televisivi) da “Grande Bellezza” sorrentiniana, e poi l’Italia non c’è neanche e quindi, a dirla alla Pino Daniele, “ma chi se ne fotte”. Lasciamo a Fiorello accorgersi a pochi giorni dalla kermesse mondiale quanto sia sporco, brutto e cattivo il Qatar. Quando il gioco si fa ridicolo e surreale meglio scendano in campo i saltimbanchi e gli avventizi scrittori di storie apologetiche mutuate dal west americano. In fondo siamo tutti atlantisti, e anche questo è saggio ripeterlo sempre, affinché tutti sentano e riferiscano a chi di dovere. “Slava Ukraini!” e buona visione del gioco più bello del mondo.

 

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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