Culto

Caccia all’arbitro

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Torna l'appuntamento con le memorie granata: oggi sotto i riflettori il Torino 1970/1971. Vi ricordate cosa successe?

Il Toro 1970/71, sulla carta, non è niente male. In porta è appena arrivato il Giaguaro Castellini, in difesa il nuovo acquisto Zecchini si affianca a gente che non scherza come Cereser, Fossati, Lombardo, Poletti e Puia. Rosario Rampanti torna dal prestito al Pisa e si inserisce in un magnifico centrocampo con Agroppi, capitan Ferrini e il Poeta Claudio Sala. Davanti, a fianco di un Pulici fisicamente travolgente, ma che ancora deve ricevere la cura Giagnoni che gli trasformerà la carriera, arriva l’esperto Gianni Bui dal Verona e “E’ lui, è lui, è Gianni Bui” diventa una delle hit della Maratona. In panchina siede per il secondo anno Giancarlo Cadè.

Il campionato, purtroppo, sarà abbastanza deludente dal punto di vista dei risultati: solo sei vittorie, una marea di pareggi (dieci) e quattordici sconfitte, troppe. Escono da questo triste computo un 4-0 alla Roma e due grandissimi derby (ne parleremo prossimamente) conclusi con una vittoria per 2-1 e un pirotecnico 3-3 con due rigori di Cereser. Ci sono sicuramente delle colpe per quanto riguarda un rendimento non esaltante, ma ci sono anche una sfiga cosmica fra legni colpiti e reti subite nel finale e, soprattutto, una serie di arbitraggi allucinanti.

Già, gli arbitri, spesso croce e raramente delizia del nostro cammino di tifosi, quell’anno danno il peggio e Maratona e dintorni, già in stato di nervosismo per alcune prestazioni, si ritrovano a essere una pentola sul fuoco che, a furia di torti, bolle, bolle e bolle ancora fino a che, dopo una lunga escalation, fa saltare il coperchio e versa. Lo fa in un giorno ben preciso: 28 febbraio 1971. Ma vediamo come ci siamo arrivati.

Si comincia alla terza giornata, gara interna contro la Lazio, arbitra un giovane Michelotti per cui La Stampa spera che il suo numero di direzioni in serie A si limiti alla dozzina raggiunta in quel pomeriggio di ottobre. La giacchetta nera parmigiana fa il protagonista, si rapporta con arroganza ai giocatori e soprattutto tollera il gioco durissimo di Wilson su Pulici che, al 90’, dovrà uscire in barella, svenuto, dopo un colpo allo stomaco. E’ troppo: un gruppo di tifosi granata aspetterà l’uscita di Michelotti fuori dagli spogliatoi, costringendolo a rimanere lì un paio d’ore prima di decidersi a tornare a casa, masticando amaro per un pareggio ottenuto in inferiorità numerica (espulso Poletti) grazie a un colpo di testa del vecchio leone Puia.

Il turno successivo, a Vicenza, Fossati porta in vantaggio il Toro a 10’ dal termine. Sembra finalmente giunto il momento del primo successo dopo tre pareggi consecutivi, ma all’89’ Castellini viene caricato fallosamente da Falloppa, perde la palla e, cosa più grave, perde conoscenza dopo aver battuto la nuca a terra. Cinesinho si avventa sulla sfera e pareggia. “Ma si può?” si chiede sconsolato il curatore della moviola per il Corriere della Sera che si chiede retoricamente se l’arbitro Pieroni di Roma abbia visto poi la Domenica Sportiva per verificare il clamoroso errore. Anche se fosse, ormai è tardi. Altra beffa.

E’ un bel Toro, il migliore stagionale, quello che affronta la Fiorentina alla quinta giornata, però arriva un altro pareggio. Il colpo di testa di Gianni Bui pareggia il vantaggio di Longoni, ma Monti di Ancona, al 77’, ignora una clamorosa strattonata subita da Sala che si stava presentando davanti a Superchi.

Alla dodicesima, a Cagliari, si strappa lo 0-0 nonostante una discutibile espulsione da parte del romano Bernardis di Agroppi al 29’: doppia ammonizione dopo un fallo su Nenè, che però non viene punito per la reazione. Alla quattordicesima, a Catania, accade qualcosa di allucinante. Il Toro va sotto per una rete di Bonfanti a 20’ dalla fine e si butta disperatamente in attacco. A 4’ dal termine Agroppi viene steso in area da Buzzacchera. L’arbitro Vacchini di Milano va verso il dischetto, subito attorniato dai calciatori di casa, mentre il “Cibali” rumoreggia. Dopo un paio di minuti di sospensione per le proteste rossoazzurre, si può finalmente battere il rigore. Rampanti calcia forte, ma il portiere Rado intuisce e devia contro la traversa. La palla picchia a terra, per qualcuno al di là della linea, ma subito dopo lo stesso Serino è il più rapido a tuffarsi di testa e a mettere nel sacco. Vacchini indica giustamente centrocampo, ma ben presto viene nuovamente attorniato dai calciatori etnei, nonché da qualche personaggio che stazionava a bordo campo, si prende qualche spinta e la rete convalidata viene misteriosamente annullata. Agroppi è espulso per proteste. Negli spogliatoi le versioni riguardanti il motivo dell’annullamento sono le più disparate, ma forse, alla fin fine, è una sola: l’arbitro se l’è fatta sotto.

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Con questo bel pregresso, si arriva al 28 febbraio 1971, quarta di ritorno contro il Vicenza. Non dirige un arbitro qualunque, ma l’Arbitro per antonomasia, Concetto Lo Bello da Siracusa. Imponente, autorevole, baffetto immancabile, carismatico, Lo Bello è una leggenda che cammina, un’icona, uno che non lascia indifferenti, su cui gli aneddoti si sprecano come quando riuscì a dirigere un Napoli-Juventus 4-3 con seimila persone sedute a bordocampo, dopo aver sfondato le barriere, oppure come quando, sfidato da un giocatore della Fiorentina dopo un rigore assegnato (“fischiane un altro”), accetta la provocazione e poco dopo assegnò altro penalty contro i viola, per non parlare di una direzione pirotecnica nel decisivo Juventus-Cagliari 2-2 l’anno dello scudetto dei sardi.

Quella tra Toro e Lanerossi sembra una partita tranquilla. Certo, “il principe del fischietto” commette qualche sbavatura non da lui, potrebbe concedere qualche regola del vantaggio in più ai granata invece di fermare il gioco, ma nulla di cui lamentarsi troppo. Al 35’ Gianni Bui sblocca il risultato dopo un centro di Rampanti fintato da Pulici, ma a inizio ripresa Maraschi pareggia con una conclusione beffarda. Il Toro si riprende in fretta e al 52’ ancora Bui va a segno con una legnata su punizione. Il Vicenza, però, ribalta la gara nel giro di 7’ e sempre con Maraschi che al 62 è lesto a ribadire in rete un colpo di testa di Ciccolo ribattuto dalla traversa, poi realizza un rigore al 69’ concesso per un intervento di Fossati e Cereser su Damiani.

In quel momento la tifoseria è più arrabbiata con la squadra e con Cadè che col direttore di gara, ma qualcosa cambia senza motivo. L’arbitraggio di Lo Bello diventa quasi provocatorio nei confronti dei granata, qualcuno riferisce che, di fronte alle proteste, il signor Concetto abbia detto “Oggi mi sento di fare ciò che voglio”. Un mani in area vicentina viene bellamente ignorato poi, nel giro di 4’, Cereser e Fossati vengono espulsi con decisioni incredibilmente esagerate. Natalino abbandona il campo piangendo di rabbia.

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A questo punto la folla si incazza. Cerca di invadere il campo, cinge d’assedio gli spogliatoi. Pianelli se ne va esasperato, affermando di non assumersi responsabilità per ciò che potrebbe accadere. Dirigenti e giocatori si arrabbiano anche con l’inviato di Novantesimo Minuto che prova a minimizzare il rosso a Cereser. Tra i più arrabbiati c’è Giorgio Navone, figlio di Giuseppe, vicepresidente del Toro. Quando Lo Bello riesce a lasciare il Comunale in auto, direzione Caselle, c’è proprio Giorgio, oltre a un’altra serie di autovetture, a improvvisare un inseguimento con l’obiettivo di fare perdere l’aereo all’arbitro siracusano. La macchina di Navone supera addirittura quella in cui si trova Lo Bello rallentandone la corsa, ma a Caselle stanno ritardando la partenza del volo. La parola fine si scrive quando l’auto del direttore di gara viene fatta entrare direttamente sulla pista, ma quel momento entra comunque nell’immaginario collettivo. Viene anche citato di striscio da Paolo Villaggio nel racconto “Fantozzi invade un campo di calcio” del libro sul Ragioniere più famoso d’Italia, visto che l’episodio è avvenuto in quella che il geniale attore genovese definisce la città più “inglese” d’Italia.

Bruno Perucca, su La Stampa, condanna i vari atti di teppismo, ma afferma anche che “chi provoca le folle non dovrebbe cavarsela con una ingloriosa fuga dalla porta di servizio”, cosa impensabile da scrivere oggi dove le colpe sono sempre e solo del tifoso, se non si comporta come yes man-consumatore, e mai di chi lo conduce all’esasperazione.

Dopo questo episodio che costerà tre turni di squalifica del campo, la situazione arbitrale non cambierà molto. Già nel turno successivo a Firenze, Angonese di Mestre non espelle Galdiolo per una marcatura molto sopra le righe su Pulici. Il Toro concluderà la stagione all’ottavo posto, ma solo un punto sopra la zona retrocessione. Un (bel) po’ di dolcezza arriverà a fine stagione, vincendo la Coppa Italia (e anche di questo parleremo) e, legata al cognome Lo Bello, ce ne sarà altra dodici anni dopo. Stavolta la cosa riguarda il figlio di Concetto, Rosario, che, cosa più unica che rara, rilascia un’intervista a Claudio Icardi a partita finita da poco. “Vogliamo solo sapere se si è divertito” “Esaltante, è stato esaltante” E’ il 27 marzo 1983. Rosario Lo Bello ha appena terminato di arbitrare il derby del 3-2. Il cerchio si chiude, stavolta sorridiamo.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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