“Vorrei tornare bambina e
Loquor
Firenze, il nuovo stadio, l’ombra araba
Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi
al mio bosco magico”.
Valentina Guidi
Il “Public Investment Fund” (PIF) ha decisamente sostituito la “Qatar Sports Investment” nei sogni calcistici degli italiani; infatti, la nostra Serie A sembrerebbe sia entrata sempre più prepotentemente nel “Saudi Vision 2030”, il piano strategico dell’Arabia Saudita per diminuire la sua dipendenza economica dal petrolio diversificando gli investimenti. In questo quadro strategico pare stare per essere cooptata anche la Fiorentina, in queste ore protagonista anche dello stanziamento di quasi 100 milioni messi a disposizione dal “Recovery Fund” per la ristrutturazione dello stadio “Artemio Franchi”, opera giudicata necessaria per la città di Firenze e nell’ambito del rilancio dell’economia nazionale. Ci sarebbe solo da ridere se la situazione socio/economica non fosse drammatica, ma ormai in Italia ci si è abituati a tutto e soprattutto a credere a tutto. Nel Clima da “realismo poetico” (ovvero quando la propaganda fa diventare reale il surreale) inaugurato a suo tempo da Joseph Goebbels, diventa difficile notare alcune contraddizioni presenti nelle notizie fatte circolari vorticosamente nel tempo “dell’Economia dell’Attenzione”. Sarà pure vero come i tragici accadimenti in Ucraina cambieranno qualche assetto geopolitico nel Vecchio Continente, ma pensare ad un intervento della famiglia reale saudita nella Fiorentina, che avrebbe effetti dirompenti negli assetti di potere italiani e nella politica commerciale filocinese ormai abbracciata da tempo, dovrebbe apparire un po’ troppo anche alle menti più inclini al miraggio passibile di realtà.
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Ma la domanda cruciale dovrebbe essere: perché il fondo PIF dovrebbe investire i suoi soldi a Firenze? Quale sarebbe il ritorno dal punto di vista economico o di immagine, rispetto alle esigenze del “Sistema Paese” dell’Arabia Saudita? Amanda Staveley, figura centrale dell’operazione Newcastle chiusa per conto degli arabi, ha più volte dichiarato di aver valutato e poi scartato un eventuale acquisizione di Inter e Milan (“le strutture del calcio italiano sono disastrose e fare utili sarebbe quasi impossibile”), chiedendosi continuamente da dove escano le voci di un ingresso del PIF in qualsiasi realtà della Serie A. Se il concetto elaborato dal “Saudi Vision 2030”, a cui il fondo PIF è strettamente legato, è quello di diversificare gli investimenti per andare alla ricerca di nuove occasioni di moltiplicazione di ricchezza e di favorire una nuova fase economica post-petrolifera già in atto da qualche anno in Arabia Saudita, sarebbe alquanto contraddittorio puntare ad un calcio, il nostro, perennemente in asfissia persino di utili da reinvestire nei “roster” delle squadre.
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L’unico motivo per cui gli arabi sarebbero spinti a sbarcare nel calcio italiano sarebbe quello di un accordo politico a livello di governo, di cui al momento non si riesce nemmeno in ipotesi ad individuarne una ragione. Sarebbe, in parole povere, un ripercorrere l’azione si Nicolas Sarkozy che portò nel 2011 il Qatar a rilevare il Paris Saint Germain. Ma temo non ci sia un politico italiano al momento talmente lucido da avere una visione prospettica di un qualsiasi governo transalpino. Ma nella filosofia del “realismo poetico” basta un dettaglio per far ritornare su sogni e desideri, di conseguenza è comprensibile come con l’annuncio del rifacimento del “Franchi” abbia fatto ritornare di moda la vendita del club Viola agli arabi. Giocare sempre al rilancio verso l’alto è il leitmotiv in questo momento in voga nel calcio italiano, nella disperata ricerca di tornare se non ai tempi d’oro degli anni 80 e 90, almeno ad una dignità ritrovata di potenza calcistica continentale. Fa un po’ di tenerezza vederci persi nelle atmosfere da “Mille e Una Notte”, con la nostra stampa calatesi da tempo nei panni di una novella “Principessa Sherazade” intenta a raccontare ogni sera una storia al re persiano “Shahriyar”, rimandando il finale sempre al giorno dopo, per placare la sua rabbia. Ecco, è il finale che riesce difficile da individuare in queste storie arabe acquartieratesi nei tormenti del nostro sport nazionale, dove persino uno yacht battente bandiera qatarina ancorato dalle parte di Capri apre scenari sulla risoluzione della crisi di una squadra oggettivamente di secondo piano come la Salernitana. Si è tutti alla ricerca di un nuovo proprietario, di un possibile realizzatore di ogni nostro auspicio sulla squadra del cuore.
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Nei criteri di valutazione italici gli sceicchi arabi hanno sempre più soldi continuamente cavati dal loro fin troppo prodigo sottosuolo, e deve essere così se anche Mario Draghi in questi giorni si è recato nell’Emirato del Qatar per risolvere magicamente una preoccupante crisi energetica affermatesi con l’invasione russa in Ucraina. Tutto sembra congiurare a favore “dell’ abbiamo bisogno degli arabi”, il nostro biglietto vincente del “Superenalotto” giunto a risolvere ogni incubo e a rispolverare ogni utopia. Siamo asserragliati nel bunker della nostra crisi di valori e di idee di futuro, e come Adolf Hitler non riusciamo nemmeno a sentire i colpi di cannone delle armate sovietiche che si avvicinano a decretare la fine del “Reich Millenario”. Ci illudiamo come un buon lavoro di propaganda mediatica e qualche polvere di stelle distribuita a buon mercato, possa magicamente renderci nuovamente attrattivi e miraggio credibile di un qualche nuovo boom economico. Impauriti e anche un po’ altezzosi come quei nobili decaduti incapaci di comprendere le ragioni del declino, disperatamente proviamo a mettere in bella mostra qualche gioiello di famiglia come si fa alla fine di un’interminabile fila al “Monte di Pietà”.
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Abbiamo facilmente dimenticato come i soldi senza le idee servano a poco, ci stiamo “diluendo” nel tempo del terzo millennio senza ancora averlo compreso e avendo accettato scientemente di smarrire la forza sociale del calcio, che non è ristrutturare uno stadio per attirare il turismo o fare più utili. I soldi messi in campo dal Governo per lo stadio di Firenze obbediscono, ancora una volta, a logiche di tipo egoistico e territoriale, completamente scollegate dagli interessi del calcio nazionale nel suo complesso. Qualcuno, a livello istituzionale, ha rimosso dalla sua capacità di analisi come l’obiettivo di una buona gestione del calcio non sia la vittoria ricercata ad ogni costo ma la salvaguardia della “competizione”, scrigno esistenziale dove è riposto lo spirito ancestrale dello sport. La sconfitta in Champions League del super Paris Saint Germain, la cui storia è stata stravolta e narcotizzata dai gas dollari della famiglia Al-Thani, per mano del Real Madrid è la prova come lo spirito del gioco stia da anni letteralmente prendendo “a calci” le ambizioni sportive continentali dei qatarini, ai quali non è bastato nemmeno l’enorme investimento su Lionel Messi per portarsi finalmente a casa la “Coppa dalle Grandi Orecchie”. Pare che negli spogliatoi del “Bernabeu” Nasser El-Khelaifi sia stato letteralmente stravolto da una crisi di nervi, ed è stato sorpreso a picchiare pugni contro le porte e a lanciare ingiurie contro la terna arbitrale (perdere l’occasione di trionfare in Europa nell’anno dei mondiali di calcio organizzati dal suo Paese non deve essere un boccone amaro facile da mandare giù).
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Povero Nasser, nessuno gli ha spiegato come per vincere, nel calcio, i soldi sono una cosa necessaria, ma non vitale. Bisogna mettersi d’accordo con i suoi elfi, le sue ninfe, i suoi maghi e i suoi misteri. Provare a comprarseli vuol dire metterseli contro e quel punto non c’è proprio modo di schivarli. A quel punto, come recita un antico proverbio russo, “in ogni pozzanghera ci sono i folletti”. Dialogare con loro senza subito mettere mano al portafogli non sarebbe poi una così cattiva idea. No, non lo sarebbe affatto.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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