C'era sempre più gente a mano a mano che ci si avvicinava all'imbocco della strada di Superga: uomini, donne, bambini e perfino cani con addosso un unico colore.
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Poi l'affollarsi della gente alla partenza delle navette, la coda per prendere la tranvia Sassi-Superga (la mitica Dentera), i posti disponibili che esauriscono in un batter d'occhio.
Già, la Dentera... il mezzo di trasporto ideale per quella salita: il suo incedere lento è intriso di ricordo, come una macchina del tempo che riporta nel passato.
Sedili in legno, l'avanzare incerto che ti fa pensare: "Ce la farà a percorrere il prossimo metro o alzerà bandiera bianca e ci abbandonerà a metà strada?". Si può credere di essere veramente ritornati nella prima metà del Novecento e perfino i cartelli Vietato sputare rimandano ad altre epoche.
Poi la lenta processione fino alla lapide dei caduti, uno scorrere composto di gente comune alla quale si mescola, in incognito, qualche vecchia gloria granata. Qualcuno li riconosce, gli eroi del passato, si dà di gomito e bisbiglia: "E' lui!"; vorrebbe scambiare due parole, ma non osa disturbare.
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Perché in quel lento avanzare si è tutti uguali, e poi a Superga non si sale per i vivi.
Gli uomini, le donne e i bambini, un silenzio compreso, poca voglia di chiacchierare.
In quel giorno non si va per fare rumore, ma per celebrare un ricordo ed un modo di essere, il ricordo di un calcio che non esiste più, leale e terroso, in cui i valori tecnici possono essere amplificati dalla volontà e dalla grinta. Un mondo in cui non esistevano divi e folle osannanti, ma uomini fra gli uomini. Un altro mondo.
Celebrare un modo di essere, l'antica fedeltà al ricordo della squadra che unisce tutti i tifosi del Toro, i vivi e i morti, convenuti in un unico luogo e in un unico momento.
Sabato scorso, come ogni anno, è stato bello esserci, per vivere vecchie sensazioni, per ricordare vecchi ricordi, per sentirci i soliti vecchi tifosi del Toro. Una splendida giornata, sempre con il sole in faccia fino a sera, finché la sera di nuovo sarà.
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