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LASCIARCI LE PENNE

Ancora sul cammino di Superga: ben più duri di un fiato di voce

Ancora sul cammino di Superga: ben più duri di un fiato di voce - immagine 1
Torna un nuovo episodio di "Lasciarci le penne" la rubrica di Marco Bernardi
Marco P.L. Bernardi
Marco P.L. Bernardi Columnist 

Luci a San Siro, Roberto Vecchioni, dall'album Parabola 1971 – Ducale DUC 2

Due settimane fa ho scritto per Lasciarci le penne un pezzo sul 4 maggio, cronaca emozionale della giornata raccontata attraverso suggestioni in sequenza. Alcuni mi hanno fatto notare che non avevo nemmeno accennato all'arcinota polemica nata dalle improvvide frasi pronunciate da qualcuno sul pullman granata, alla vista dei tifosi: provvedo quindi a colmare quella lacuna, specificando che l'articolo odierno è l'ideale completamento del precedente Cammino di Superga e con esso si fonde nel finale in un unico flusso di pensiero. Ricorda un antico amore con il rimpianto che mescola la nostalgia per la donna perduta con quella per un'età passata, la gioventù libera e priva di compromessi. Quello che oggi è conosciuto come un brano struggente era in origine un brano arrabbiato, per certi versi simile all'Avvelenata di Guccini: dura protesta contro i poteri forti che impongono le regole e contro lo stesso cantautore nel momento in cui, accettandole, si rende conto di snaturare la propria essenza. Un'altra caratteristica accomunava la canzone a quella di Guccini, la crudezza del testo falcidiato dalla censura, che ne cambiò i connotati. Per esempio, si racconta che il primo verso fosse: Hanno ragione, sono un coglione. Difficile far passare un incipit del genere nel 1971: troppo strette le maglie della morale comune, troppo agguerriti i perbenisti. Così la parola incriminata sparì e quello che doveva essere un urlo si trasformò in un sussurro: Hanno ragione, hanno ragione. Mi han detto: È vecchio tutto quello che lei fa.

Questa sera voglio far mio il verso originale, quello censurato, e usarlo come risposta agli ignoti che a Superga hanno ricambiato l'affetto della gente con frasi sprezzanti e offensive. Personalmente non m'importa dei loro insulti, che lasciano il tempo che trovano e nuocciono più a chi li ha proferiti che a coloro ai quali erano diretti; pronunciati, peraltro, in maniera sotterranea, non ad alta voce: frasi captate, estrapolate da una registrazione casuale. Trovo pericoloso scatenare assurde cacce alle streghe, com'è avvenuto nell'immediatezza della diffusione del video: se il pettegolezzo la fa da padrone possono andarci di mezzo anche gli innocenti. A Superga io non applaudivo il pullman della squadra perché non ero lì per fare festa: facevo parte dei molti che erano saliti per celebrare il ricordo e un modo di essere. Pertanto non posso che rispondere agli ignoti con le parole del Professore: avete ragione, sono un coglione, è vecchio quello che faccio. Sono vecchio perché credo in un calcio che non esiste più, leale e terroso, in cui i valori tecnici possono essere controbilanciati dalla volontà e dalla grinta.

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Perché sono fedele e penso che il ricordo della squadra che perì a Superga unisca tutti i tifosi del Toro, i vivi e i morti, convenuti in un unico luogo e in un unico momento. Perché credo che i tifosi possano, se lo ritengono, contestare la squadra, specialmente se hanno pagato un biglietto per seguirla, cosa che li rende fruitori di un servizio che hanno il diritto di giudicare. Il 4 maggio scorso, come ogni anno, noi c'eravamo: i soliti vecchi tifosi del Toro che degli insulti se ne sbattono e che sanno dare il giusto valore alle persone e alle situazioni. Tra un anno noi saremo ancora lì, tutto il resto sarà scivolato via. Siamo ben più duri di un fiato di voce, ci va altro per scalfirci.

Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore.

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